21 Marzo 2025 - 9.31

Dopo 82 anni Donald Trump spegne “Voice of America”

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Umberto Baldo

A volte mi chiedo se veramente Giorgia Meloni si sia illusa di poter essere il “pontiere” fra gli Usa di Trump e l’Europa.

Se così fosse, si tratta di un abbaglio colossale in cui è incorsa la nostra premier, forse fuorviata da una stampa sempre più incline ad attribuirle un ruolo di “portavoce della Ue” che oggettivamente non ha, e a mio avviso non può avere.

Perché è evidente che un politico dotato dell’ego e della personalità di Trump non accetterebbe certo pontieri, mediatori, portavoce,  preferendo per indole trattare direttamente, possibilmente a muso duro, con Macron, piuttosto che con Starmer o Merz.

Detto questo, che il Tycoon, e a mio avviso anche la cerchia che lo contorna e supporta, abbiano deciso di indirizzare gli Usa verso una forma di democrazia “diversa” (per usare un eufemismo) mi sembra ormai fuori di dubbio.

Ma non sono le rodomontate come quelle su Panama, la Groenlandia od il Canada a colpirmi in modo particolare.

Il segnale peggiore è a mio avviso come si sta muovendo nei confronti della stampa libera, innescando una vera e propria guerra contro qualsiasi giornale o social media che non intenda diventare un megafono della sua politica.

La cosa mi fa più male perché ho sempre considerato gli Stati Uniti come un baluardo delle libertà di espressione, il Paese  in cui Bob Woodward e Carl Bernstein, due giornalisti del Washington Post (ovviamente ben prima che lo comprasse Jeff Bezos), riuscirono con la loro tenacia a costringere Richard Nixon a dimettersi da Presidente.

Ora gli Stati Uniti sono un Paese in cui Donald Trump ha affermato in un discorso al Ministero della Giustizia che i media americani che lo trattano in modo critico sono “illegali” e “corrotti”. 

Cnn, Msnbc, e giornali non identificati “scrivono letteralmente male di me al 97,6%” e “deve finire. Deve essere illegale” – ha detto Ciuffo biondo -descrivendo questi media come “braccio politico del Partito democratico”.

Questi organi di stampa ha aggiunto, “influenzano i giudici e stanno davvero cambiando la legge, e non può essere legale. Non credo che sia legale. E lo fanno in totale coordinamento tra loro”.

La sua battaglia contro  “giornali e giornalisti” data ormai dal 2016, ed è sicuramente senza precedenti per un leader in un Paese in cui la libertà di stampa è sancita nella Costituzione.

Trump ormai chiama abitualmente i giornalisti che non gradisce “nemici del popolo” e “fake news” quello che scrivono, e quando a gennaio ha iniziato il suo secondo mandato si è mosso rapidamente per fare pressione sui media tradizionali come l’Associated Press, ed al contempo favorendo l’accesso alla Sala Ovale solo ai media di destra che lo incensano magnificando le sue politiche.

Ma la sua azione anti media ha adesso preso di mira anche vere e proprie “Istituzioni” dell’informazione a stelle e strisce.

Nei giorni scorsi infatti Trump ha ordinato alla sua Amministrazione di ridurre le funzioni di diverse Agenzie al minimo richiesto dalla legge, mettendo in congedo forzato migliaia di giornalisti. 

Tra queste, l’Agenzia Statunitense per i Media Globali, che ospita “Voice of America”, “Radio Free and Asia” e “Radio Martì”, che trasmette notizie in lingua spagnola a Cuba.

Forse a molti di voi Voice of America (Voa) non dice molto, ma il nome stesso indica cosa abbia rappresentato per ben 83 anni (fu fondata nel 1941 dal presidente Franklin D. Roosevelt, e all’epoca si chiamava Foreign Information Service degli Stati Uniti), vale a dire una rete mediatica statale internazionale  finanziata dal Governo federale degli Stati Uniti d’America. 

Era la più grande e la più antica delle emittenti internazionali degli Stati Uniti; Voice of America produceva contenuti digitali, televisivi e radiofonici in 49 lingue, che distribuiva alle stazioni affiliate in tutto il mondo.

Tanto per capirci, è stata la voce del mondo libero durante la Seconda guerra mondiale contro i fascismi, e poi con il nome di Radio Free Europe o Radio Liberty durante la guerra fredda contro l’Unione Sovietica.

Un pezzo di storia che il Tycoon cancella con una firma su un pezzo di carta.

E con una furbizia da imbroglione tra l’altro; ricadendo Voice of America sotto l’ombrello di US Agency for Global Media,  struttura voluta del Congresso, e che quindi per legge non poteva essere dissolta, Trump anziché chiuderla l’ha svuotata.

E così i dipendenti federali hanno ricevuto l’ormai consueta e-mail, con cui viene comunicato loro che sono messi in aspettativa retribuita (non c’è un limite) e riceveranno i benefit previsti, come il pagamento dell’assicurazione sanitaria. Però devono restare a disposizione, in attesa di un destino che non si sa quale potrà essere, visto che nel frattempo sono stati obbligatati a restituire il badge per accedere agli uffici, a consegnare tutti gli strumenti di lavoro, e a sgomberare le scrivanie. 

Vale la pena di segnalare la perfida ironia con cui Elon Musk  ha celebrato la chiusura di Voa postando il nuovo logo, “Dope, Department of Propaganda Everywhere”

Alla Casa Bianca poi hanno festeggiato in maniera becera, con Harrison Field, il vice portavoce, che ha postato un messaggio su X sbeffeggiando la Voa in decine di lingue, “Bye bye”, “Arrivederci”, e altre simili amenità.

Avendo ormai capito l’instabilità e l’imprevedibilità di Trump, nonché la sua implacabilità contro coloro che lui considera “nemici”, non mi stupisce la sua lotta alla stampa libera; in fondo è  prassi comune in tutti i regimi illiberali, ed il Tycoon non ha mai nascosto le proprie simpatie per gli Stati autoritari.

Ma il “colpo del coniglio” a Voice of America è un qualcosa di più a mio avviso.

Perché togliendo di mezzo le emittenti che diffondevano ogni giorno informazioni rivolte a cittadini di Paesi come la Russia, la Cina, ma anche tanti altri in cui le notizie sono solo quelle filtrate dai regimi, Trump sembra voler mandare un messaggio ben preciso a personaggi come Putin e Xi Jinping.

Un messaggio che in poche parole sarebbe questo: “Ragazzi, con me gli Usa hanno voltato pagina, e vogliono cercare di dare vita a nuovi equilibri geopolitici.  Per rassicurarvi  sulla mia determinazione vi dimostro che sono disposto a pagare anche il prezzo di decapitare la libertà di informazione, tagliando la testa a quelle emittenti che da decenni giornalmente vi disturbano, raccontando ai vostri cittadini verità che voi volete tenere loro nascoste. Io vi dimostro che la mia parte la sto facendo; adesso vediamo di metterci d’accordo, di dare vita magari ad una nuova Yalta, per spartirci il mondo, secondo i nostri interessi e a nostra immagine e somiglianza”.

Vi sembra fantapolitica?

A me sembra proprio di no, e con una battuta direi che Trump ha deciso di passare “Da Voice of America a Voice of Maga”.

Come accennato, il suo disegno è chiaro e palese; la sala stampa della White House aperta ai nuovi media; il pool che segue il Presidente rivisto per inserire media amici; l’accesso a Studio Ovale ed Air Force One bandito all’Associated Press (e all’ Huffington Post) rea di continuare a chiamare Golfo del Messico quello che per Trump è Gulf of America. 

Come accennato, per Trump  i media che scrivono male di lui sono «illegali e corrotti». 

“Questo deve finire, deve essere illegale!” ha detto 

Anzi, detto….. e fatto (come ai tempi di Goebbels e Ciano)  

Inutile dire che i cinesi (Global Times in testa) hanno esultato per lo smantellamento deciso da Trump. 

Anche se il 2011 è stato l’ultimo anno di trasmissioni messe in onda,  ancora oggi il sito web in lingua cinese di VoA è online.   Invece Radio Free Asia, fondata nel 1996, trasmette (ormai trasmetteva) in Cina in lingua inglese, cinese, uigura e tibetana, rivolgendosi alle minoranze etniche relativamente alle quali la Cina è sospettata di genocidio culturale. 

Vi invito a non trascurare questi segnali, anche se sembrano venire da lontano, perché riguardano anche noi, in quanto ricordate sempre che “Il giornalismo o è libero o è una farsa. Non ci sono vie di mezzo”.

Umberto Baldo

VIACQUA

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