Festival di Venezia, un film al giorno – Non è Monica, ma Monica siamo tutti noi
Non è Francesca, cantava Lucio Battisti. E non è Monica quella del film di Andrea Pallaoro, anzi si è proprio lei, l’interprete e musa del film, Monica appunto che interpretata dall’attrice Transgender Trace Lysette, dà anima e corpo al film in concorso al Festival del Cinema di Venezia. Un film claustrofobico, un guardarsi allo specchio continuo ed ossessivo per cercare di scoprire chi c’è dietro quella maschera che l’attrice è costretta a mostrare per poter conteggiare i minuti di vita. Una riflessione profonda sul dolore della diversità perché al dolore si è costretti. Un film da far vedere a certi politici di casa nostra, che tracciano i sentimenti con i righelli, che calpestano la dignità di persone che sono corpi, che pulsano di vita e di anima. Monica deve fare i conti con il suo passato di esclusa dalla famiglia natale, quando viene richiamata dalla cognata per assistere la madre malata (Patricia Clarkson perfetta nella interpretazione); una madre che l’aveva esclusa, e che inizialmente non la riconosce fisicamente, ma che poi nel silenzio del non detto la accoglie a sé sul punto di morte. La riabilitazione familiare avverrà così non senza gli inciampi di una vita difficile, marginale, spogliata, nuda, priva di un elemento indispensabile a chiunque: l’affetto. Una riabilitazione chirurgica che lascia però intravvedere un filo di speranza. Ed il messaggio latente, la stilettata al cuore di noi spettatori è proprio questa: non girarsi dall’altra parte perché ognuno di noi, comunque sia, può essere parte del tutto. Alla fine, 20 minuti di applausi. Bravò Andrea.
Voto 9/10
Luca Faietti