4 Novembre 2024 - 9.47

USA – Domani si vota con regole (demenziali) approvate nel 1789

Umberto Baldo

Finalmente il giorno è arrivato.  

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E’ quasi un anno che se ne parla (il primo Caucus si è tenuto in Iowa il 16 gennaio 2024), catalizzando l’attenzione del mondo politico e non.

E così domani i cittadini degli Stati Uniti d’America andranno alle urne per votare i “Grandi elettori”, che successivamente procederanno ad indicare il nuovo Presidente.

Non vi illustro nuovamente il complesso iter elettorale americano; l’ho già fatto, e se volete rinfrescarvi le memoria potere trovare quello che serve in questi due pezzi  ( https://www.tviweb.it/dai-caucus-delliowa-e-iniziata-la-lunga-corsa-delle-presidenziali-usa/)  e (https://www.tviweb.it/presidenziali-usa-occhio-ai-grandi-elettori/).

No, oggi voglio sviluppare un ragionamento chiedendomi perché un sistema elettorale nato dal pensiero dei Padri fondatori degli States, e da loro cristallizzato nella Carta del marzo 1789, sia giunto fino a noi senza aver subito alcuna modifica sostanziale.

Tanto per essere più chiaro; perché nell’era di Internet e dell’IA in America si vota ancora con  regole nate all’epoca della Rivoluzione Francese,  e tagliate su misura per una società di contadini dispersi in territori vastissimi?

E che sia così lo dimostra il fatto che si continua ancora a votare di martedì (di novembre), in quanto i proprietari terrieri (che erano gli unici ad avere diritto al voto), una volta che avessero consacrato la domenica al Signore, avevano bisogno di un giorno di calesse per arrivare ai seggi.

E’ fuor di dubbio che si tratta di un sistema ormai vecchio ed inadeguato ad una società del XXI secolo, ma paradossalmente la società teoricamente più avanzata tecnologicamente, risulta la più “conservatrice” quanto alle regole, e sulla base di ciò affermo senza ombra di dubbio che, a meno di una vera e propria rivoluzione che scardini il sistema dalle fondamenta, la legge elettorale americana non cambierà MAI, e più avanti vi spiegherò anche i perché. 

Io sono culturalmente filo-occidentale, perché non dimentico che gli americani hanno spedito i loro ragazzi a morire per toglierci dalle peste in ben due guerre mondiali (che i realtà erano guerre europee), e su questo non ci piove, ma questo non mi impedisce di vedere i problemi che anno dopo anno si addensano sulla democrazia Usa, rendendola sempre più fragile.

Vogliamo riassumere le “meraviglie” del sistema elettorale americano? 

Può essere eletto Presidente chi ha ottenuto non più, ma meno voti (e già questa se consentite è un’anomalia inconcepibile per noi). 

Così Trump vinse le  elezioni del 2016 prendendo oltre due milioni di voti meno della Clinton. E potrebbe vincere anche queste prendendo oltre cinque milioni meno di Kamala Harris. I Grandi Elettori che scelgono il Presidente, come sopra accennato, sono infatti previsti Stato per Stato. 

E li si conquista tutti con un solo voto di maggioranza (in pratica se un candidato vince in uno Stato con 2 milioni di scarto, 1.999.999 voti sono superflui, e contano esattamente come quel solo voto in più rispetto all’avversario):

Ma c’è di molto peggio. Come è noto, ciascuno Stato federale esprime due Senatori, indipendentemente dalla sua popolazione. 

Con risultati demenziali. 

Per fare un solo esempio, i 40 milioni di cittadini della California sono rappresentati da due senatori,  esattamente come  i 577.000 cittadini del Wyoming. 

I 40 milioni della California (una vera potenza economica del mondo) e i 577.000 americani periferici del Wyoming hanno dunque lo stesso peso nel Senato. 

Un senatore californiano, con alle spalle 20 milioni di cittadini, conta “uno”, esattamente come quello del Wyoming, che ne ha alle spalle 71 volte meno. 

Consentitemi di dubitare che questa sia vera democrazia.

Con l’avvento di personaggi divisivi come Trump si è poi aggiunta l’insofferenza anche psicologica tra gli schieramenti opposti. 

Come si sa, il colore dei democratici è l’azzurro, quello dei repubblicani il rosso. 

Se si guarda la carta degli Stati Uniti colorata secondo le appartenenze politiche, si vedono azzurre quasi tutte le coste, rosse le aree interne. 

I democratici pensano che i repubblicani rappresentino i “cow boys” ed i rozzi dell’America profonda e rurale. 

I repubblicani che i democratici rappresentino gli snob e i cosmopoliti (non i veri americani) delle metropoli multirazziali. 

Si può aggiungere che il mondo ama l’America per la sua cultura, tecnologia e innovazione, concentrata a New York o Boston, a Los Angeles o San Francisco (e proiettata al di là degli oceani).   Ma non accetta certo la guida di un’America chiusa e provinciale.

A dire tutta la verità la democrazia americana funzionava non “per”, ma “nonostante” il suo sistema elettorale, e nel momento in cui un soggetto come Trump nel 2020 ha deciso di scassare il sistema contestando i risultati delle urne, e addirittura promuovendo un assalto di facinorosi al Congresso (in Europa lo chiameremmo “colpo di Stato”) la deriva è tale che non si sa dove si possa arrivare. 

E visto che domani andrà in onda il grande show delle urne, chiudo spiegandovi quel MAI con cui ho risposto alla domanda se il sistema elettorale Usa potrà cambiare.

La mia affermazione si basa sostanzialmente su una combinazione di motivi storici, costituzionali e politici.

1.   Costituzione e decentramento: Gli Stati Uniti hanno una Costituzione rigida e difficile da modificare. Le modifiche richiedono una maggioranza molto ampia (due terzi del Congresso e la ratifica di tre quarti degli Stati), il che rende difficile cambiare aspetti fondamentali come il Collegio Elettorale (che finisce per essere il singolo Stato) che è sancito dalla Costituzione stessa. Questo tipo di riforma risulta arduo perché molti Stati, soprattutto quelli piccoli, percepiscono il Collegio Elettorale come una protezione contro il dominio dei grandi Stati più popolati;

2.   Resistenze politiche e Interessi di parte

I due partiti principali, Democratico e Repubblicano, sono avvantaggiati dal sistema attuale, poiché limita la competizione e rende difficile l’ascesa di un terzo partito. Il sistema del first-past-the-post, dove “chi prende più voti vince tutto” nei singoli Stati, scoraggia la frammentazione politica, e concentra il potere nelle mani dei due Partiti principali, i quali hanno poco incentivo a modificare le regole che ne rafforzano il predominio;

3. Interessi di Partito: Ogni cambiamento al sistema elettorale potrebbe favorire un Partito rispetto all’altro, aumentando la polarizzazione già intensa. In un contesto di forte competizione, c’è resistenza a qualunque proposta che alteri gli equilibri consolidati, e che possa mettere a rischio la sicurezza del partito in questione;

4.   Difficoltà Pratiche di Cambiamento

Alcune riforme minori, come l’introduzione di elezioni primarie aperte, o sistemi di voto alternativo come il ranked-choice voting, sono stati adottati a livello locale o statale, ma una revisione radicale a livello nazionale del sistema elettorale resta improbabile proprio a causa delle differenze statali e del decentramento del potere elettorale.

Nonostante tutto, il mondo resta appeso ai risultati che usciranno dalle urne di domani, perché gli Stati Uniti hanno un’influenza significativa sulla politica, sull’economia e sulla cultura a livello globale. 

Così le scelte dell’intellettuale di Boston, dell’operaio di Chicago, dell’ingegnere informatico di San Francisco, o del cow boy del Montana, finiscono per avere un impatto diretto anche sulle nostre vite.

Umberto Baldo

PS: per capire quanto sia anomalo il sistema, basti pensare che quando domani chiuderanno le urne, gli occhi dell’America saranno puntati su tre piccole contee della Pennsylvania , considerate un punto di riferimento cruciale nella corsa alla Casa Bianca, perché riflettono tendenze più ampie sia a livello statale che nazionale.  Questi i loro nomi: Erie, Lackawanna e Northampton.

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