28 Marzo 2025 - 9.29

Dal “Gioco delle buste” ad  “Affari Tuoi” fra i “pacchisti” ed il “Dottore”

Umberto Baldo

Nelle sagre della mia infanzia, e anche della mia giovinezza in realtà, c’era un’attrazione che mi ricorda la trasmissione di Rai 1 “Affari tuoi”.   

Non aveva un nome preciso, ma veniva indicato dalla gente come il “Gioco delle buste”.   

Non serviva certo una location particolare, se non un po’ di spazio lungo una strada o in una piazza in cui posizionare una certa quantità di merce varia; e poi c’era il gestore del gioco, che doveva avere le doti di un imbonitore capace di galvanizzare ed ipnotizzare chi seguiva le sue performances.

Il gioco era basato su un certo numero di buste numerate (quelle normali per lettere), nelle quali venivano inseriti dei biglietti che o erano in bianco (nessuna vincita) oppure indicavano i premi (o il premio) in palio.

Per fare un esempio il gestore del gioco, dopo averle ben mescolate coram populo, metteva in vendita alle persone che aveva davanti (giocatori) 100 buste numerate, ipotizziamo a 1000 lire l’una.

Ovviamente solo poche buste (mettiamo 3, ma spesso una sola) prevedevano il diritto ad un premio, mentre tutte le altre contenevano, come accennato, il foglietto in bianco.

Parliamo di tanti anni fa, di un’Italia provinciale ed ancora povera, dove una bicicletta era ancora un bene considerato di un certo valore. 

Ed infatti, non a caso, quasi sempre il primo premio era proprio una bicicletta (non pensate a quelle tecnologiche di oggi che costano un occhio della testa).

L’essenza del gioco stava tutta in una trattativa fra il gestore ed il giocatore di cui era stato estratto il numero che contrassegnava la busta (me la vendi per 2000 lire? – vuoi cambiarla? – vuoi un tostapane?  – vuoi una bambola? ).

Ricordo che per l’estrazione si usava una tavola di legno sulla quale erano piantati in un cerchio perfetto tanti chiodi da creare 100 spazi numerati.  Come in una sorta di roulette rustica, al centro era fissata un’asta girevole che veniva appunto fatta ruotare dal gestore (l’idea sottostante era ovviamente quella di imitare una roulette).

Ruotando e  urtando contro i chiodi, a mano a mano l’asta perdeva velocità, fino a fermarsi su un numero.

Come accennato, a  quel punto iniziava la trattativa  con il giocatore che aveva la busta con il numero estratto, durante la quale il gestore metteva in mostra tutte le sua capacità di “incantatore”, offendo al giocatore soldi in cambio della busta oppure un premio (magari un peluche o una bambola).   Moltiplicate queste trattative per buona parte dei possessori delle buste, e capite bene che il tutto si trasformava in uno show che durava almeno un’ora se non di più. 

E’ chiaro che meno premi era costretto a pagare, maggiore era il guadagno per il gestore. 

Inutile dire che in realtà il banco vinceva sempre, anche se per attirare nuovi giocatori ogni tanto il gestore la bicicletta era costretto ad assegnarla.

Si trattava di un’attrazione, come dire, “ruspante”, figlia dell’Italia dell’epoca dei film del “neorealismo”, ma che indubbiamente piaceva alla gente. 

Cosa attirava in questo gioco delle buste?

Direi il fatto che pur essendo basato sulla fortuna (comprare la busta contenente il foglietto vincente), il giocatore aveva l’impressione di poter intervenire sul destino, accettando una somma di denaro in cambio della busta, oppure tenendo duro fino alla fine, resistendo alle lusinghe ed alle offerte del gestore.

Mi è sempre rimasto il dubbio se, nonostante il palese mescolamento delle buste,  il gestore in qualche modo fosse in grado di sapere quale fosse il giocatore che aveva in mano quella “buona”, quella  del primo premio; io propendo per il sì.

Ponendo fine all’amarcord ed arrivando all’oggi, ho già detto all’inizio che a mio avviso i meccanismi psicologici che stanno alla base della trasmissione “Affari Tuoi” sono gli stessi che rendevano il “Gioco delle buste” assai gradito al popolo delle sagre. 

Certo non ci sono le buste; ma ci sono pacchi numerati.  Non c’è il gestore-imbonitore; ma c’è il conduttore di successo.  La fortuna è la base di entrambi i giochi, ma in entrambi in qualche modo vengono tirate in ballo anche le “scelte di gioco” dei concorrenti; in Affari Tuoi in qualche modo guidate o stimolate da una specie di Demiurgo di cui si sente solo la voce; il Dottore. 

Dove sta il segreto?  Perché Affari tuoi continua a cavalcare l’onda del successo da oltre vent’anni?

Sbarcato in Italia nel 2003 con la conduzione di Paolo Bonolis, visse una straordinaria fase iniziale, con numeri ormai impossibili nella televisione di oggi.

Certo il programma ha avuto anche momenti di “stanchezza” tanto ad un certo momenti venne persino chiuso.  Ma grazie alle conduzioni prima di Flavio Insinna, ma soprattutto quella di Amadeus, Affari Tuoi è ritornata ad essere la macchina schiacciassi di un tempo. 

Specifico che non seguo abitualmente Affari Tuoi; in verità non la vedo quasi mai (in generale non amo i giochi televisivi) ma da interessato ai fenomeni sociali credo non si possa trascurare un format che incolla ogni sera davanti al video quasi 6 milioni di italiani.

Perché una share così elevato?

La domanda è semplice, ma penso che la risposta sia piuttosto complessa e stratificata.

Io partirei dalla caratteristica più evidente; Affari Tuoi non è un format per “intellettuali” (perdonatemi l’immagine), perché a differenza di altri quiz che mettono in gioco il talento o le conoscenze di tipo “culturale”, chiunque potrebbe partecipare e giocare, trattandosi in realtà di un gioco di fortuna assistita da poche essenziali abilità.

E’ quindi la storia di un sogno possibile che ognuno di noi potrebbe vivere, sviluppata attraverso un fine ultimo ambizioso; i 300mila euro.    In questo senso il coinvolgimento è massimo: il successo o l’insuccesso del concorrente sono parte di una vittoria o di una sconfitta che coinvolge lo spettatore stesso, ed è anche  questa la chiave del successo.

C’è un ulteriore fattore che forse non consideriamo abbastanza;  quello che Affari Tuoi con il tempo ha creato una sorta di “liturgia laica”, che prevede  ritualità sempre uguali a se stesse.

Pensate al rito dell’assegno rifiutato passato al tritacarta, ai cori di supporto del pubblico, ma soprattutto la “numerologia”.

Io che sono piuttosto laico e scettico relativamente a certe credenze popolari, mi viene quasi da ridere quando vedo un concorrente che sceglie o non sceglie un pacco, perché associa il numero identificativo dello stesso ad un evento specifico della propria vita, tipo la morte della madre, la nascita di un figlio, la data del matrimonio e quant’altro.

Ma evidentemente anche questo fattore contribuisce a catalizzare l’interesse degli spettatori. 

In altre parole Affari tuoi é un programma in cui tutto é controllato dal caso, ma in cui lo spettatore può urlare allo schermo “ti avevo detto che dovevi scegliere l’altra”.

A ben vedere è tutta una metafora; la vita è un pacco, che non sai cosa ti riserva finché non lo apri; ma nello stesso tempo apre all’attesa ed alla speranza di morire ricco, mentre i poveri che resteranno poveri resteranno a  guardare.

E se osservate le cosiddette “strategie di gioco” dei concorrenti, vi rendete subito conto della loro situazione economica: perché chi tutto sommato non ha bisogno di soldi è disposto a giocarsela fino in fondo; diversamente da colui o coloro per i quali magari 20mila euro fanno la differenza.

E infine credo si debba anche considerare il posizionamento orario, dopo il Tg 1 della sera.

Mi spiego meglio; dopo aver visto il Telegiornale che ti ha raccontato le ultime bugie dei nostri politici, o ti ha mostrato scene di guerra o devastazione, Affari Tuoi diventa per l’italiano medio una sorta di camera di decompressione.

Alla fine, dopo una giornata di lavoro uno ha anche bisogno di distrarsi, di allontanarsi dalla realtà, di immedesimarsi in un sogno.  Per questo serve un programma che si regga su una formula semplice semplice: il concorrente sceglie uno dei venti pacchi legati alle Regioni italiane, ognuno con un premio in denaro, e deve decidere se accettare le offerte del “Dottore” o rischiare fino al “vedo finale”.

Tutto semplice, tutto facile, in uno schema che capisce anche un bambino: il concorrente è “l’eroe”, che combatte contro il “Dottore”, in certo qual modo aiutato dal “Conduttore” e dal pubblico.  

Se ci pensate bene è lo stesso schema narrativo dell’Odissea; l’ eroe Ulisse, i mostri contro cui combatte, tipo Polifemo, gli Dei o il Fato che lo accompagnano.

Concludendo, nel mondo dei media e della televisione, al di là delle remore di tipo pseudo-intellettuale che ciascuno di noi può avanzare, alla fine quello che conta è il risultato, definito share nella lingua di Albione, il fattore che prova se un programma funziona o meno. 

Piaccia o non piaccia, il successo è innegabile: Affari Tuoi, nonostante i dubbi e le polemiche, sopravvive alla prova del tempo e rilancia anno dopo anno le proprie ambizioni.

Perché cambiarlo?

Umberto Baldo

VIACQUA

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