22 Gennaio 2025 - 8.05

Donald e Melanie: la prima coppia presidenziale “cripto”

Non c’è nessun principio che vieti astrattamente ad un uomo ricco di occupare un ruolo di vertice in una entità statuale.

A guardare la storia, di norma un Capo politico riesce ad arricchirsi  solo dopo essere arrivato al potere (sulle modalità spesso è meglio soprassedere) ma nulla vieta il contrario.

E dovremmo saperlo bene noi italiani in quanto il presunto o meno “conflitto di interessi” di Silvio Berlusconi ha avvelenato la vita nostra politica per decenni.

Di solito le democrazie prevedono regole, argini, per evitare questi conflitti di interesse, e così è anche per gli Stati Uniti.

In particolare, per prevenire influenze straniere sul Governo, la Costituzione degli Stati Uniti prevede che il Presidente non possa accettare regali, compensi o titoli da governi stranieri senza l’approvazione del Congresso.

E’ poi consuetudine che i Presidenti trasferiscano i propri beni in un “blind trust” (fondo cieco), o affidino la gestione delle loro attività a terzi, in modo da non influenzare le loro decisioni ufficiali.

Sebbene il Presidente riceva uno stipendio fisso (oggi circa $400.000 all’anno), non può usare la posizione per arricchirsi personalmente tramite contratti governativi o vantaggi speciali derivanti dalla sua carica.

Il Presidente è inoltre obbligato a presentare dichiarazioni finanziarie annuali che mostrino il reddito, gli investimenti e i potenziali conflitti di interesse. Queste dichiarazioni sono pubbliche e mirano a garantire trasparenza.

Riguardo a Donald Trump, durante la sua prima presidenza ci furono polemiche sui profitti generati dai suoi hotel e golf club frequentati da funzionari stranieri e delegazioni governative. 

Polemiche accentuate dal fatto che il Tycoon non trasferì i suoi beni in un “blind trust”, ma li affidò ai suoi figli.

Si usa dire “ne è passata di acqua sotto i ponti”; ma a ben guardare non più di tanta, visto che Trump venne sconfitto da Biden solo quattro anni fa.

Ma in realtà è l’America che non è sicuramente quella di quattro anni fa, e quello cui assistiamo oggi sembra l’avvento di una plutocrazia tecnocratica, slegata da ogni regola, da quelle democratiche a quelle etiche.

Fra queste “anomalie”, non saprei come altro chiamarle, annovererei sicuramente  il lancio, a poche ore dal giuramento, di un meme-coin da parte della società Fight Fight Fight.

Non mi addentrerò nei tecnicismi delle cryptovalute, ma vi basti sapere che un “meme coin” è un token, una criptovaluta ispirata a meme o tendenze popolari su Internet, spesso creata per scopi ludici o speculativi più che per avere un valore intrinseco o una tecnologia innovativa alle spalle.  

Il primo e più famoso meme coin è il Dogecoin (DOGE) nata nel 2013 come una sorta di scherzo o parodia delle criptovalute come Bitcoin, ed il cui  logo è un’immagine del cane Shiba Inu.

Il problema è che questo nuovo “meme coin presidenziale” è stato denominato “$TRUMP”, ed è un tipo di moneta digitale che trae valore principalmente dalla popolarità del personaggio o del fenomeno che rappresenta. 

In questo caso, il brand Trump è stato sfruttato per creare un prodotto finanziario destinato a celebrare l’ immagine del Tycoon, e a rafforzare il legame con i suoi sostenitori più fedeli.

E non a caso quindi, durante l’annuncio ufficiale, Trump ha dichiarato: “$TRUMP non è solo una criptovaluta. È un simbolo della nostra vittoria, della nostra libertà economica e del nostro futuro brillante”.

Fatto sta che dai soli 18 centesimi di dollaro di valore di lancio, nel giro di poche ore la quotazione di mercato ha raggiunto un massimo di 75 dollari. In termini percentuali, un guadagno del 41.600%, cioè il prezzo si è moltiplicato fino a 416 volte. A questi valori, i 200 milioni di gettoni virtuali immessi sul mercato dovrebbero (in questo campo sì il condizionale è d’obbligo) ora valere circa 11,54 miliardi.

Va sottolineato che al momento sono stati messi sul mercato token per 200 milioni, e poiché è stato dichiarato che l’offerta massima sarà di 1 miliardo, ne deriva che 800 milioni di token sono ancora in mano alla società di Trump. 

Capite bene che  questo “tesoretto”, del valore teorico di 46 miliardi, andrà ad arricchire ulteriormente l’emittente a mano a mano che i gettoni verranno messi a disposizione degli investitori, nei prossimi tre anni.

Guardate, sono talmente tante le variabili, i rischi legati a questa operazione (per chi decidesse di investire ovviamente, non certamente per l’emittente Trump che al massimo non incasserebbe nulla, ma non perderebbe nulla) che non vale neppure la pena soffermarcisi troppo.

Va comunque preso atto che il lancio di $TRUMP ha attirato una vasta gamma di investitori, dai sostenitori politici dell’ex presidente, agli speculatori professionisti del mercato cripto.

Ma per non essere da meno, anche Melania Trump, a pochi giorni di distanza dal marito Donald, si è buttata nel mondo dei meme coin

L’annuncio della First Lady è arrivato domenica su “X”, e nel giro di qualche ora le quotazioni di $Melania sono schizzate di oltre il 15mila percento, affossando anche il meme coin del marito.

Non sono mancate ovviamente le critiche, a partire da alcuni talmente increduli da pensare che si trattasse di una truffa architettata e messa in piedi hackerando il profilo del neo Presidente.

Altri esperti hanno espresso dubbi sulla reale utilità delle due monete, definendola un’operazione puramente speculativa priva di fondamentali solidi. 

Altri ancora hanno sottolineato i rischi legati alla volatilità estrema dei meme coin, che spesso registrano crolli improvvisi dopo picchi iniziali (non a caso ormai  i media per riferirsi a coloro  che maneggiano queste strumenti parlano di “scommettitori” e non di “investitori”).

A fronte di alcune voci che hanno sollevato il dubbio che  $TRUMP possa essere utilizzato illecitamente per fini elettorali, sembra che le autorità di regolamentazione finanziaria statunitensi abbiano acceso un faro sull’operazione. 

Inutile sottolineare che il debutto di $TRUMP e $Melania ha avuto ripercussioni significative sull’intero ecosistema delle criptovalute.

Il boom iniziale della moneta ha contribuito ad un’ondata di ottimismo nel mercato, spingendo anche altre valute digitali verso nuovi massimi,  Bitcoin in testa.

Analogamente si sono avvantaggiati anche Ethereum  e Binance Coin.

Al di là di ogni altra considerazione di carattere finanziario, resta la portata politica di questa iniziativa (e per me anche etica!!!).

Che Trump, pur inizialmente scettico, volesse rafforzare il mercato delle criptovalute non è mai stato un mistero, tanto da farne uno dei punti chiave della sua campagna elettorale.

Ma il lancio di $TRUMP rappresenta a mio avviso un punto di svolta per tutto il settore cripto. Secondo fonti a conoscenza dei piani,  Trump starebbe pianificando di emanare un ordine esecutivo che elevi le criptovalute a priorità politica, e dia voce agli addetti ai lavori del settore all’interno della sua Amministrazione.
Al momento le due monete create da Donald e Melania sono di fatto oggetti da collezione: non possono cioè essere spesi per comprare bene e servizi. 

Questa cosa, se il successo dovesse continuare (il Dogecoin, il meme coin preferito da Elon Musk, in qualche caso può già essere usato per completare acquisti), potrebbe sollevare non pochi interrogativi.

Soprattutto perché essendo sganciate da un qualunque sottostante, qualunque azione del Presidente o della First lady potrebbe di fatto influenzare le quotazioni delle due cripto.

Non ci resta che accettare, per me con tristezza,  che ormai così va il mondo.

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