16 Gennaio 2018 - 9.28

EDITORIALE – Vicenza Calcio, gli imprenditori si scansano: ecco perchè

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Nella trasmissione di Renzo Arbore “Quelli della Notte”, di tanto in tanto, appariva un comico eccezionale che, con l’espressione seria del filosofo, pronunciava frasi di una banalità sconvolgente, creando l’effetto comico. Frasi del tipo: “E’ meglio essere promossi a giugno  che essere bocciati a settembre!”, frasi talmente assurde che ci mettevi un secondo a sbellicarti dalle risate.

Ecco, la situazione del Vicenza Calcio oggi sembra frutto di una di quelle frasi: “E’ meglio andare a comprare la società senza i debiti al fallimento, piuttosto che comprarla prima con una montagna di conti da pagare!”. Ma è ovvio, dai, facciamoci una risata!

E’ singolare adesso vedere come tutti stiano correndo ad accreditarsi come salvatori della Patria, ma l’analisi deve essere un po’ più disincantata.

Le diverse gestioni che si sono susseguite negli anni hanno lasciato un monte di debiti. Ogni singola volta che si è sentito parlare di possibilità di acquisto, ci si è arenati al momento di andare ad aprire i libri contabili della società biancorossa. Sono arrivate le proposte più improbabili e altre forse molto serie e ogni volta chi voleva comprare alla fine è scappato. I soldi c’erano o non c’erano? Probabilmente così tanti soldi non ci sono mai stati. I debiti, pur enormi, erano gestibili fin quando il Lane è riuscito a rimanere attaccato alla serie B, poi sono diventati impossibili.

Non è un caso che, non appena la procura ha avuto la possibilità di guardare i libri contabili ha impiegato un paio di settimane per farsi l’idea che i bilanci fossero probabilmente falsi, che la situazione di insolvenza fosse evidente e per avanzare l’istanza di fallimento.

Ci sono state reazioni incredule, quasi offese: “Ma come, il Vicenza fallisce, la storia si offende, i colori infangati, i tifosi beffati.” Molto meno increduli i giocatori che da cinque mesi non prendono lo stipendio e che hanno raccontato di scene incredibili: chiamati in sede per ricevere lo stipendio si sono sentiti presi in giro quando improvvisamente il conto corrente non aveva più capienza, quando sono state accampate le scuse più improbabili. E loro hanno detto basta, sciopero, messa in mora, istanza per risoluzione del contratto e svincolo a costo zero. Sono undici le richieste di questo tipo già depositate, ma solo due o tre calciatori avrebbero nel frattempo una alternativa credibile.

In mezzo c’è stata la farsa carnevalesca di una società che avrebbe voluto mandare i ragazzini a giocare con il Padova, dei tifosi – molto più seri – che si sono erti a muro contro l’ennesima presa in giro e la conclusione: tutti a casa, anzi davanti allo stadio a mangiare panini e la società che non trova di meglio che prendersela con la Questura salvo essere presa a pesci in faccia a stretto giro di comunicati.

Ora si va verso l’udienza prefallimentare, con il tribunale che ha già mandato al Menti Nerio De Bortoli, professionista famoso per aver gestito il Venezia fallito come e meglio di un direttore sportivo in servizio attivo: rimane famoso l’episodio della contesa di alcuni giocatori alle buste fra Venezia e Avellino. Lui, De Bortoli, autorizzato dal giudice fallimentare, alla gara delle buste partecipò e vinse, comportandosi come e meglio di navigati direttori di squadre vere. Sarà lui, Nerio, a gestire la transizione, sempre che all’udienza l’attuale debitore, Sanfilippo, non arrivi con una valigia di soldi, abbastanza per ribaltare il giudizio di insolvenza emesso dalla Procura.

E poi? Poi si cercherà di dare due soldi ai calciatori, riportare il Vicenza in campo e fare in modo che rimanga in serie C, almeno fino a giugno. Prima o poi si dovrà arrivare all’asta, vendere il titolo sportivo e con quello che si ricava, spartire i soldi ai creditori.

Ed eccoci alla banalità, tutti a dire: “Adesso si muova la miglior imprenditoria”. Ragazzi, non serve la miglior imprenditoria, basta quella normale, quella del buon padre di famiglia che sa fare due conti. Ieri il Vicenza si poteva comprare a 50 centesimi, ma bisognava caricarsi in spalla qualcosa come 13-15-17-21 milioni di euro di debiti. E il peggio era che nemmeno si sapeva esattamente quanti caspita fossero davvero. Oggi si andrà all’asta a comprare un bene che può essere stimato, che può ragionevolmente avere un valore e che può ragionevolmente fruttare qualcosa. Un imprenditore sa quello che si può fare, ma probabilmente con due conti sul tavolo lo sapreste fare anche voi. E nessuno dimentichi che è già accaduto e che quella volta, a Milano, gli unici a presentarsi lungo le scale del palazzo di giustizia furono gli inglesi. Anche allora i migliori imprenditori preferirono girare la testa dall’altra parte.

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