9 Agosto 2024 - 10.55

Extremadura: terra di Hidalgos e Patanegra

Dagli inizi del Cinquecento si sviluppò un movimento migratorio di tutta eccellenza: ripercorriamo la storia

Tornate per un attimo con il pensiero a quel fatidico 1492 in cui con la caduta di Granada, ultimo baluardo della Spagna islamica, finì la Reconquista da parte dei Re Cattolici Isabella di Castiglia e Ferdinando di Aragona, e Cristoforo Colombo posò per primo il piede nel Nuovo Mondo.
Finito quel lunghissimo periodo di guerre per cacciare i “Mori” dalla penisola iberica, rimanevano in giro molti “reduci”, per chiamarli così.
Si trattava degli Hidalgos, termine di origine araba o derivato da “hijos de algo”, letteralmente “figli di qualcosa”.
Picareschi personaggi a metà strada tra nobili doc e plebei, uomini d’onore eternamente spiantati ma con le mani senza calli, grazie ad un’atavica avversione al lavoro.
Si trattava di una piccola nobiltà nettamente inferiore a quella dei cosiddetti “ricoshombres”, che aveva trovato nel mestiere delle armi la propria vocazione, e che con la fine della Reconquista non aveva più nulla da fare.
Non stupisce quindi se questi avventurieri, questi soldatacci sempre a caccia di oro e di terre, volsero lo sguardo verso le nuove scoperte, e tentarono la “suerte” oltre l’Atlantico.
E’ chiaro che più sei povero, meno prospettive di affermazione hai, e soprattutto se provieni da una terra che non ha nulla da offrirti, trovi in te stesso quella carica, quella voglia di vincere, quella “ferocia”, che furono la caratteristica dei Conquistadores (ultimamente derubricati in “Descubridores”, forse per un filino di rimorso hispanico nei confronti de “los indigenas”, oggi popoli “de habla” spagnola).
E qual era la Regione della Spagna che racchiudeva in sé tutte le caratteristiche per dare i natali a questi uomini sanguinari, che però furono capaci di abbattere imperi come quello Inca o Azteco?
Questa terra si chiama “Extremadura”.
E così dalla cittadina “extremena” di Trujillo (che anche adesso ha meno di 10mila abitanti) dalla “Muy Noble y Muy Leal Trujillo”, si sviluppò agli inizi del Cinquecento un movimento migratorio di tutta eccellenza: i fratelli Pizarro puntarono verso l’oro del Perù, Gracìa de Paredes fondò Ciudad Trujillo a Santo Domingo, Francisco de Orellana scoprì il Rio delle Amazzoni (un’incredibile passeggiata dall’oceano Pacifico all’Atlantico), Nuño de Chaves creò Santa Cruz in Bolivia.
Ma da Medellin, sempre in Extremadura (poco distante da La Serena, villaggio natale del fondatore di Santiago del Cile, Pedro de Valdivia) partì anche Hernan Cortès, il conquistatore del Messico, e Vasco Nunez de Balboa, lo scopritore dell’Oceano Pacifico.
Si può quindi dire molti degli uomini che diedero vita alla corsa al mitico El Dorado partirono da questa terra schiacciata tra la Castilla e Léon, la Regione di Madrid, e l’Andalusia, confinante con il Portogallo, e quindi con lo sguardo rivolto verso quell’Oceano cui non riesce ad arrivare.
Non ho mai amato il turismo “caciarone”; e ho sempre cercato posti in grado di offrire quiete e suggestione.
Desolata, arida e povera, l’Extremadura è tutta descritta nel suo nome (dal latino “terra extrema et dura”): una terra di spazi deserti e campi sterminati, quasi sempre incolti, che per secoli ha dovuto lottare con dominatori e siccità.
Da sempre estranea ai grandi flussi turistici, è una terra che riserva magnifiche sorprese a chi abbandona gli itinerari battuti dal turismo di massa per avvicinarsi ad una realtà più autentica.
L’Extremadura è un grande contenitore vuoto; tanto per capirci il nostro Veneto è esteso per 18.345 Kmq e conta 4,9 milioni di abitanti (264 abitanti per kmq); l’Extremadura 41.634 Kmq, e conta poco più di un milione di abitanti (densità 25 abitanti per kmq).
Capite bene che, con questi numeri, l’Extremadura rappresenta il volto selvaggio dell’entroterra spagnolo.
Una terra aspra, un luogo che colpisce per il suo fascino rurale, per la sua natura ancora piuttosto incontaminata (è impressionante ad esempio il numero di rapaci che ancora volteggiano nei cieli).
Ma arrivando in Extremadura quello che lascia stupito è il paesaggio.
E come a nord di Madrid il territorio è caratterizzato dall’altopiano della “meseta”, che occupa circa un terzo del territorio della Spagna, con i suoi colori accesi fra il giallo e l’ocra, a mano a mano che si scende verso sud, verso il confine portoghese, si passa ad un ecosistema diverso, denominato “dehesa”.
La dehesa è spettacolare, una distesa a perdita d’occhio di querce, interrotta solo da muretti a secco, dove enormi branchi di maiali possono muoversi in assoluta libertà, dato che il rapporto con il territorio è molto basso; quasi due ettari a capo (sic!).
Credetemi, non esagero!
Percorrendo in auto le strade dell’Extremadura si ha l’impressione di muoversi in mezzo al nulla. Centinaia di chilometri dove a destra e a sinistra vedete solo querce da sughero e un numero impressionante di maiali allo stato brado.
Non hanno nulla a che spartire con i nostri “porsei”; sono di taglia piccola, di manto scuro, tanto che di primo acchito io pensavo si trattasse di cinghiali.
Inutile dire che da questi suini cresciuti allo stato libero, nutrendosi solo di ghiande, viene il prosciutto più famoso e più apprezzato al mondo, il cui nome specifico è “Jamon iberico de Bellota”, ma che è ormai universalmente noto fra i buongustai appunto come Patanegra (che non senta dire che lo affettate, perché il taglio del Patanegra si fa solo a mano con il coltello).
Non pensate che l’Extremadura sia solamente una meta per ghiottoni.
E’ una terra unica anche per il suo ricco patrimonio storico e culturale.
La visita al capoluogo Merida (per i latini Augusta Emerita), con il suo ponte romano più lungo mai sopravvissuto fino ai giorni nostri, e lo splendido teatro romano perfettamente conservato, vale da sola il viaggio.
Ma consiglio anche un passaggio a Badajoz dove, contrariamente alla credenza che le città murate arabe siano principalmente in Andalusia, si trova la più grande fortezza araba di tutta la Spagna.
Altra città dell’Extremadura da visitare è senz’altro Càceres, con la sua “ciudad monumental”, in cui perdersi passeggiando fra i suoi vicoli tortuosi.
Da non trascurare neppure Plasencia, graziosa e suggestiva città fortificata su una collina, cinta da una duplice cerchia di mura con 6 porte e 68 torri.
Se poi vi resta un po’ di tempo, consiglio anche una puntata al Real Monasterio de Nuestra Senora de Guadalupe, santuario consacrato alla “Reina de la Hispanidad”, per la grande suggestione che trasmette questo luogo di culto.
Se proprio cercate la ciliegina sulla torta, potete anche andare a visitare il Monastero de San Jerònimo di Yuste, il “buen retiro” dove andò a morire l’imperatore Carlo V, dopo aver trasmesso la corona spagnola a Filippo II.
Credo si sia capito che per me l’Extremadura è la Regione spagnola cui sono più legato.
Perché è una terra difficile ma coinvolgente, la meno turistica della Spagna, la più povera, ma ricca di emozioni e di ospitalità, di cicogne, lavanda, miele, Patanegra, e della memoria dei suoi Hidalgos-Caballeros-Conquistadores.
E se cercate un viaggio lontano da una dimensione affollata, caotica e rumorosa, vi assicuro che l’Extremadura non vi deluderà.

Baldo Umberto

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