9 Marzo 2024 - 10.00

Ferragni: perché i veri influencer sono gli editori che la massacrano

Chissà che l’ultima copertina de l’Espresso, occupata dalla immagine di Chiara Ferragni in versione Jocker, alla fine non sia un fattore positivo per la nota influencer.
Confesso che mi ha alquanto stupito vedere una storica testata, che dal 1955 è associata ad una certa idea di giornalismo d’assalto e d’inchiesta, dedicare addirittura una copertina così violenta e francamente oscena alla Ferragni.
Ma il titolo “Ferragni Spa Il Lato oscuro di chiara”, seguito da “Una rete ingarbugliata si società, una girandola di quote azionarie. Tra partner ingombranti, manager indagati, e dipendenti pagati poco. L’Influencer a capo di un impero dove la trasparenza non è di casa”, suggerisce che non siamo all’ accanimento giornalistico, perché Chiara Ferragni è un’imprenditrice, non una semplice influencer, e come tale i suoi affari sono oggetto di inchieste giornalistiche, come è accaduto in passato a tanti altri imprenditori italiani.
Io credo che, come spesso succede nel nostro Paese, sempre più si stiano delineando due tendenze; da un lato coloro che provano piacere davanti allo svergognamento altrui, sentimento che in lingua tedesca viene definita schadenfreude, e dall’altra coloro che vorrebbero che la pressione mediatica si allentasse.
Parallelamente ci sono i media che ci inzuppano il biscotto perché sanno che l’argomento “tira”, e quindi giù a discettare di divorzio in vista e quant’altro, e lei, la Ferragni, che probabilmente vorrebbe invece una sorta di “silenzio stampa” su cui ricostruire a colpi di messaggi sui social la sua immagine compromessa.
A questo punto non c’è dubbio che l’ affaire Ferragnez abbia in qualche modo cambiato il sentiment dell’opinione pubblica. Nel senso che insieme a lei sta perdendo credibilità tutto ciò che appare come un’ostentazione di ricchezza, felicità e perfezione, laddove la maggior parte delle persone vive difficoltà economiche e personali quotidiane.
Di conseguenza forse anche alla Ferragni non farebbe male una riflessione sul fatto che quella che sta collassando, oltre al suo “model of live”, è un’idea più generale di società, in cui guardare le vite perfette degli altri, fatte di ville, appartamenti stellari, viaggi da sogno, vacanze, vestiti ed accessori costosissimi, non produce più engagement ma bensì risentimento.
Concludendo, forse sarebbe il caso che ci dessimo tutti una calmata, lasciando come dicono gli economisti, “fare al mercato”.
Ciò che non è accettabile anche nell’analisi più profonda del caso Ferragni, è la violenza con cui il messaggio di delegittimazione viene fatto passare, anche sui media. È l’indirizzare l’opinione pubblica ad un processo su piazza e sui giornali ancora prima che le sentenze definiscano una persona colpevole o innocente. È questa smania di giustizia sommaria che, spesso ad arte, viene indirizzata dai media per interessi loro particolari o di lobby. Oramai è in atto una deriva del giornalismo sempre più marcata verso l’uso strumentale del mezzo che non giustifica il fine. La vicenda Ferragni, come altre, è la pietra tombale dell’editoria nazionale. I veri influencer sono gli editori, ormai mossi non più solo dal legittimo desiderio di far quadrare i conti attraverso un giornalismo corretto, ma di compiacere le lobby a cui fanno riferimento. O a distruggerne altre.

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