Evitare gli USA: chiunque può essere arrestato o espulso senza motivo. L’ultimo caso-vergogna di un cittadino australiano

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Quando Jonathan è tornato dagli Stati Uniti in Australia per un breve viaggio di due giorni – con l’unico scopo di spargere le ceneri della sorella – portava con sé solo due cambi d’abito e l’urna vuota. Un viaggio veloce, così rapido da non includere nemmeno il caricabatterie del computer. Ma al ritorno negli USA, è finito in un incubo. Il caso è raccontato in forma integrale dal The Guardian.
Nonostante vivesse negli Stati Uniti da sette anni con un visto di lavoro ancora valido per oltre 15 mesi, è stato fermato, trattenuto, interrogato, accusato senza prove e infine espulso, con un divieto di rientro di cinque anni.
“Ora vivo su un divano a Sydney. Ho perso tutto. La mia casa, la mia compagna, il mio lavoro. Tutta la mia vita è rimasta lì.”
Il suo calvario è cominciato a Houston, Texas, durante il controllo passaporti. È stato condotto in una “stanza secondaria”, dove si è trovato in mezzo a decine di persone esauste e in ansia, provenienti da ogni parte del mondo. Ai muri, poster sulla diversità e l’inclusione erano stati scarabocchiati con pennarelli neri. Nessuno sapeva perché fosse lì. Nessuno dava spiegazioni.
Accuse assurde Jonathan racconta di essere stato accusato, senza alcuna prova, di traffico di droga, sulla base del fatto che possedeva due telefoni cellulari. In realtà, ne aveva uno solo. Quando ha chiesto un avvocato, si è sentito rispondere che non ne aveva diritto. Ha consegnato telefono e smartwatch, mentre le domande diventavano sempre più surreali.
“Quando non ho capito una frase e ho chiesto all’agente di ripetere, mi ha detto: ‘Sei sordo o solo ritardato?’”
L’urna della sorella trattata come un rischio biologico Le autorità hanno perfino mandato ispettori del CDC a controllare l’urna vuota, insinuando che stesse trasportando resti umani illegalmente. Non è servito spiegare che era vuota, né dire che aveva attraversato il confine decine di volte in passato senza problemi.
Poi, l’accusa più grave: aver ammesso di “vivere” negli Stati Uniti. Una frase che, secondo gli agenti, dimostrava l’intenzione di restare, nonostante avesse un visto perfettamente valido. Da lì, la revoca immediata.
“Mi hanno detto: ‘Trump è tornato. Ora le cose si fanno come si deve’.”
Trattenuto 36 ore senza contatti Jonathan è stato trattenuto per più di 36 ore, senza telefono, senza possibilità di contattare nessuno, ricevendo cibo immangiabile e dormendo con una coperta termica in una sala d’attesa. Alla fine, gli è stato concesso di fare una sola chiamata, che è stata effettuata da un agente a suo padre. Poi è stato imbarcato su un aereo per l’Australia, accompagnato da una guardia armata.
“Mi hanno ridato passaporto, telefono e orologio solo quando l’aereo era già in volo.”
Un limbo senza uscita Ora Jonathan si trova in Australia, in un limbo. Non ha ricevuto spiegazioni formali, né motivazioni concrete. Per tornare negli Stati Uniti, dovrebbe ottenere una deroga, un processo lungo e costoso che passa per il Dipartimento della Sicurezza Nazionale.
“Una parte di me vuole tornare. L’altra ha chiuso. Ho la mia compagna lì, il mio studio, il mio appartamento. Ma ora sono solo, su un divano.”
La sua compagna, rimasta negli Stati Uniti, è distrutta:
“Quando non arrivava, ho pensato che l’aereo fosse precipitato. Poi ho scoperto che era stato espulso.”
Non è un caso isolato Jonathan non è l’unico. Decine di cittadini stranieri con visti regolari – da Canada, Germania, Regno Unito e Australia – sono stati fermati, trattenuti, interrogati e rimandati indietro senza spiegazioni. L’atmosfera alle frontiere è cambiata. Il rispetto dei diritti è diventato un optional.
Il sito ufficiale del governo australiano ora avverte:
“Un visto valido non garantisce l’ingresso negli Stati Uniti. Le autorità possono decidere che sei inammissibile per qualsiasi motivo.”