Draghi rischiatutto: è già il tempo del “liberi tutti”?
di Umberto Baldo
Lo dico chiaro a costo di essere impopolare: non riesco ad accettare che la salute dei cittadini possa essere oggetto di una “trattativa” fra Partiti, di fatto in atto nel nostro Paese fin dal momento dell’inizio della pandemia da Covid 19.
Infatti, a parte i tre mesi del lockdown totale del 2020, quelli in cui si vedevano i convogli militari pieni di bare, successivamente si sono creati due fronti “politici” contrapposti; i cosiddetti “aperturisti” ed i “rigoristi”.
Il problema è che queste posizioni non sono sempre fondate su basi medico/scientifiche, e mentre i rigoristi sono accusati di voler “limitare le libertà democratiche”, gli aperturisti di muoversi in difesa degli interessi di “categorie” economiche ben precise.
Intendiamoci, nessuno può negare che oltre un anno di chiusure abbia portato milioni di piccoli imprenditori, dai baristi ai ristoratori, dai titolari di cinema o di discoteche, ed in generale tutta la filiera del turismo, alla disperazione, sfociata di recente in manifestazioni di protesta piuttosto accese.
È chiaro che un Governo, per quanto definito impropriamente tecnico, non possa sottovalutare la situazione dell’ordine pubblico, e sull’onda della pressione della piazze si è percepito nei giorni scorsi qualche segno di cedimento alle posizioni meno oltranziste.
Il risultato è stata una lunga riunione della cabina di regia, durata tre ore, nel corso della quale il premier Draghi ha dovuto discutere con i capi delegazione dei Partiti di maggioranza, e con gli scienziati Locatelli e Brusaferro, su quali attività riaprire in tempi ravvicinati.
Alla fine dello scontro, che per facilità di comprensione indico fra Speranza e Giorgetti, si è raggiunto un compromesso, che si può riassumere in estrema sintesi con il ritorno alle zone gialle fin dal 26 aprile, la riapertura delle attività all’aperto, ed il rientro in aula degli studenti al 100% nelle zone gialle ed arancioni.
Quindi dal 26 aprile potranno riaprire ristorazione (anche a cena), sport e spettacolo, ma solo all’aperto e nelle aree a basso contagio.
Anche teatri, cinema e spettacoli potranno riaprire all’aperto, mentre per le attività al chiuso saranno previsti stringenti limiti di capienza.
È stata pure fissata un road map che prevede che dal 15 maggio riaprano le piscine all’aperto, dal 1 giugno le attività connesse alle palestre, dal 1 luglio le attività di natura fieristica.
Ogni compromesso, per essere tale, deve prevedere un punto di equilibrio fra opposte posizioni, e non occorre essere dei grandi politici o dei diplomatici, per capire che, date le condizioni, ogni Partito in questo passaggio ha dovuto rinunciare a qualcosa.
Ed è evidente che non tutti i ristoranti hanno spazi all’aperto, ed i cinema “en plein air” sono ormai un ricordo di altri tempi.
Ma quello che serviva a Draghi era dare un segnale di speranza alle categorie economiche stremate dalla crisi, e si sa che alla fine “piuttosto che niente, è meglio piuttosto”.
In altre parole è arrivato il momento di mostrare un po’ di carota, e non solo il bastone.
Va rimarcato che nella conferenza stampa che è seguita alle decisioni, Draghi ha dichiarato che: “Questo rischio che il governo ha preso, che certamente incontra le aspettative dei cittadini, si fonda su una premessa: che quei comportamenti che governano le attività aperte siano osservati scrupolosamente, mascherine e distanziamenti restano”.
Mi sembrano parole di buon senso, basate su precedenti che hanno mostrato come con questo virus le cose possano cambiare in tempi rapidissimi, e lo abbiamo visto ad esempio in Sardegna, passata in un mese da zona bianca (covid free), con tutto aperto, a zona rossa.
E qui arriviamo al punto focale del problema, che nessun accordo politico può superare, quello del comportamento di ognuno di noi.
In questa fase in cui la campagna vaccinale, sia pure con qualche stop and go dipendente dalle forniture, sta comunque procedendo, ed il numero di italiani che hanno ricevuto la “puntura” cresce giorno dopo giorno, c’è il rischio di un allentamento delle precauzioni, e della percezione che si sia arrivati al “liberi tutti”.
E che non sia così lo dimostrano le notizie che arrivano dal mondo.
E che ci dicono che in Germania, nonostante la campagna di vaccinazione, con record giornaliero di 739mila inoculazioni, i contagi continuano a crescere, ed il 15 aprile si è registrato il maggior incremento giornaliero di nuovi casi dallo scorso 8 gennaio (+ 29.426).
Che in Brasile la situazione dei contagi è talmente fuori controllo che i medici sono costretti ad intubare i pazienti senza anestesia.
Che negli stessi Stati Uniti, in cui si sta vaccinando alla grande senza problemi di forniture di dosi, nelle ultime 24 ore sono stati registrati oltre 75mila nuovi contagi, con 956 morti.
Che dopo 99 giorni di lockdown l’Inghilterra sta riaprendo gradualmente, ma il premier Johnson ha ammonito i cittadini dicendo: “Riaprire comporterà inevitabilmente più infezioni e, purtroppo, più ricoveri in ospedale e più morti, la gente deve saperlo”, aggiungendo “Penso che la gente non capisca che la riduzione delle vittime e dei contagi non è stato ottenuto dal piano vaccinale, ma dal lockdown”.
E tanto per fare un confronto noi abbiamo fatto 23,5 dosi di vaccino per 100 abitanti, l’Inghilterra 60, per un totale di 41 milioni di somministrazioni. Eppure gli inglesi mettono ancora in conto ricoveri e morti.
No, non è proprio il momento di abbassare la guardia, sperando che il peggio sia alle spalle. Ancora ieri i morti per Covid in Italia sono stati 429.
E di conseguenza ritengo importante che si debba “martellare” gli italiani con un importante messaggio.
Più precisamente che fino a quando non sarà stata raggiunta l’immunità di gregge, che vuol dire una copertura vaccinale pari almeno al 70% della popolazione, l’aver effettuato il vaccino non è un liberi tutti, e si deve continuare con il rispetto delle precauzioni anti-contagio.
Perché anche chi ha ricevuto il vaccino può infettarsi, e diventare così veicolo di trasmissione della malattia.
Sia chiaro che non si tratta di un messaggio “terroristico”, ma semplicemente di un invito a prendere atto che difficilmente nel 2021 si raggiungerà l’immunità di gregge, per questioni pratiche e numeriche.
Di conseguenza le attenzioni al contagio e le mascherine ci faranno compagnia presumibilmente ancora a lungo.
E pur auspicando che la stagione turistica decolli al meglio, si dovranno evitare gli eccessi visti l’anno scorso nelle discoteche della Costa Smeralda.
E sempre rimanendo in tema, pur pensando che la scuola in presenza sia fondamentale per la crescita dei ragazzi, non vi nascondo che la decisione di riaprire le aule al 100% nelle zone gialle ed arancioni, mi lascia alquanto perplesso.
Non vorrei che fosse l’ennesimo proclama, fatto più che altro per veicolare un messaggio “aperturista”, senza tenere nel debito conto le reali difficoltà di una tale scelta, soprattutto per ciò che attiene al problema del mantenimento delle distanze nelle aree comuni, a quello dei trasporti, dato che i mezzi pubblici affollati rappresentano potenziali focolai di infezione.
Difficoltà segnalate dal Presidente dell’Associazione Nazionale Presidi Antonello Giannelli con queste parole: “Non so come si farà, da oggi al 3 maggio, (poi addirittura spostato al 26 aprile) a realizzare queste condizioni. Inoltre c’è il tema dello screening tramite tamponi veloci: non abbiamo avuto novità. Con queste difficoltà mi sembra problematico riaprire tutte le scuole. Tutti auspichiamo la riapertura ma il tema è la fattibilità, non abbiamo informazioni che le condizioni vi siano, vedremo».
A volervela dire tutta, siamo a poco più di un mese dalla fine di questo anno scolastico, il secondo dell’era Covid.
Abbiamo visto di tutto, aperture e chiusure repentine, Dad generalizzata, didattica in presenza al 50%, classi in quarantena, e quant’altro.
Io penso che se anche si continuasse con la didattica alternata al 50%, che abbiamo visto essere gestibile pur con qualche difficoltà, non sarebbe la fine del mondo.
Non saranno quattro o cinque settimane di “aule piene” a cambiare le cose per i ragazzi!
Ma la politica ha le sue regole, ed in certi momenti ha la necessità di andare messaggi, indipendentemente da ogni ragionevole considerazione.
Non ci resta che prenderne atto, anche se, per quanto riguarda la scuola, non siamo d’accordo.