È l’ora della Fika
di Umberto Baldo
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Qualche giorno fa mi trovavo a camminare per il centro del mio Paese, nota località termale, e davanti a me passeggiavano quattro ragazzi, due maschi e due femmine.
Relativamente all’uso del termine “ragazzi”, mi rendo conto che quando raggiungi una certa età quelli più giovani ti sembrano tutti “ragazzi”, a maggior ragione quelli di cui parlo, che avranno avuto a occhio e croce sui 20, 22 anni.
Tre erano sicuramente italiani, un paio oserei dire veneti dalla cadenza, un altro ancora dell’Italia centrale (forse toscano), e infine una ragazza decisamente straniera.
“Straniera del nord Europa”, così almeno l’ho subito inquadrata sulla base dei tratti somatici.
Bionda, abbastanza alta, occhi chiari, parlava tutto sommato un buon italiano, ma con quell’inconfondibile accento che hanno solo coloro che sono nati nelle città della Lega Anseatica, il che vuol dire nei Paesi posti sulle sponde del Mar Baltico.
Ho appurato in un secondo momento che la ragazza era infatti svedese, e che si trovava dalle nostre parti per un periodo di studio universitario.
Quindi quattro goliardi, dall’aspetto spensierato, che si godevano quattro passi, ridendo e scherzando fra di loro.
Eravamo verso metà mattina, e ad un certo punto ho sentito la “svedesina” rivolgersi agli amici con queste parole: “E’ l’ora della Fika, vogliamo farla?”
Credo che tutti voi, e non parlo solo dei maschi latini magari ancora malati di “gallismo”, di fronte ad una frase del genere sareste rimasti basiti.
Anche perché un conto sono le parole, un altro la scrittura, e sfido chiunque, di fronte alla frase pronunciata dalla ragazza, a non pensare a quel particolare termine scritto con la “C”, e non, come ho potuto appurare più tardi, con la “K”.
Ed è inutile girarci attorno, quella parola, scritta con la “C”, in tutta Italia ha solo un significato, preciso, inequivocabile, inevitabilmente collegato al sesso femminile.
Ma veniamo al seguito.
Onestamente non sono stato il solo a restare impietrito di fronte a quell’uscita.
Anche i tre amici della ragazza si sono fermati, guardandola con una espressione fra lo stupito e l’imbarazzato (soprattutto l’altra ragazza), come se le stessero chiedendo: “Ma sei impazzita? Dire queste cose, fare queste proposte in mezzo alla strada, per di più a voce alta?”.
Dalla faccia divertita della “svedesina” ho capito che la ragazza non era stupida, nel senso che sapeva quello che diceva (d’altronde le “scurrilità” sono la prima cosa che si impara in un Paese straniero), e che sicuramente voleva scioccare, o provocare, i suoi compagni di passeggio.
Il gruppo si è inevitabilmente, naturalmente oserei dire, guardato attorno, sicuramente per controllare l’effetto dell’uscita dell’amica.
Io ero immobile ad un paio di metri, evidentemente con una espressione che non oso immaginare, e non ho trovato di meglio che rivolgermi loro con un sorriso aperto, guardando i maschi negli occhi e dicendo “bel programma!”.
Non ho osato fare la battuta “Posso venire anch’io?” per il timore di passare per un vecchio maniaco sessuale.
A quel punto, debbo dire con molta intelligenza e fair play, la ragazza svedese ha specificato che tutti noi avevamo equivocato, perché la Fika (col “K”) nel suo Paese è una cosa assolutamente seria, e non c’entra per nulla con i nostri “pensieri impuri”.
Freja, questo il suo nome, ci ha quindi specificato che Fika è un termine derivato da una parola gergale svedese del 19° secolo per indicare il caffè (kaffi).
Scambiando le lettere nella parola “kaffi”, con il tempo si è arrivati a fika.
Fika può essere usato come sostantivo (è il momento della fika) o come verbo (shall we fika?). Il terminefikabröd (in italiano, “pane fika”) si riferisce a qualsiasi prodotto da forno che potresti gustare durante la tua Fika.
Dopo qualche breve spiegazione ho lasciato che i quattro ragazzi entrassero in un Bar, ma capite bene che una volta arrivato a casa mi sono fiondato sulla tastiera del mio Mac per saperne qualcosa di più.
Ho potuto così appurare che la Fika esiste anche da noi, e così in tutto il mondo, solo che noi la chiamiamo pausa caffè.
Ma la Fika è qualcosa di diverso dal frettoloso sorbire una bevanda calda cui siamo abituati; è un fatto culturale.
Più che una semplice pausa caffè, la Fika incarna una filosofia, uno stile di vita connaturale ad ogni svedese. Questo delizioso rituale, intrecciato senza soluzione di continuità nel tessuto quotidiano della vita svedese, offre una finestra sull’anima della Svezia.
La Fika è un vero e proprio rituale che, pur essendo incentrato sul caffè, non si limita ad esso.
È un’esperienza, un fenomeno sociale che invita le persone a rallentare e ad assaporare il momento.
Il caffè, tradizionalmente forte e ricco, fa da sfondo, una costante confortante in mezzo al flusso e riflusso della vita. Accompagnata spesso da una selezione di prodotti da forno, come l’iconico panino alla cannella o “kanelbulle”, la Fika trasforma una normale pausa caffè in un evento di gioia e cameratismo.
È una pratica che attraversa tutti gli strati della società.
Nei luoghi di lavoro, le pause Fika sono un rituale quotidiano, un momento in cui i colleghi si riuniscono, lasciando titoli e compiti alla porta, per legare su momenti condivisi. Quindi nessun capo ufficio vi rimprovererebbe per la mezz’ora dedicata alla Fika, anzi forse vi valuterebbe negativamente se la disertaste.
In altre parole nell’ambiente di lavoro svedese, Fika è parte integrante della cultura organizzativa. Gli uffici hanno spesso aree Fika designate, dove i dipendenti si riuniscono a orari stabiliti per fare una pausa collettiva. Questa pratica, come accennato, abbatte le barriere gerarchiche, favorendo un senso di uguaglianza e cameratismo tra colleghi. L’ambiente Fika dell’ufficio, solitamente semplice ma confortevole, incoraggia una conversazione aperta; è un momento in cui le idee vengono scambiate davanti a tazze di caffè e panini alla cannella, spesso portando a collaborazioni e soluzioni creative che forse potrebbero non emergere in una sala riunioni formale.
Inutile dire cha la Fika ha rituali diversi a seconda dello scorrere delle stagioni; e così ad esempio d’estate si può fare all’aperto.
Ma come la mettiamo con la moderna organizzazione del lavoro? Niente paura, nell’era digitale di oggi, Fika ha trovato la sua strada anche nel mondo virtuale.
Le videochiamate e gli incontri online hanno introdotto il concetto di “Fika digitale”, consentendo ad amici, familiari e colleghi di godersi questo rituale sociale da remoto.
Concludendo, mi sembra quasi di sentire le vostre battute sboccate, i vostri sottintesi.
Non mi sento di biasimarvi!
Ma spero abbiate capito che se capitate in Svezia, ed una ragazza vi dice “Facciamo Fika”, in realtà vi sta invitando a fare uno spuntino e non un’ammucchiata a letto.
Umberto Baldo