Femminicidi: la cultura fa la differenza (nel bene e nel male)
Centocinque – 105 se preferite la crudezza della cifra nuda – questo il numero delle donne uccise in Italia dai loro compagni e “ex” nel 2023.
Bisognerebbe aggiungere un “fino ad ora”, perché c’è ancora qualche giorno di novembre e tutto dicembre perché questo bilancio orrendo trovi ulteriore tragico incremento.
L’ultima vittima è Giulia Cecchettin e l’assassino – qui il “presunto colpevole” non c’è, posto che ci dovranno essere un processo e una condanna – è ancora una volta il suo ex fidanzato che, guarda caso, nella narrazione popolare e di un certo giornalismo che pensando di essere obbiettivo finisce per giudicare la vittima, viene dipinto come un “bravo ragazzo” che “salutava sempre”; nel caso di Giulia l’avvocato di Filippo Turetta –assassino, è bene insistere su questo, non “presunto tale” – ci tiene a farci sapere “faceva i biscotti”.
Però non chiamatelo “mostro”, in questo caso la narrazione degli eventi, come il più delle volte, racconta un’altra storia.
Filippo è figlio di una società che parte dal suo nucleo primo, ovvero dalla famiglia – quella “tradizionale” fatta da papà, mamma, fratelli e sorelle – nella quale mancano di fatto i valori autentici e dove sono invece gli stereotipi a governare gli equilibri tra genitori e figli.
Che cosa significa “bravo ragazzo” riferito ad un giovane che strappa con violenza la vita ad una persona da lui ritenuta di sua esclusiva proprietà?
Che senso ha descrivere un omicida che quasi sempre ha premeditato la propria azione come un “amico di tutti”?
Dice bene Elena, la sorella di Giulia – ovviamente attaccata a più livelli sui social dai “tradizionalisti”, uomini ma anche tante donne – che questi omicidi sono frutto del “patriarcato”; perché è proprio così, ma non solo.
Il “patriarcato” non è appannaggio esclusivo degli uomini, ma anche delle donne; preciso preventivamente che stigmatizzo le affermazioni della giudice ora deputata Simonetta Matone che ascrive le colpe degli uccisori “disturbati” di compagne a madri “non normali”, ovvero a loro volta vittime di violenze: ergo la colpa sarebbe di chi le botte le prende e non di chi le dà, secondo la deputata.
Assunto disgustoso e parecchio offensivo, ancora una volta a scapito delle donne.
Il racconto del “se l’è cercata” o “doveva capire i segnali” è tremendo e getta la colpa sulla vittima e non sull’assassino ed è portato avanti – “incredibile dictu” – troppo spesso dalle stesse donne.
L’onorevole Matone in un colpo solo insulta le vittime e le donne in generale – alla faccia della solidarietà femminile – dimenticando i padri che giocano al maschio alfa trasmettendo i loro “insegnamenti” ai figli.
Ciò detto non si può non prendere in esame la figura della madre-patriarca, ovvero di quella che “l’uomo ha sempre ragione”, che difende sempre e comunque le azioni, quali che siano, dei maschi di famiglia ai quali tutto è permesso.
Sono le madri che “nessuno come il mio ragazzo” che mio figlio è sempre il più bravo, il più furbo, quello che colleziona un’avventura dietro l’altra, che è fieramente eterosessuale, che mi renderà nonna dopo aver sposato in chiesa una brava ragazza che metterà subito in riga.
In virtù di questa adorazione del maschio la madre-patriarca esalta i pregi – spesso esigui – sorvolando sui difetti, mettendo il pargolo adorato su un piedistallo, convincendolo che dalla sua posizione privilegiata di portatore di pisello gli sia consentito tutto nei confronti di chiunque, soprattutto della fidanzatina che deve capire subito chi comanda.
L’idea di possesso confusa con quella di amore, la percezione di onnipotenza scambiata per affettività, la violenza non solo psicologica per “educare” la compagna: tutto questo, purtroppo si impara in famiglia e si rinforza all’esterno per colpa di una società che propugna valori (disvalori?) non lontani da quelli cari all’Islam.
Ad ascoltare i giovanissimi fermati per strada è tutto un “io posso uscire con i miei amici quando voglio, se la mia tipa vuol far serata con le anche mi deve chiedere il permesso” e amenità del genere. Semplicemente agghiacciante nel 2023.
Il papà di Filippo Turetta, intervistato, ha detto, forse involontariamente, una grande verità dichiarando che al figlio “avevamo dato tutto”.
Esatto: gli hanno dato tutto, il che vuol dire troppo, perché l’educazione si fa più con i no che con i sì.