15 Marzo 2016 - 9.45

EDITORIALE – Primarie Pd, il lento declino del partito Dem

primarie.pd_
di Marco Osti

É un solco sempre più ampio e profondo quello che lacera il Partito Democratico e divide la minoranza interna, che trova in Pierluigi Bersani la sua principale figura di riferimento, dalla maggioranza, in cui vi sono tutti i seguaci di Renzi, da quelli della prima ora a quelli che l’hanno sostenuto dopo che ha conquistato la leadership.
Prima gli anti Renzi erano anche esponenti come Pippo Civati e Stefano Fassina, il cui rilievo nel panorama politico del Paese è diminuito in modo sensibile quando hanno lasciato il Pd.
Bersani ha invece sempre escluso l’ipotesi di una sua uscita da quella che ritiene la sua formazione politica di appartenenza, per la radicata convinzione di dover combattere le battaglie, anche le più dure, all’interno delle mura della propria casa, che va sempre e comunque difesa rispetto all’esterno, e perché, da consumato politico, è consapevole che l’uscita dal Pd favorirebbe solo Renzi e indebolirebbe la portata delle sue posizioni.
E certamente duro è lo scontro che si sta svolgendo dentro al partito in questi mesi, con un nuovo motivo dopo le primarie svoltesi per individuare il candidato sindaco a Roma e Napoli, che hanno palesato disorganizzazione, sfilacciamento della proposta politica e una gestione molto discutibile, per i dubbi emersi sulla correttezza, per i possibili condizionamenti impropri e per il ricorso a pratiche al limite dell’illegalità.
Una situazione molto grave per un partito che si definisce democratico e che, introducendo le primarie diversi anni fa, ha voluto imporre una svolta a favore di una gestione condivisa dei processi di scelta della classe dirigente.
Proprio le regole delle primarie furono tra i grandi temi con cui Renzi attaccò i vertici del partito, quando ritenne, secondo noi fuori luogo, che dovessero essere aperte anche a chi non era iscritto al Pd, cosa che ha un senso per votare un candidato di coalizione, ma non uno di partito.
In quel periodo il futuro premier invocava trasparenza, democrazia e moralità, ma oggi che le primarie sono gestite dal partito sotto la sua guida e ogni volta si trasformano in un campo di scontro e manifestano dubbi sulla loro regolarità, lui tace e lascia che si applichino metodi quanto meno impropri, come è apparso chiaro essere quello per cui, al ricorso di Bassolino per verificare la regolarità della consultazione a Napoli, hanno risposto prima i vertici di partito che la commissione di garanzia, appositamente istituita e inevitabilmente quindi condizionata.
Un comportamento che Massimo D’Alema ha giudicato arrogante, scatenando una polemica nella polemica, da parte di chi, anche tra elettori e militanti sui social network, sostiene che certo non è lui il personaggio che può portare tale accusa, visti i metodi altezzosi con cui, a loro avviso, si è mostrato quando era lui al comando.
Certo non si può dire altrettanto di Bersani, il cui stile è sempre stato certamente più sobrio, ma ciò non basta a renderlo esente dalle critiche della maggioranza del Pd e dei suoi sostenitori, che non perdono occasione per dargli del perdente, visto che non riuscì a vincere in modo netto le precedenti elezioni.
Ha però ragione Bersani che oggi Renzi governa con i voti che prese la coalizione di centrosinistra da lui guidata e pare pretestuosa la critica che non riuscì a fare un accordo con il Movimento 5 Stelle, posto che nemmeno l’attuale premier c’è riuscito, tanto che, per mantenere in vita il Governo, non ha avuto alcuna remora ad accordarsi con Denis Verdini e i i suoi scherani fuoriusciti da Forza Italia.
Una mossa che Bersani mai avrebbe potuto fare, perché in quel periodo lo stesso Renzi, che puntava alla scalata del partito e del Governo, non passava giorno senza criticare i vertici Pd e dichiarare inaccettabili qualsiasi accostamento a Berlusconi.
Bersani fu al centro di un quotidiano stillicidio da parte dell’attuale premier, che disdegnava la presenza alle riunione della Direzione Nazionale del Pd ed esternava tutti i giorni su qualsiasi media e social network le sue invettive contro la classe dirigente del suo partito.
Oggi Renzi non tollererebbe un decimo di tale contrapposizione, che certamente non aiutò durante la campagna elettorale, in cui probabilmente il consenso raccolto da Bersani e dal Pd, senza i continui attacchi interni, sarebbe stato più ampio e magari anche tale da garantire la formazione dell’Esecutivo evitando di rincorrere i grillini come unica mossa possibile.
Una volta presa la guida del Governo Renzi ha invece fatto il patto del Nazareno con l’ex Cavaliere, non ha mai detto più una parola sul conflitto di interesse e poi ha accettato il sostegno di Verdini.
Insomma si è prodotto in tuffi carpiati con molteplici avvitamenti, degni della migliore Tania Cagnotto, che mai avrebbe perdonato al suo predecessore, il quale probabilmente molto meno avrebbe comunque fatto, posto il valore che attribuisce al partito, mentre Renzi sempre più lo considera un contenitore privo di valore in termini di discussione e proposta, ma unicamente uno strumento utile a sostenere il suo potere attraverso la capacità organizzativa e di movimentazione alla ricerca del consenso.
Oggi questo metodo di gestire il partito, tipico anche del Governo, sta però lentamente erodendo molto consenso a sinistra e allarga sempre più il solco all’interno del Pd, minandone la tenuta elettorale e soprattutto il suo posizionamento politico, che molti non individuano più nel centro sinistra.
Unica strada possibile per uscire da questa situazione sarebbe quella di cambiare segretario del Pd e disgiungerne la figura da quella di presidente del Consiglio, in modo che il partito si riappropri del suo ruolo di proposta politica e di pungolo all’azione del Governo, che acquisterebbe così anche maggiore credibilità.
Questa strada significherebbe per Renzi accettare di dividere il suo attuale potere e che le decisioni da assumere siano espressione di un dibattito e di una condivisione collettiva e non mera esecuzione delle sue scelte.
Questi sono quindi i motivi per cui tale divisione di cariche non ci sarà e le lotte interne al Pd e al Paese continueranno, fino al momento in cui vi sarà un’implosione dagli effetti per ora non preventivabili, ma certamente dirompenti.

VIACQUA
MOSTRA BASSANO
Whatsapp Tviweb
VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
UNICHIMICA

Potrebbe interessarti anche:

VIACQUA
MOSTRA BASSANO
VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
AGSM AIM
duepunti
CAPITALE CULTURA
UNICHIMICA