20 Febbraio 2025 - 9.56

Fake news, bullismo e assurdità per qualche terra rara in più

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Umberto Baldo

Sono sempre più all’ordine del giorno sugli scenari della geopolitica mondiale, e nei giorni scorsi abbiamo appreso che Donald Trump avrebbe richiesto all’Ucraina una sorta di “risarcimento” per il sostegno Usa, da corrispondere in “terre rare”.

Ma sappiamo bene di cosa parliamo?

Le terre rare sono un gruppo di 17 elementi chimici della tavola periodica, composti da: Lantanio (La), Cerio (Ce), Praseodimio (Pr), Neodimio (Nd), Promezio (Pm), Samario (Sm), Europio (Eu), Gadolinio (Gd), Terbio (Tb), Disprosio (Dy), Olmio (Ho), Erbio (Er), Tulio (Tm), Itterbio (Yb), Lutezio (Lu)Scandio (Sc), Ittrio (Y).

Vi confesso che leggendoli mi è venuto quasi da ridere, perché sembra di leggere la lista dei nani di Biancaneve.

Credo sia giusto in primis sgombrare il campo dall’idea suggerita dalla denominazione di questi elementi.

Perché, contrariamente a quanto suggerisce il nome, le terre rare non sono “rare”. 

Nella crosta terrestre questi elementi sono abbondanti, e la loro “rarità” deriva dall’essere mescolati con altri minerali, e raramente presenti in concentrazioni che ne rendano redditizia l’estrazione.

In altri termini, le proprietà chimiche degli elementi delle terre rare li rendono difficili da separare dai materiali circostanti.

Sono anche difficili da purificare; infatti gli attuali metodi di produzione richiedono molto minerale e generano una grande quantità di rifiuti nocivi quali acqua radioattiva, fluoro tossico, e acidi. 

Avrete già capito che la produzione di terre rare ha un enorme impatto ambientale: una tonnellata può generare fino a 60.000 metri cubi di gas di scarico, 200 metri cubi di acque reflue contenenti acido, e oltre una tonnellata di rifiuti radioattivi.

Sono però ormai indispensabili nel settore dell’elettronica (smartphone, computer, magneti per hard disk), delle energie rinnovabili (turbine eoliche, batterie per auto elettriche), della difesa e aerospazio (radar, laser, sistemi di guida), dell’industria (catalizzatori, vetri speciali, illuminazione Led, turbine eoliche, pannelli solari, veicoli elettrici, schermi LED e LCD, dischi rigidi, cavi in fibra ottica, catalizzatori, leghe di acciaio, tecnologie dell’idrogeno, e tutti i tipi di motori elettrici per auto, giocattoli o droni.).

Ma come quasi sempre avviene, quando si parla di materie prime è il comparto della difesa a farla da padrone.

Lo sviluppo della tecnologia militare e le nuove applicazioni di difesa hanno rafforzato la domanda di terre rare, per la produzione dei motori dei caccia, di cacciatorpediniere e incrociatori equipaggiati con sistema Aegis, di strumenti di difesa antimissilistica, di satelliti,  droni, munizioni, sistemi di comunicazione  e altro.

Basti un solo esempio: per produrre il proprio caccia di quinta generazione, il noto F35, la Lockheed Martin fa affidamento sulle terre rare per componenti critici come sistemi di alimentazione elettrica e magneti. 

E secondo un rapporto del Congressional Research Service ogni F35 richiede 417 kg di materiali derivanti dalle terre rare.

La ricerca nel settore della difesa negli anni ha portato a rilevanti scoperte, come quella fatta negli anni ’60 dall’U.S. Air Force, che ha sviluppato magneti in Samario-Cobalto che mantengono le proprietà  magnetiche anche a temperature molto elevate, così aumentando la potenza delle strumentazioni radar.

Anche l’ ex Unione Sovietica negli anni ’80 riuscì ad aumentare le prestazioni dei MIG-29 usando lo scandio per rendere l’alluminio più leggero e resistente.

Il problema “politico” sta nel fatto che pur essendo diffuse su tutta la terra, la loro produzione è altamente concentrata in pochi paesi.

Quali? 

In primis, e di gran lunga, la Cina, che governa circa il 70% della produzione mondiale  (210.000 tonnellate), dominando il mercato globale sia in termini di estrazione che di raffinazione. 

Seguono gli Stati Uniti (14% con 42.000 tonnellate); poi la Birmania (Myanmar 8% con 25.000 tonnellate), l’Australia (6% con 18.000 tonnellate), la Tailandia e la Russia (circa 2.000-3.000 tonnellate ciascuno).

Grandi giacimenti, ma con produzione ancora limitata, si registrano in Vietnam ed India.

Se poi passiamo alle riserve “presunte” di terre rare nel mondo (stime in milioni di tonnellate), troviamo in testa sempre la Cina (44 milioni), seguita dal  Vietnam (22 milioni), dal Brasile ( 21 milioni), dalla Russia (19 milioni), dall’ India (6,9 milioni), dall’Australia (4,2 milioni ) e dagli USA (2,3 milioni).

Dai numeri che vi ho riportato balza agli occhi che  la Cina è il leader indiscusso, sia per produzione che per raffinazione. 

Come pure non ci vuole molto per concludere che la produzione e la commercializzazione di questi preziosi elementi è diventata in breve una vera e propria arma strategica.

Arma che si inserisce anche nel settore del clima, tanto che  l’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) suggerisce che per raggiungere gli obiettivi di “emissioni net zero” l’estrazione di Terre Rare dovrebbe decuplicare entro il 2030. 

Nei fatti, è già aumentata di oltre l’85% tra il 2017 e il 2020, trainata principalmente dalla domanda di magneti permanenti per la tecnologia dell’energia eolica e dei veicoli  elettrici.

Non è la prima volta che il mondo viene condizionato da scoperte talmente rilevanti da cambiare per sempre la storia della razza umana.

Basti una sola citazione: il petrolio, il mitico “oro nero” che condizionò, e ancora condiziona, gli equilibri politici ed economici dell’intero pianeta.

E’ possibile, ed io oserei dire probabile, che terre rare e materie prime critiche potrebbero fare la stessa cosa, smuovendo l’ago della bilancia mondiale, sovvertendo e scombussolando gli assetti economici planetari, con Nazioni povere che scoprono improvvise ricchezze nel sottosuolo, ed economie consolidate disposte a tutto pur di garantirsi una quota di questi preziosi minerali.

La storia ha visto guerre per il petrolio; non escluderei in futuro guerre per le terre rare.

Qualche prodromo lo abbiamo già visto.

Forse ricorderete che nell’estate del 2023 Pechino impose controlli sulle esportazioni  di gallio e germanio, che sono componenti critici  delle celle solari, delle fibre ottiche e dei microchip utilizzati nei veicoli elettrici, nell’informatica quantistica e nelle telecomunicazioni. Ad agosto le esportazioni cinesi di questi minerali scesero  da quasi 9 tonnellate a zero.

Badate bene che se le terre rare rappresentano oggi la punta di diamante delle tensioni geopolitiche, lo sviluppo industriale guarda anche ad altre  materie prime critiche (Critical Raw Materials, CRMs).

Tanto è vero che a partire dal 2011, ogni tre anni, viene stilata ed aggiornata la lista di CRMs a livello europeo, definita sulla base dell’importanza in specifici settori che rivestono un ruolo centrale per l’economia comunitaria, e del rischio di approvvigionamento per l’industria europea.

Tanto per avere un’idea, ecco l’ultima lista , aggiornata a Marzo 2023,  che definisce come materie prime critiche i seguenti elementi: rame, tungsteno, cobalto, nichel, magnesio metallico, metalli del gruppo del platino [iridio, palladio, platino, rodio e rutenio], manganese, grafite naturale, germanio, boro, oltre ovviamente agli elementi di terre rare per magneti (neodimio, praseodimio, terbio, disprosio, gadolinio, samario e cerio), titanio metallico, bismuto, gallio, litio).

Siete ancora sorpresi se le guerre e le tensioni geopolitiche seguono la via delle terre rare?

Umberto Baldo

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