31 Dicembre 2019 - 9.12

Cosa ricordare in Veneto del 2019?

Quando si parla dei fatti che hanno caratterizzato la vita di una Regione, rispetto agli accadimenti riferiti al mondo intero o all’Italia, è un po’ più difficile individuare i fatidici 10. E non perché non sia accaduto nulla.  Ci mancherebbe!Ma perché la dimensione “regionale” è un po’, come dire, più “provinciale”.   E per quanto i problemi siano sentiti dalla popolazione, escludendo i fatti di cronaca nera, e quelli di cronaca “sanitaria”, tipo la nuova Pediatria o la chimera del nuovo Ospedale a Padova, non sono poi molti gli avvenimenti che fra qualche anno riaffioreranno alla mente rievocando l’anno 2019.Quindi non vogliatemene se, alla fine, l’elenco non raggiungerà la soglia fatale dei “10”, ma siate certi che quelli di cui parleremo resteranno nella memoria collettiva di noi veneti per lungo tempo.A come AutonomiaRitengo opportuno cominciare da qui non per una questione di ordine alfabetico, ma perché a due anni dal Referendum in cui 2,3 milioni di veneti hanno espresso un ”SI” convinto ad una maggiore attribuzione di competenze alla Regione, siamo ancora qui a parlarne. Il 2019, nelle previsioni, doveva essere l’ “Anno buono” per il raggiungimento di questo obiettivo, ma dopo ben tre Governi, in questo “gioco dell’oca” siamo sempre alla casella iniziale. E pensare che nel frattempo c’è stato anche un Governo con Salvini vicepremier ed Erika Stefani Ministro agli Affari Regionali.  Nulla può essere imputato alla Stefani, che ha presieduto oltre 100 incontri, fra cui 30 alla presenza dei rappresentanti del Veneto. Ma quando si è cercato di arrivare ad una stretta, è risultato evidente che il problema è politico, non tecnico.  Contro l’autonomia differenziata si sono mossi tutti: i Governatori del Sud guidati dal campano Vincenzo De Luca, le associazioni di categoria e gli ordini professionali delle regioni meridionali, i Sindacati della scuola, lo Svimez, le Università. Si è arrivati anche al punto che i medici del sud hanno stampato cartelloni con malati oncologici che chiedevano all’Italia di “non abbandonarli”.  E’ chiaro che con questo clima il Movimento 5 Stelle, che da sempre ha trovato al Sud i maggiori consensi, non poteva che erigere un fuoco di sbarramento contro l’autonomia.   Ma credo abbia anche giocato una certa ambiguità di Matteo Salvini, al quale non veniva certo facile caldeggiare le richieste del Veneto nel mentre chiedeva voti ai cittadini del meridione. Con il Governo giallo-rosso sembrava che il nuovo ministro per le autonomie Boccia avesse trovato la quadra promuovendo una legge quadro per garantire a tutte regioni gli stessi livelli di servizi.   Ma alla prova dei fatti si è visto che il suo tentativo è stato nuovamente stoppato, ed a questo punto è prevedibile che di autonomia si potrà forse parlare concretamente qualora il centro destra dovesse vincere le prossime politiche, che al momento restano però fissate per il 2023. Ad oggi possiamo solo constatare che il 2019 su questo fronte si è chiuso con l’ennesimo “nulla di fatto”. Olimpiadi invernali del 2026″And the winner is Milano-Cortina”.  Con queste parole il Presidente del Cio Thomas Bach ha annunciato a giugno la vittoria delle località italiane, che si sono imposte battendo la Svezia, nazione che di neve e di sport invernali certo se ne intende.   Nonostante la contrarietà di esponenti politici piemontesi,  determinante per costringere la Torino “grillina” a chiamarsi fuori, la partita si è chiusa positivamente, e si tratta di un’importante vittoria per l’Italia ed per il Veneto.   Ma anche di una grande opportunità per l’economia, visto che si prevedono 1,1 miliardi di investimenti per la Regione Veneto e le Province autonome di Trento e Bolzano, con una ricaduta occupazionale di circa 13.800 posti di lavoro.  C’è solo da augurarsi che gli interventi previsti siano realizzati senza i fenomeni di malversazione e corruzione che purtroppo  ormai accompagnano ogni opera pubblica. Il Veneto non può permettersi di ripetere la nefasta esperienza del Mose.Colline del Prosecco patrimonio dell’umanitàIl processo avviato nell’ormai lontano 2008 per ottenere il riconoscimento delle colline di Conegliano e Valdobbiadene quale patrimonio dell’Unesco si è concluso positivamente nel 2019. Non c’è dubbio che il merito di questo importante riconoscimento va a Luca Zaia, che nel 2009 ha voluto la legge sulle zone di produzione (Conegliano-Valdobbiadene, Asolo e la grande Doc da Vicenza a Trieste) che ha messo sotto tutela le bollicine a base del vitigno Glera, e le ha lanciate nel mondo fino a superare il mezzo miliardo di bottiglie vendute.Ricordiamo che parliamo di poco meno di diecimila ettari, nei Comuni di Valdobbiadene, Vidor, Miane, Farra di Soligo, Pieve di Soligo, Follina, Cison di Valmarino, Refrontolo, San Pietro di Feletto, Revine Lago, Tarzo, Vittorio Veneto.Perché l’Unesco alle fine ha detto si?    Perché si tratta di un luogo in cui generazioni e generazioni di contadini, fin dal lontano 1600, hanno conquistato il terreno dove coltivare i vitigni, lavorando spesso su pendenze così ripide da impedire l’uso di macchine agricole.   Diventando gli artefici, i creatori di un «paesaggio culturale»  paragonabile ad altre importanti zone vinicole (in Italia Langhe, Roero e Monferrato; in Francia Champagne, Borgogna e Saint-Émilion).  Il riconoscimento di patrimonio dell’Umanità, oltre che un premio alla fatica contadina, costituisce anche un impegno a conservare e migliorare questo habitat unico.Acqua Granda a VeneziaFra gli avvenimenti che nel 2018 hanno condizionato la vita del Veneto, e che saranno ricordati nel futuro, inserimmo l’”Uragano di novembre”, che colpì le montagne venete, radendo letteralmente al suolo boschi secolari.  Pensavo, e speravo, che eventi estremi del genere fossero un’eccezione.  Invece, ad un anno di distanza mi trovo costretto a chiudere questa breve lista dei fatti più rilevanti del 2019 in Veneto, con un’altra sciagura, quella dell’ “acqua granda” a Venezia.  Tviweb ha già dedicato le sue attenzioni alla tragedia della città lagunare, ed a quella vera e propria storia criminale che è stato fino ad ora il MOSE.  Rimane aperto il problema messo a nudo dall’ “acqua granda”, che si può riassumere in una sola parola: “fragilità”.   Fragilità di una città edificata  sull’acqua sottraendo terra al mare, fragilità di un ambiente naturale unico, assolutamente impreparato a subire gli assalti di un turismo di massa che ha raggiunto livelli insostenibili.Tanto da indurre Mechtild Rossler, direttrice del Centro per il Patrimonio Mondiale Unesco ad annunciare l’invio di una missione a gennaio per capire meglio come stanno le cose. Secondo l’Unesco ci sono questioni di management inefficace, ci sono questioni di impatto turistico e, naturalmente, ci sono questioni relative all’alta marea.Si è quindi aperta una vera e proprio istruttoria, che metterà  sicuramente sotto la lente il passaggio delle grandi navi da crociera in bacino di San Marco, l’incontrollato assalto dei turisti, la destabilizzazione degli edifici, ed in generale tutti gli impatti negativi sull’ecosistema della laguna.Non vorremmo che, alla fine dell’esame, a fronte del riconoscimento dell’Agenzia dell’Onu alle colline del Prosecco di cui abbiamo parlato sopra, ci fosse l’inserimento di Venezia in una black list, che equivarrebbe di fatto ad una esclusione dai siti dichiarati patrimonio dell’Umanità.   Sarebbe il fallimento definitivo dell’Italia e della sua classe politica.Questi i fatti che, a mio avviso, rimarranno nella memoria dei veneti relativamente al 2019.  Ne manca qualcuno?  Sono sicuro di sì, e vi chiedo venia. Lo sguardo corre ora inevitabilmente al 2020, e ovviamente tutti ci auguriamo che sia migliore del 2019.    Ma per essere veramente migliore bisognerebbe che chi di dovere si rendesse finalmente conto che una Regione come il Veneto, con una struttura produttiva in grado di competere sui mercati internazionali, ha bisogno di riforme strutturali ed infrastrutturali, di meno burocrazie, di politiche liberistiche.  Continuando invece con politiche di tipo assistenzialista, tagliate su misura per parti del Paese che vivono di sussidi e di spesa pubblica, anche il Veneto alla fine rischia di perdere quella “voglia di fare e di competere” che è stata la chiave di volta del suo sviluppo nel dopoguerra. 

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