30 Maggio 2023 - 8.43

En Espana gana la derecha. Sanchez anticipa le elezioni

In spagnolo si chiama “fracaso”, traducibile in italiano con “fallimento”, ed effettivamente la notte di domenica per il premier spagnolo Pedro Sànchez è stata una “noche aciaga” (infausta).

Già perché le elezioni amministrative, che vedevano al voto città determinanti come Madrid, Siviglia, Valencia, Valladolid, Barcellona, nonché molte Regioni autonome fra cui Aragona, Extremadura, Cantabria, non sono andate sicuramente bene per il partito Socialista (Psoe), e per i suoi alleati di governo.

Certo le elezioni sono spesso un terno al lotto, ma l’incisiva azione di governo di Sànchez negli ultimi anni, e tutto sommato i buoni risultati, davano l’impressione che la socialdemocrazia in salsa iberica potesse rappresentare il modello per le altre forze di sinistra europee. 

Non è andata così, ed a stupire non è stato il vero e proprio plebiscito a Madrid  per la Presidente uscente della Comunidad de Madrid  Isabel Diaz Ayuso (la capitale è da sempre un feudo del Partito Popolare e comunque delle forze moderate), bensì Siviglia e l’Andalusia, area tradizionalmente legata ai socialisti, ma anche Valencia, e ben sette Comunità autonome sulle 12 dove si votava.

Una batosta sì, ma a ben guardare i dati non c’è stata una dèbacle del Psoe in termini numerici; i socialisti non hanno perso molti elettori.

Ma allora perché il “fracaso”?

Perché si sono squagliati come neve al sole gli alleati di Unidas Podemos, fondato nel 2014 da Pablo Iglesias, e che alle politiche del 2016 ottenne 71 seggi alle Cortes. 

Da quando Iglesias si è ritirato a vita privata, la piattaforma Unidas Podemos, che era il principale socio di governo dei socialisti, ha cominciato a perdere consenso elettorale, e nel frattempo, la vicepremier Yolanda Díaz (che era in quota Podemos pur avendo solo la tessera del Partito comunista) aveva lanciato Sumar, una nuova formazione che aveva l’ambizione di riorganizzare la sinistra-sinistra intorno a parole d’ordine più pragmatiche di quelle di Podemos.

Unitile dire che tutto questo movimentismo dell’izquierda, tutti questi progetti, domenica sera sono finiti, bocciati alle urne dagli spagnoli.

Dall’altra parte, quella dei vincitori, c’è da dire che il Partido Popular (PP) ha sì vinto le amministrative, avanzando ovunque e conquistando città e Regioni che sembravano inespugnabili, ma soltanto in due Regioni, la Comunidad di Madrid e la Rioja, ha ottenuto la maggioranza assoluta. 

In tutte le altre, se vogliono governare, i Popolari saranno costretti ad allearsi con il partito sovranista populista di estrema destra  Vox di Santiago Abascal, e qui cominciano i problemi.

Vox, al cui congresso la nostra premier Giorgia Meloni pronunciò il famoso “Soy Giorgia…….” è un Partito, come dire, molto più “contaminante” rispetto alle forze indipendentiste che hanno sostenuto in questi anni i socialisti.

Vox non si accontenterebbe dei contentini con cui Sanchez ha gratificato i suoi alleati; vorrebbe di più sul piano della politica, e sicuramente vorrebbe imporre al PP un notevole spostamento verso posizioni di destra più radicale. 

Riposizionamento che all’interno del PP troverebbe notevoli resistenze, a partire dall’ultra liberista Presidente della Comunidad di Madrid Isabel Ayuso, vera trionfatrice di queste elezioni, ed astro nascente dei Popolari. 

Alla fine di questi ragionamenti, mi sembra di poter dire che anche in Spagna la tendenza è verso la radicalizzazione e la polarizzazione a livello politico, con Psoe e Pp poli di attrazione (Podemos e Ciudadanos quasi cancellati) e gli altri, soprattutto Partiti regionali ed indipendentisti, a fare da “contorno”, ma un contorno determinante però, soprattutto a sinistra.

Onestamente la mossa di Sànchez non me l’aspettavo, come credo che fossero in pochi ad averla immaginata.

Ma il premier spagnolo deve essere un cultore di Nicolò Machiavelli, che nel suo “Principe” scriveva: “Domare la fortuna quando non è propizia o saperla sfruttare quando si trova faccia a faccia sono le due strategie che il sovrano deve utilizzare”.

E così, spiazzando tutti, a urne ancora calde, Pedro Sànchez  ha annunciato di aver comunicato al Rey Felipe VI di aver deciso di chiudere con questo Governo, convocando le elezioni politiche anticipate per prossimo il 23 luglio. 

Gesto temerario, gesto da kamikaze, gesto disperato?

Assolutamente no!  C’è molto calcolo politico, non c’è dubbio!

Ma c’è anche grande intelligenza politica. 

Sànchez ha scelto di non farsi usurare in attesa della scadenza naturale delle elezioni, prevista per dicembre, ha assunto su di sé la responsabilità della sconfitta, e ha rilanciato la palla. 

Io considero questa scelta “alta politica”, perché quando perdi esiste un solo metodo infallibile per uscirne, e da millenni si chiama democrazia.

E la democrazia impone che gli spagnoli, dopo aver premiato le destre a queste amministrative, prendano la parola per definire senza indugio quale corso politico vogliono per il proprio Paese.

Ed in questo modo il premier ormai dimissionario mette così gli elettori, soprattutto progressisti, nella condizione di dover decidere quasi subito se vogliono contribuire a consolidare il risultato delle elezioni regionali e comunali, che hanno assegnato quasi tutto il potere locale a PP e Vox, consentendo alle destre di arrivare anche a La Moncloa, oppure sono disposti a mobilitarsi per impedirlo.   

Ma per fare queste le varie forze in cui si è spezzettata la sinistra devono “gettare il cuore oltre l’ostacolo”, cercare quel che li unisce piuttosto che quel che li divide, per fare fronte comune. 

Inoltre pone il Partito Popolare di fronte ad un dilemma non da poco; presentarsi alle politiche unito in un patto con i “neo franchisti” di Vox, rischiando di perdere consensi nei settori più moderati e democratici del proprio elettorato, oppure andare da solo, con il rischio concreto di riconsegnare il Governo a Sànchez.  

Quella di Sànchez è una chiara scommessa; cercare di fare il miracolo di fermare l’ondata conservatrice che si è già vista in diversi paesi europei, e che ora sembra stia raggiungendo anche la Spagna.

Non è nuovo Sànchez a simili colpi di scena: lo ha già fatto in passato, come l’anticipo elettorale del 2019 e, soprattutto, la ripetizione delle elezioni nello stesso anno.

Ma questa scelta offre anche altri vantaggi; oltre ad evitare pressioni dall’interno del suo Partito, con la chiamata anticipata Sánchez riesce a cambiare il fulcro della conversazione; da oggi non si parlerà più della sconfitta, ma dell’appuntamento del 23 luglio. 

Saranno mesi interessanti per la politica spagnola, da seguire con attenzione, perché dal risultato di luglio capiremo se il vento conservatore e reazionario tornerà a soffiare anche sulla penisola iberica.

Umberto Baldo

PS: due notazioni.  Se fosse successo in Italia, prima di arrivare a convocare nuove elezioni sarebbero stati necessari mesi, fra consultazioni al Quirinale, mandati esplorativi, tentativi abortiti ecc.  La Costituzione spagnola è sicuramente più orientata alla governabilità rispetto alla nostra, che, al di là di ogni considerazione, mostra tutti i suoi anni e andrebbe aggiornata.

Avete poi visto che in Spagna, come in tutti i Paesi civili del mondo, si vota in un solo giorno, e si può votare senza problemi sia in piena estate che in pieno inverno.  Osservo solo che da noi per sapere il nome non del Capo del Governo, ma del  Sindaco di Adria (solo per fare un esempio), di giorni ne servono ben due (roba da terzo mondo).  

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