18 Novembre 2024 - 9.42

“Du iu spik inglish?”  A scuola di inglese dai nostri politici

Umberto Baldo

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La scarsa dimestichezza con la lingua di Shakespeare è sempre stata il “tallone d’Achille” dei nostri governanti.  

L’inglese è un po’ la maledizione dei politici nostrani, e su You Tube sono numerosi i video che lo testimoniano impietosamente.  Provate a cercarli, e vi assicuro che vi farete qualche risata.

Eppure, nonostante questa “carenza linguistica” di fondo, nei discorsi dei nostri leader i termini inglesi sono sempre più presenti.

È un fenomeno che è esploso negli ultimi anni, e che sembra costituire il nucleo di un nuovo politichese, costituito non più da “convergenze parallele” o da “crisi degli schemi bipolari”, bensì da spending review, quantitative easing, foreign fighters, spread, jobs act e via cantando.  

Con il risultato che l’uso eccessivo di termini inglesi non fa altro che confondere i cittadini sul contenuto del messaggio politico, giocando sulla nebulosità, ma anche sul forte potere attrattivo di espressioni poco note e non immediatamente comprensibili.   La sensazione è che “Lor signori” pensino che un banale termine inglese messo al posto di uno in italiano dia di colpo l’impressione di essere un ineludibile termine tecnico, sublimato da anni di usi specialistici. 

Ma quando si tratta di affrontare una platea dovendo esprimersi nell’idioma di Albione, cosa succede?

Anni addietro abbiamo assistito alle performances non proprio edificanti di Matteo Renzi ed Angelino Alfano; nei giorni scorsi a salire agli onori della cronaca è stato il Commissario designato alla Commissione UE Raffaele Fitto.

C’è da augurarsi che le nuove generazioni di politici, grazie magari a qualche Erasmus, siano in grado di esprimersi in un inglese non solo corretto, ma anche un po’ disinvolto, non dico come quello di Mario Draghi, ma migliore di quello di un alunno di prima media.

Al riguardo va apprezzata la versatilità linguistica della premier Giorgia Meloni, in grado di parlare senza interprete in inglese con i “grandi del mondo”, ed anche in un fluente spagnolo, come abbiamo potuto constatare nel famoso discorso “Yo soy Giorgia, soy una mujer, soy una madre, soy cristiana….”

Tornando al Ministro Fitto, ed al suo discorso “alla mano” al Parlamento Europeo, la sua pronuncia non è solo risultata caricata da un forte accento italiano: in alcuni passaggi l’intonazione è stata completamente sbagliata, probabilmente da bocciatura (https://tg.la7.it/esteri/fitto-discorso-inglese-commissario-europeo-video-13-11-2024-226000).

Come in tutte le altre occasioni istituzionali al Parlamento Ue, era possibile parlare nella propria lingua madre, e avvalersi di traduttori. 

Fitto invece ha scelto di parlare in inglese, ed il suo intervento ha suscitato ironia online oltre che per l’accennato accento italico,  per la lentezza e l’esitazione nel pronunciare alcune parole, e per la difficoltà nell’esprimersi senza leggere dal discorso stampato.

Pensavate che una tale performance potesse sfuggire alle ironie ed agli strali della Rete?

Ma quando mai!

Nelle ultime 24 ore la  sua “prestazione” è diventata cliccatissima online  su tutti i social network. 

Al riguardo vi consiglio l’imperdibile imitazione di Maurizio Crozza (https://www.repubblica.it/spettacoli/2024/11/16/video/crozza-fitto_e_i_problemi_con_linglese_no_problem_se_passo_lesame_meloni_mi_regala_un_motorino-423636068/).

Inutile girarci attorno; il suo discorso, in lingua inglese, nonostante l’assenza di errori grammaticali o di contenuto, è suonato strano alle orecchie di molti per la pronuncia con flessione fortemente italiana e per niente corrispondente o simile a quella dei madrelingua.

Un membro del parlamento ungherese, prendendo la parola, ha addirittura fatto notare il “bellissimo accento italiano del ministro”. 

Resta il fatto che il video è diventato virale e ha scatenato l’ilarità, ma anche la rabbia di molti. 

Ecco alcune reazioni raccolte da X:

“Se questo è l’inglese che deve utilizzare al Parlamento europeo, può prendere lezioni private da un bambino di terza elementare”.

“Ogni volta che un traduttore ascolta il discorso di Fitto, quel traduttore muore”.

“Fitto ha studiato inglese ascoltando le canzoni di Al Bano”.

“Resta imbarazzante una classe dirigente che si candida a ruoli internazionali e non riesce a maneggiare decentemente l’inglese. Fitto è la perfetta immagine di un Paese restato al secolo scorso”.

“Qualche lezione privata da un professore madrelingua inglese Fitto la poteva pure prendere”.

Inevitabile anche la comparsa del cartello pubblicitario con lo slogan “Impariamo l’inglese con Raffaele Fitto”, che mi ha fatto veramente ridere.

Intendiamoci, al di là delle comprensibili e scontate ironie, considererei un errore valutare la candidatura di Fitto sulla base del suo inglese, perché io reputo il suo nome sicuramente come la scelta migliore che Giorgia Meloni potesse fare nell’ambito della sua cerchia di fedelissimi. 

Per il resto rimane aperta la questione sull’efficacia dell’insegnamento delle lingue, ed in particolare dell’inglese come lingua franca, nelle nostre scuole.

Non prendo neppure in considerazione i metodi dei miei anni (parliamo di mezzo secolo fa), in cui si indulgeva più sullo studio della letteratura (al liceo io studiavo francese) che sulla lingua parlata.

Ma ancora oggi mi si parla di totale assenza di esercizi di ascolto con madrelingua, di parlato per migliorare la pronuncia e il connected speech,  e di insegnamento di linguaggio colloquiale ed informale.

Mah, forse hanno ragione (e fra questi c’è anche la Premier) coloro che affermano che l’inglese l’hanno imparato, più che sui banchi di scuola, grazie alla musica, alle serie Tv ed ai film.

Per la nostra scuola si tratta di un’ennesima bocciatura!

Umberto Baldo

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