21 Agosto 2024 - 9.01

Dalle “ briglie da culo” al tanga.  Storia delle mutande

…….Ma tu non sei cambiata di molto, anche se adesso è al vento quello che,
io per vederlo ci ho impiegato tanto, filosofando pure sui perché…….

Parto da questo verso della canzone “Eskimo” dell’immenso Francesco Guccini perché il cantautore, ormai ultraottantenne, spiega bene da poeta qual’é come siano cambiati i costumi ed i rapporti fra sessi da quando lui era giovane ai giorni nostri.

Ed in effetti, non date retta ai Rodolfo Valentino a chiacchiere, un tempo non era tanto facile neppure poter vedere una ragazza “in intimo”.

Ed uso questo termine addolcito, come potrei usare il francesismo “lingerie”, per non usare la parola “mutande”, che mi rendo conto ora viene percepita dai più come un termine caratterizzato da una certa dose di volgarità.

Ma se ci pensate bene l’unico modo per vedere una donna in intimo, legalmente, a parte il Postal Market (mio Dio quanto sono Boomer), Only Fans o PornHub,  sarebbe nella propria camera da letto; il che  presupporrebbe  che la donna in questione sia in qualche modo coinvolta in una relazione con voi, dalla semplice trombamicizia alla vita coniugale. 

Diversamente si possono ammirare le grazie femminili esposte in costume al mare o in piscina, ma il contesto cambia radicalmente, per cui se un cartonato di una modella in intimo in una vetrina di Yamamay può anche far sospirare, su una spiaggia non ci si fa praticamente caso.

Avrete certamente capito che il tema di oggi sono le “mutande” (del reggiseno parlerò domani), di cui cercherò in breve di raccontarvi la storia.

Sgombro subito il campo dicendovi che, forse contrariamente a quello che si sarebbe indotti a pensare, per la quasi totalità della storia umana, le donne (ma anche i maschietti) hanno sempre circolato senza mutande, che solo dal XX secolo da indumento da “donne di malaffare” sono diventate quasi un “oggetto di culto”, ormai universalmente indossate, anche nelle società più povere. 

Certo qualcuna che preferisce girare senza c’è sicuramente ancora, ma credo si possa parlare di eccezioni dettate dalla voglia di trasgredire.

Ma andiamo con ordine.

Innanzitutto, stando alla Treccani, la mutanda è “un capo di biancheria intima indossato sia dall’uomo che dalla donna, che copre la parte del corpo che va dalla vita all’inguine (arrivando con alcuni modelli fino alle cosce)”.

Come gran parte delle parole che usiamo, il termine mutanda proviene dal gerundio latino “mutandae”, che significa da cambiare, come se già i latini avessero compreso quanto fosse importante correlare l’igiene intima ad un capo così fondamentale.

Per trovare i primi “esemplari” bisogna riandare all’antico Egitto, perché nella tomba di Tutankhamonvennero ritrovati degli elegantissimi slip fatti con i tipici materiali preziosi con cui si usava addobbare i Faraoni.

Gli antichi Romani generalmente non indossavano mutande; in alcuni casi (per fare attività fisica, e come costume da bagno) si accontentavano del subligaculum (da subligare, cioè legare sotto), un  semplice pezzo di stoffa con un capo che cingeva la vita e l’altro che passava in mezzo alle gambe (era anche indossato dai gladiatori durante i combattimenti) 

I Greci non si ponevano neppure il problema di coprire le parti intime; anzi, almeno in giovinezza le ostentavano. Da adulti indossavano la tunica, ma sotto le donne erano nude mentre gli uomini, a volte, indossavano un perizoma. E a letto si andava rigorosamente nudi.

Nel Medioevo, forse in ossequio all’idea che si trattasse di “secoli bui”, le notizie sulla moda intima diventano scarne e contraddittorie, anche se è in quest’epoca che nasce propriamente il termine “mutanda”, dal latino medievale mutare, che significa, ripeto, “ciò che si deve cambiare”.

E’ quindi quasi certo che per mille e più anni le donne sotto le ampie gonne non portassero assolutamente nulla.

La vera e propria svolta la si ebbe nel 1500, ad opera di una regina di Francia di origine italiana, moglie di Enrico II;  Caterina de’ Medici.

Si deve a questa donna appassionata di equitazione, fantasiosa e volitiva, l’introduzione per le donne di un modo di cavalcare detto “alla Amazzone”.

In pratica il piede sinistro stava nella staffa, e la gamba destra ripiegata con la coscia sostenuta dall’arcione verso l’incollatura del cavallo (l’avete visto sicuramente in qualche film). 

In questo modo però, complice la posizione, ed il vento, la cavallerizza oltre che il ginocchio rischiava di mostrare parti anatomiche che dovevano restare nascoste.

Cosa si inventò Caterina per ovviare a questo problema?

Introdusse l’uso di mutande strette e attillate di cotone o fustagno, infiocchettate alle ginocchia (capite che erano una sorta di calzoncini) 

L’indumento, chiamato spudoratamente “briglie da culo”, prese subito piede tra le nobildonne di Francia e negli ambienti nobiliari europei, ma degenerò altrettanto in fretta in forme così lussuose e stravaganti (in tessuti d’oro e d’argento) da suonare peccaminoso agli occhiuti ambienti ecclesiastici. 

Capite bene che la Chiesa non poteva certo accettare questa “caduta dei costumi”, ed in breve questi mutandoni, da fine capo per nobildonne amanti dell’equitazione, diventarono una sorta di bandiera delle prostitute.

D’altronde si era all’epoca in cui il Vaticano ordinava a Daniele da Volterra, poi detto “Il Braghettone”, di coprire con “mutande” molti personaggi del Giudizio Universale che Michelangelo aveva dipinto con i genitali scoperti. 

Capite bene che, con poca coerenza, la Chiesa da un lato osteggiava le mutande, reputandole un capo libidinoso, dall’altro le invocava per coprire le “pudenda” nei dipinti scabrosi.

Così, data la netta contrarietà dei preti, le mutande persero popolarità: all’inizio del ’700, si stima che le indossassero solo 3 nobildonne su 100 (ovviamente il problema non si poneva neppure per le donne del popolo). 

Il loro ritorno definitivo si colloca all’inizio dell’800, ed è legato all’avvento delle crinoline, le gabbie da infilare sotto la gonna; era necessario indossare qualcosa sotto che salvasse il pudore in caso di colpi di vento o scale ripide. All’epoca c’erano  delle lunghe braghe a tubo, anche queste piuttosto ridicole se si guardano adesso, ma considerate belle dalle persone del tempo.

Il dilemma alla fin fine era: indossare un indumento a contatto con le pudenda era segno di moralità lodevole, o di lascivia e scandalo?  Come accennato, solo alla fine dell’Ottocento, età aurea di busti, giarrettiere e guêpières, le mutande sono divenute indispensabili, man mano che le gonne si andavano accorciando.

Il resto è storia recente, ed in relativamente pochi decenni il dibattito sulle mutandine è passato dall’indossarle o meno, a come dovessero essere, in termini di colori e tessuti. 

E così nel corso del tempo le mutande si sono evolute, arricchendosi di nuovi modelli, materiali innovativi, tecnologie d’avanguardia e colori di moda; e dagli anni ’60-’70 gli slip sono entrati a pieno diritto nel vorticoso giro della moda.

Capite bene che si è trattato di una vera e propria rivoluzione, tanto che dal passato relativamente recente giungono aneddoti curiosi: per esempio a Parigi, nel secondo dopoguerra, non tutte le ragazze che andavano a ballare nei locali potevano permettersele; e quindi vi erano mutandine “collettive” dietro il bancone che potevano essere indossate a turno dalle clienti.

Poi è stato un crescendo rossiniano.

Negli anni ’80 per gli uomini arrivarono i boxer,  così  detti perché richiamano le brache dei pugili.

Per le donne, sulla scia del “tanga”, negli anni ’80 e ’90 si diffuse la moda del perizoma e della cosiddetta “brasiliana”, una mutandina triangolare che copre solo una parte del sedere. Il perizoma e la “brasiliana” non sono indossati dalle donne solo per essere sexy, ma anche per eliminare i segni esteticamente sgradevoli delle mutande normali sui pantaloni attillati. 

Dopo questa sia pur breve carrellata storica, avrete capito che quello che oggi viene considerato un indumento imprescindibile, soprattutto per motivi igienici, le donne delle classi agiate cominciarono ad utilizzarlo solo in età vittoriana (ma si trattava di lunghe brache tubolari accuratamente nascoste), mentre le donne del popolo non indossarono le mutande fino al XX secolo.

E pensare che quest’anno il mercato della lingerie solo a livello europeo vale 19,8 miliardi di euro.

Chiudo con il ricordo di un’immagine: “Un soffio di vento dalla grata della metropolitana, sul marciapiede, la gonna plissettata di un abito bianco che si solleva e inizia a svolazzare quasi come se si animasse, due mani che cercano di domarla, ma non troppo: inizia come un gioco quella che sarebbe diventata una delle scene più iconiche del cinema, più iconiche e sensuali”.

Parliamo della famosa scena che vede Marilyn Monroe come protagonista, le cui mutandine bianche, più che altro intraviste, turbarono allora il sonno di molti. 

Ormai l’abbigliamento intimo, inteso come reggiseni, slip, culotte, body, bustini, giarrettiere, sottovesti, e babydoll, è  praticamente irrinunciabile, ed è progettato non solo per essere funzionale, ma anche per essere esteticamente piacevole, e spesso è realizzato con materiali delicati e pregiati come seta, pizzo e raso.

Per offrire alle donne la possibilità di utilizzarlo in occasioni speciali, o per sentirsi particolarmente eleganti o sensuali.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
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