13 Settembre 2022 - 9.05

Elezioni – La caccia ai voti del Sud di Conte e Letta

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Da una vita mi pongo questa domanda: ma ci può essere politica senza  etica?

Non ho ancora trovato una risposta, e comincio a pensare che forse non esista neppure.

La verità è che il rapporto fra etica e politica fin dall’antichità è sempre stato un rapporto difficile.

Senza scomodare Machiavelli, so bene che la politica non è roba da educande, ma in questi giorni di campagna elettorale diventa a mio avviso inevitabile chiedersi fino a che punto sia morale fare promesse ai cittadini, sapendo che si tratta di palesi menzogne, o nella migliore delle ipotesi di sogni irrealizzabili.

Ma analogamente ritengo poco etico difendere provvedimenti già in essere, palesemente sbagliati o iniqui, per conquistare i voti degli elettori.

Avrete certamente capito che il mio discorso è  generale, ma ad attirare la mia attenzione sono in particolare i contenuti della campagna elettorale dell’ex premier Giuseppe Conte e del Segretario del Pd Enrico Letta nelle Regioni del nostro Sud.

Conte ha capito che per il suo Partito (francamente non so se si possa ancora parlare del M5S delle origini) al Nord non c’è trippa per gatti.

L’Italia che lavora e produce non ha mai accettato il concetto che lo Stato debba pagare un assegno mensile anche a gente che preferisce stare in divano, o che incassa il sussidio lavorando poi in nero.

Di conseguenza, a parte qualche puntata a nord del Po tanto per fare un po’ di cinema, per dire “ci siamo anche noi”, si è concentrato nelle Regioni meridionali, ed in particolare in Campania ed in Sicilia, tanto che gli ultimi sondaggi pubblicati  lo davano in questi territori come il primo partito.

L’uomo oltre che di legge sa qualcosa anche di numeri, e questi dicono che un quarto dei percettori del Reddito di Cittadinanza risiedono in Campania (circa 630mila persone), con un picco a Napoli di 400mila.

Non si sono mai visti i tacchini votare per il Natale, per cui pensate che i percettori attuali del Reddito, terrorizzati dall’idea di perderlo, possano votare la Meloni o Calenda che parlano apertamente di “abrogazione”, o un Pd o una Lega che non sanno che pesci pigliare perché non vorrebbero perdere voti né al Nord né al Sud?

Ovviamente questa offensiva “chavista” dell’Avvocato del Popolo disturba Enrico Letta, anch’egli in difficoltà al Nord e anche nelle cosiddette ex “Regioni rosse” (a mio avviso per l’apparentamento elettorale con gli epigoni del comunismo nostrano), e di conseguenza ha deciso di concentrarsi anche lui sulle Regioni meridionali.

E allora cosa c’è di meglio che inseguire Conte sulla strada delle promesse fantasmagoriche?

E così in un tour in Puglia sull’ormai famoso bus elettrico ha lanciato la parola d’ordine: “riscatto” del sud.

Declinando questo riscatto anche in proposte concrete, fra cui spiccano 900mila (sic!) assunzioni nella Pubblica Amministrazione al grido di “Vogliamo una P.A forte, efficace, giovane, digitale”, l’aumento della spesa sanitaria al 7% del PIL, fiscalità di vantaggio da trattare con la Ue per le assunzioni, oltre ovviamente al ribadire che “il reddito rimarrà parte integrante dell’agenda del Pd” (tanto per non lasciare la palla a Conte).

Mi sembra azzeccato il commento al riguardo di Carlo Calenda “Letta sta delirando”.

Letta sa bene che a queste promesse degli ultimi 15 giorni non ci credono in primis cittadini del Sud, ma se a queste aggiungiamo altre iniziative incomprensibili come il ripudio del blairismo, e l’attacco al Job act che equivale e rinnegare la stagione riformista della sinistra di governo, diventa veramente difficile capire perché il leader PD non abbia scelto da subito la strada dell’alleanza organica con l’Avvocato del Popolo.

Una strada che, spiace dirlo, è l’anticamera per trasformare il M5S, e forse anche parte del Pd, in una Lega-Sud neo borbonica, che piange miseria, e promette elemosine in cambio di voti, facendo così diventare l’assistenzialismo la vera forma dell’identità politica meridionale.

Un meridionalismo che non ha nessuna parentela con quello degli Sturzo o dei Salvemini, ma assomiglia maledettamente a quello degli Achille Lauro.

E non è certamente colpa di certe fasce della popolazione meridionale se i rischi di desertificazione economica e demografica, unitamente a servitù politiche e accattonaggio elettorale, possano fare apparire loro certi sussidi e certe promesse una garanzia di sopravvivenza.

Certo ci sono ragioni storiche nelle ormai croniche differenze fra Nord e Sud, ma queste sono state sicuramente acuite e perpetuate dalle insensate politiche assistenzialiste del meridionalismo di potere.

Ma quel che è certo è che le ricette programmatiche di Conte e Letta rappresentano il suicidio assistito del Mezzogiorno.

E qui torniamo inevitabilmente al punto iniziale del nostro ragionare, quello della moralità nella politica.

Io sarò anche “fuori tempo”, legato a “schemi superati”,  ma  sono fermamente convinto  che difendere una normativa che elargisce cospicue mance per stare lontani dal lavoro o dedicarsi il lavoro nero, o promettere assunzioni a raffica o mirabolanti aumenti della spesa pubblica, possono risultare utili ai fini elettorali, ma deleteri per l’economia ed il mondo del lavoro del Paese.

Io ne faccio ancora una questione di “etica pubblica”, e la campagna elettorale non può costituire una scusante.

PS: se i risultati elettorali fossero quelli ipotizzati dai sondaggi, la nuova geografia politica dell’Italia del dopo 25 settembre diventerebbe estremamente interessante.

Con un Movimento 5Stelle trasformato, come sopra accennato, in una Lega Sud neo-borbonica, orientata a far diventare l’assistenzialismo la vera forma dell’identità politica meridionale.

Una Lega ridimensionata, con Salvini (ammesso che resti ancora il Capo) costretto a mio avviso ad abbandonare i sogni di un Partito nazionale per rientrare nei confini ideali della Padania bossiana, cercando di riconquistare alla “causa” federalista i voti persi nel frattempo a favore della “centralista” Meloni.

Un Partito Democratico intento a leccarsi le ferite (sempre che i sondaggi ci abbiano azzeccato), e quasi sicuramente costretto a cercare un nuovo Segretario ed un posizionamento, sperando che non sia un’alleanza con Conte che lo snaturerebbe definitivamente.

Una Giorgia Meloni impegnata con Fratelli d’Italia a governare al meglio possibile per non disperdere il bottino di voti guadagnati, ma dovendo prestare attenzione anche agli intralci che le arriveranno dagli alleati Salvini e Berlusconi.

Calenda e Renzi, se il risultato delle urne fosse lusinghiero, potrebbero invece dedicarsi a far crescere l’area liberal-democratica, sempre che non comincino a litigare fra di loro.

Tutto il resto, come cantava Franco Califano, è noia.

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