Fase 3, in Veneto rallenta la caduta occupazionale
Nel primo semestre del 2020 in Veneto il saldo occupazionale tra assunzioni e cessazioni di rapporti di lavoro è stato positivo (+23.800), ma sensibilmente inferiore rispetto a quello registrato nella prima metà del 2019 (+90.700), per una perdita di circa 67 mila posti di lavoro dipendente. La differenza è imputabile agli effetti dell’emergenza Covid-19 sul mercato del lavoro regionale e in particolare alla mancata crescita dei posti di lavoro determinata anche dalle misure di lockdown imposte per contrastare e contenere la diffusione del contagio.
I dati del monitoraggio dell’Osservatorio di Veneto Lavoro, aggiornati al 30 giugno 2020, confermano tuttavia i segnali incoraggianti osservati negli ultimi due mesi, che hanno fatto registrare saldi positivi (rispettivamente +3.300 e +7.800 posizioni lavorative) vicini a quelli dello scorso anno. I danni occupazionali subiti durante il lockdown saranno difficilmente recuperabili nel breve periodo, ma la flessione occupazionale sembra essersi arrestata.
“C’e una riduzione significativa dei posti di lavoro, ma le nostre imprese caparbiamente, come sempre, non vogliono mollare – commenta l’assessore regionale al lavoro Elena Donazzan – Il segno positivo sta a significare questo: a fronte di cessazioni, spesso pensionamenti in questo periodo di blocco degli licenziamenti e di cassa integrazione, le imprese cercano di non penalizzare le proprie attività e di investire sul capitale umano”.
“Questa cultura imprenditoriale oggi va aiutata più di quello che si sta facendo – aggiunge Donazzan – Si dovrebbe anche ripensare lo strumento degli ammortizzatori sociali proprio a fronte della scelta coraggiosa di assumere: lo Stato potrebbe riconoscere le risorse che avrebbe usato per la sospensione del lavoratore all’azienda che lo mantiene in forze. Abbiamo bisogno di abbassare il costo del lavoro. Oggi non è solo uno slogan, ma una necessità assoluta”.
Sul saldo occupazionale di fine giugno incidono gli effetti del blocco dei licenziamenti e dell’estensione della cassa integrazione a buona parte della platea di lavoratori dipendenti, due provvedimenti che hanno contribuito a limitare il numero di cessazioni nel periodo di emergenza. Il blocco dei licenziamenti, secondo l’analisi di Veneto Lavoro, potrebbe determinare la “sospensione” di circa 10.000 licenziamenti di rapporti a tempo indeterminato, quota che sarebbe dunque lecito attendersi alla scadenza del provvedimento attualmente fissata al 17 agosto. Senza considerare gli effetti dell’emergenza Covid sullo stato di salute delle imprese, un aspetto pienamente valutabile solo alla scadenza dei provvedimenti tuttora in vigore.
Tutte le tipologie contrattuali dipendenti sono state interessate in questi mesi da una dinamica negativa: la differenza con il saldo del 2019 è pari a -5.600 per il tempo indeterminato, -7.400 per l’apprendistato, -49.200 per i contratti a termine (che includono anche i rapporti di lavoro stagionali per i quali le assunzioni sono diminuite del 43%). In giugno continua il lento recupero dei posti a tempo indeterminato, anche se frutto più del ridotto numero di cessazioni che di una vera ripresa delle assunzioni. Bilancio negativo anche per il lavoro intermittente (-11.200) e il lavoro somministrato, che nel mese di aprile ha evidenziato un crollo delle assunzioni pari al 77% rispetto a dodici mesi prima, salvo una lieve ripresa a partire da maggio.
Le province più colpite si confermano quelle con una maggiore incidenza delle attività stagionali: a Venezia, nei primi sei mesi dell’anno, si è registrata una perdita di oltre 28.000 posti di lavoro, a Verona di 18.000. Calo più contenuto nelle altre province: -6.900 a Padova, -5.100 a Treviso, -4.400 a Vicenza, -2.100 a Belluno e -1.800 a Rovigo. A giugno saldo occupazionale ancora negativo a Padova (-1.000), Treviso (-800) e Vicenza (-200), mentre nelle altre province torna il segno “più”. Altro segnale positivo, il rallentamento nella flessione delle assunzioni, anche nelle province con maggiore stagionalità: Venezia segnava un -80% tra il 23 febbraio e il 3 maggio, valore ridottosi al -51% in maggio e al -26% a giugno.
Il turismo rimane il settore più colpito dagli effetti della pandemia e da solo spiega quasi la metà della contrazione occupazionale complessiva, con una riduzione di circa 36.000 posti di lavoro dall’inizio della crisi, la maggior parte dei quali stagionali. A partire da maggio si è verificata un’attenuazione del trend negativo, sia nei servizi turistici, con l’avvio della stagione estiva, che in altri settori quali le costruzioni (che negli ultimi due mesi hanno anche mostrato una crescita delle assunzioni pari al 9%), i servizi di pulizia, la sanità, le attività finanziarie, quelle professionali, l’industria alimentare e il tessile-abbigliamento.