E’ morto Rigato, la sua banda uccise l’agente Loris Giazzon nella rapina alla Bpvi di Olmo
di Alessandro Ambrosini
Pochi giorni fa, è morto per infarto Massimo Rigato. Uomo legato alla Mala del Brenta, uno dei fratelli della prima moglie di Felice Maniero e, soprattutto, uno dei rapinatori che, esattamente il 21 Aprile 1993, assaltò la filiale della Banca Popolare di Vicenza di Olmo di Creazzo. Assalto finito nel sangue a colpi di Ak-47. Assalto che portò alla morte dell’agente di Polizia Loris Giazzon e al ferimento del collega Massimo Cesarotto. Quest’ultimo, per le ferite subite, e’ rimasto in sedia a rotelle per tutta la vita.
Rigato è morto d’infarto, queste le indiscrezioni che siamo riusciti a raccogliere. Una morte che arriva quasi nello stesso giorno che 21 anni prima tracciò un solco indelebile e colpevole nella vita del bandito.
QUEL POMERIGGIO DI FUOCO
Sono quasi le quattro del pomeriggio, è l’orario di chiusura della banca. Gli ultimi clienti si affrettano ad entrare in questo mercoledi d’aprile. Tutto sembra ovattato dall’ordinarietà del tram tram quotidiano: frusciare di banconote che vengono contate, stampanti che gracchiano mentre producono saldi e pagamenti effettuati, un quasi religioso silenzio davanti alle casse. Tutto normale.
A rompere, a infrangere quel torpore è lo sfondamento della porta principale dell’istituto. Un camioncino, con tre pali legati insieme e usati come ariete, viene lanciato a tutta velocità contro la filiale Bpvi. Tre banditi entrano armi in pugno. Armi pesanti, armi da guerra: kalashnikov Ak 47, un must in quel periodo e quasi una firma sugli autori della rapina.
Non era un commando di sprovveduti o di “inventati”. Potevano essere nomadi “giostrai” come componenti della Mala del Brenta. Erano loro a importare, da anni, armi dall’est e ne avevano fatte girare parecchie. Maniero era all’apice della sua potenza e il suo esercito era numeroso e senza remore.
Prendono dalle casse 50 milioni mentre qualcuno avverte il 113. Sono minuti quelli che passano, ma sembrano ore per chi è sotto il tiro dei fucili mitragliatori. Dalla Questura parte l’allarme a tutte le volanti e la prima ad arrivare è quella del capopattuglia Giuseppe Giudice e degli agenti Giazzon e Cesarotto.
Loris Giazzon è vicentino, di 28 anni. Una moglie e due figli che lo aspettano a casa. Vicenza è una città tranquilla tutto sommato. Non è Palermo dove il rischio di morire è all’ordine del giorno. Una famiglia è qualcosa di normale per un poliziotto. Anche per Maurizio Cesarotto, originario di Padova e appena 26enne, la parola famiglia ha un significato nuovo. Si è sposato da poco e da 11 giorni è anche padre. Sono anni in cui il Veneto è tempestato di rapine con il metodo dell’ariete ma gli scontri a fuoco sono rari. I pezzi forti della Mala sono morti o in galera.
La “pantera” arriva veloce e si ferma davanti alla banca. Gli agenti scendono e la cosa non passa inosservata ai banditi mentre stanno uscendo con il malloppo. Si ritrovano praticamente faccia a faccia. Attimi e i malavitosi ritornano veloci dentro l’istituto. Gli agenti non possono sparare, la banca è nel cuore del centro del paese. Troppe persone in strada per rischiare un conflitto a fuoco. La pressione sale nella mente dei rapinatori e seppure tutti “ vecchi arnesi” del crimine, uno di loro, Ennio Rigato, da una finestra inizia a sparare all’impazzata verso gli agenti. I colpi del kalashnikov sono distinguibili da tutto e sono letali come morsi di un serpente dentro la carne. Cadono sotto i colpi sia Giazzon che Cesarotto. Il capopattuglia riesce a nascondersi dalla tempesta di fuoco mentre Rigato urla: “Ne go fato fora do”(Ne ho fatti fuori due).
A queste parole i banditi capiscono che per riuscire a scappare devono prendere degli ostaggi. Sono il direttore Claudio Retis e un cliente, Gian Nico Amabile, i prescelti. Salgono su una “Uno” rossa parcheggiata davanti alla banca e sfrecciano in direzione nord. Incrociano una “gazzella” dei carabinieri nella loro fuga ma il pericolo “ostaggi” fa desistere i militari dall’aprire il fuoco. Riusciranno a fuggire cambiando auto, una Golf già preparata per l’occasione mentre in tutto il Veneto scatta l’allarme e la caccia.
Nel frattempo, davanti alla banca, con l’arrivo di altre pattuglie e delle ambulanze si consuma la fine e l’inizio di un dramma. Sotto un telo bianco rimane, senza vita il corpo dell’agente Loris Giazzon. In ambulanza, a sirene spiegate, la vita del suo collega Massimo Cesarotto è attaccata ad un filo. I proiettili hanno trapassato la schiena lesionando permanentemente la spina dorsale. La sua vità continuerà su una sedia a rotelle dopo ore di intervento chirurgico all’ospedale San Bortolo.
BATTERIA DI FUOCO
Era una batteria estremamente pericolosa quella che assaltò la Banca Popolare di Vicenza quel pomeriggio: i fratelli Ennio e Massimo Rigato, Stefano Ghiro e Pasqualino Crosta (confessò nel 96 la sua partecipazione alla rapina diventando collaboratore di giustizia), questi i nomi dei sodali.
Dopo la cattura emerse un secondo omicidio avvenuto pochi mesi dopo la rapina. Era il 20 Ottobre del 1993. A morire quella volta fu Umberto Tacchetto di Sant’Angelo di Piove. Fu freddato con un colpo di pistola e avvolto in una rete in un canale di Cavarzere. Chi lo freddò non fu mai chiaro. Crosta disse che furono Massimo Rigato e Ghiro a ucciderlo ma questo lo seppe da una terza persona e non trovò riscontro. Di consistenza diversa fu la dichiarazione dello stesso Massimo Rigato. Con la frase “Mio fratello ha ucciso due volte” cercò di addossare la colpa a Ennio Rigato che nel frattempo era stato già condannato a 30 anni per l’omicidio dell’agente Giazzon. Neanche in questo caso si trovarono validi riscontri ma la frattura tra i due divenne insanabile.
Oggi Massimo Rigato è morto e si chiude una parte di quella storia che costò lacrime e sangue. Una storia di un nord-est sotto l’attacco quotidiano di batterie di rapinatori che imperversavano tra banche, oreficerie e uffici postali. E’ una storia di guardie e rapinatori, storie che molte volte abbiamo visto finire con delle lenzuola sull’asfalto, da cui uscivano scarpe da ginnastica bianche o scarpe d’ordinanza. Metafore involontarie di vita e distinzione. E’ una storia in bianco e nero, che racchiude per sempre i colori del sangue e del dolore di chi ha pagato con la vita quei giorni di follia.