23 Agosto 2022 - 9.08

Gas, il grande inganno: ci stanno prendendo in giro?

Mentre ancora boccheggiamo per il caldo, anno dopo anno sempre più anomalo e sempre più insopportabile, il “generale inverno” si avvicina, e se qualcosa non cambierà relativamente alle forniture del gas, potremmo trovarci a doverlo affrontare con i razionamenti dell’energia, che in parole povere vuol dire case più fredde e meno illuminate.

Una prospettiva da brividi, non solo atmosferici, ma anche politici per chi si troverà al Governo del Paese.

Sorvolo volutamente sulle motivazioni che hanno portato i prezzi del gas a questi livelli inimmaginabili; mi limito ad osservare che gli aumenti si erano manifestati già prima dell’invasione russa dell’Ucraina, anche se quest’ultima ha indubbiamente fatto esplodere una situazione già molto incerta.

Mi interessa di più cercare di capire i meccanismi che portano a questi livelli di costo, partendo ovviamente da dove si decidono appunto i prezzi.

Credo che anche voi, come me, ogni tanto sentiate citare in televisione, o leggiate sui giornali, che il prezzo del gas europeo si determina ad Amsterdam, in un mercato denominato TTF -Title Transfr Facility.

Essendo del tutto digiuno in materia, ho cercato, come avrebbe fatto ciascuno di voi, di capire cos’è e come funziona questo mercato “particolare”.

Non è che si trovi poi molto, è tutto molto fumoso quasi si trattasse di un segreto riservato a pochi iniziati, ma alla fine un’idea sono riuscito a farmela.

Provo a spiegarvi cosa ho capito, chiedendovi scusa in anticipo se magari non riuscirò a rispondere appieno a tutti i vostri quesiti. Bisogna partire un po’ da lontano, da quando l’Europa ha riformato il mercato dell’energia, con l’approccio che da sempre contraddistingue la sua visione dell’economia: l’approccio “neoclassico”, secondo il quale più si favorisce la concorrenza più i prezzi scendono, a vantaggio di imprese e famiglie.

Nel caso del gas naturale questa impostazione, che in teoria io condivido, ha portato alla creazione di diversi mercati del gas, di Hub dove aziende del settore e investitori finanziari fissano il prezzodella materia prima.

Chi per venderla ai clienti finali (cioè le imprese e le famiglie) e chi per fare trading, cioè sfruttare i movimenti del mercato per guadagnarci.

E’ bene rimarcare che da Amsterdam non si torna con il gas, ma semplicemente con un prezzo, come se si fosse in un gigantesco “Monopoli”.

Questa strategia europea ha portato a scoraggiare gli accordi diretti fra Stati per le forniture a lungo termine di metano (come quello che l’Italia ha di recente firmato con l’Algeria e altri Paesi), per privilegiare appunto gli acquisti sugli Hub.

Fra questi Hub il principale è appunto il TTF di Amsterdam, gestito da Gasunie, società olandese che controlla buona parte della rete del metano dei Paesi Bassi, oltre ad alcuni gasdotti europei.

Il mercato appartiene però all’IntercontinentalExchange (ICE),gigante delle piattaforme finanziarie, fondato nel 2000 da Jeffrey Sprecher con il sostegno delle grandi Banche di investimento.

ICE è un gruppo da 7,1 miliardi di dollari di fatturato, che dal 2013 controlla anche il NYSE, cioè la Borsa di New York.

Già questo assetto proprietario mi era sembrato un po’ strano, ma approfondendo un po’ ho appurato che il 68% degli scambi sul TTF ha riguardato contratti future, segno di una predominanza di operazioni puramente finanziarie rispetto a quelle per l’effettivo acquisto fisico di gas.

Ma piaccia o non piaccia è sul TTF che si fissa il prezzo del gas europeo!

Quindi la prima scoperta, il primo punto fermo, è che il TTF è il principale mercato di riferimento per lo scambio del gas in Europa e in Italia.

Ma a questo punto, da uomo della strada, mi sono venute spontanee alcune domande:

La prima: ma uno Stato non stipula contratti diretti con un altro Stato (fornitore) per ricevere il gas? Per fare un esempio, Draghi non è andato in Algeria per contrattare un aumento delle forniture da quel Paese?

La seconda: se esistono questi contratti bilaterali, immagino con prezzo concordato alla stipula, come si inserisce in questi accordi il prezzo TTF?

La terza: perché i prezzi si calcolano sul TTF anche se (lo scrive l’ARERA) questo mercato rappresenta solo un 3 o 4 per cento dei volumi di gas consumati in Europa, e quindi anche in Italia?

Non ho trovato risposte esaurienti, ma ho comunque capito che questo mercato spot, molto volatile come tutti i suoi simili, sta progressivamente sostituendo i contratti bilaterali a lunga scadenza tra i Paesi.

Il problema è che, come accennato, il TTF è utilizzato non solo dai commercianti all’ingrosso, ma soprattutto dai trader finanziari, interessati solo a determinare il prezzo dei contratti a termine sul gas naturale.

Per spiegarmi meglio, il TTF rappresenta una sorta di ritorno al passato, ai famosi “barili di carta di prima della grande crisi finanziaria del 2008, quando per ogni barile di petrolio fisicamente scambiato, sul mercato di New York si negoziavano 100 barili con contratti future.

Alla loro scadenza, venivano saldati pagando soltanto la differenza di prezzo, senza alcun movimento reale del prodotto.

Tali contratti però determinarono allora l’impressione di una domanda gigantesca rispetto a un’offerta limitata e, di conseguenza, l’attesa di un forte rialzo del prezzo del petrolio.

Al TTF di Amsterdam sembra che le cose funzionino sostanzialmente allo stesso modo.

E a peggiorare un mercato di per sé opaco, c’è il fatto che il prezzo del gas al TTF viene fissato con il sistema delle aste al prezzo marginale (Sistem Marginal Prive), che di fatto porta a corrispondere il prezzo più alto tra quelli offerti.

La particolarità (sic!) dell’asta marginale sta nel fatto che, nella fissazione del prezzo dell’energia al TTF(il valore è in €/MWh, megawattora, l’unità di misura convenzionale di tutte le fonti di energia) non conta da quale fonte la stessa sia stata prodotta (rinnovabile, gas, carbone, nucleare); infatti alla fine dell’asta tutti gli intermediari pagheranno quanto acquistato al prezzo marginale, ovvero l’ultimo prezzo accoglibile, che ovviamente è sempre il più alto fra quelli offerti.

Mi sembra chiaro a questo punto che il TTF è la prova lampante che il gas è una materia prima (commodity) che viene scambiata sui mercati finanziari attraverso strumenti come futures e derivati.

Il che porta inevitabilmente ad un “prezzo finanziario” disancorato dallo scambio materiale di energia.

In altre parole il gas si quota come le azioni di una società, che salgono e scendono secondo logiche diverse da quelle industriali.

Vi risulta più chiaro adesso perché l’Italia ed altri Paesi europei chiedono da tempo di fissare un tetto al prezzo del gas (price cap)?

E forse vi risulta altrettanto chiaro perché l’ICE (ma anche il governo olandese e quello tedesco) si oppongano; perché significherebbe ammettere che l’estrema “finanziarizzazione” di questa materia prima è diventata un problema per tutta Europa, oltre che rinunciare ai pingui guadagni dei trader.

Per capire quanto questo mercato dominato dei derivati, dai futures, dalle opzioni e swaps, rappresenti anche una straordinaria opportunità di guadagno per gli operatori del settore, basta dire che l’utile netto del Gruppo Eni nel secondo trimestre del 2022 è stato pari da 3,81 miliardi, e che dall’inizio dell’anno a giugno l’utile è stato di 7,39 miliardi(in miglioramento di 2,9 miliardi rispetto al secondo trimestre 2021: +5,9 miliardi nel primo semestre). Il che non sarebbe un male in sé, se questo non finisse per scaricarsi sulle bollette di cittadini e imprese, molte delle quali a fronte di questi aumenti insostenibili sono costrette a chiudere o sospendere la produzione.

Al riguardo mi piacerebbe porre al Presidente dell’Eni qualche domanda che mi sembra nessuno abbia il coraggio di porre: l’Eni quanto lo paga veramente il gas?

Non quello scambiato (si fa per dire) sul mercato “TTF” (che è una quota minima) ma tutto il resto?

Ed è quindi vero che rivende agli utenti al prezzo TTF il gas pagato invece a prezzi più bassi, realizzando profitti stellari (i famosi extra-profitti), e distribuendo ricchi dividendi?

Alla fine di tutti questi ragionamenti, pur da non addetto ai lavori mi sembrerebbe logico imporre per lo meno che al TTF i contratti future possano essere conclusi esclusivamente con un effettivo scambio delle merci trattate, e che dovrebbero essere ammessi al mercato solo i trader che hanno effettivamente la copertura finanziaria dei contratti che sottoscrivono, e non anche quelli che operano con una leva finanziaria costruita sui debiti.

L’unica cosa che non è più tollerabile è che sia la speculazione finanziaria a dettare le leggi ai Governi, con tutti i danni che ne derivano a noi cittadini-utenti.

Umberto Baldo

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