Generazione “maranza”

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Umberto Baldo
Continuando i ragionamenti di ieri sul problema della sempre maggiore diffusione della violenza fra i giovani, il mese scorso mi era capitato di leggere una notizia che riferiva dell’intenzione di gruppi di cittadini lombardi di dare vita a ronde “anti-maranza”.
Confesso che questa parola mi era quasi sconosciuta. L’avevo sì letta da qualche parte, ma pensate un po’, avevo immaginato si trattasse di un tipo di barca, forse per l’assonanza con paranza.
Ma poiché il pezzo in questione parlava di ronde anti maranza, giocoforza ho capito che doveva trattarsi di qualcosa che aveva a che fare con la violenza urbana.
E così, approfondendo un po’, ho appreso che i maranza sono un fenomeno giovanile nato nelle periferie delle grandi città italiane, soprattutto a Milano, ma diffuso anche in altre aree urbane, e che il termine viene usato per descrivere ragazzi (di solito adolescenti o giovani adulti) con uno stile di abbigliamento vistoso ed un atteggiamento spavaldo, spesso ispirato alla cultura pop e urban.
Pensate che sono state persino codificate le caratteristiche peculiari dei maranza.
Quindi per essere un vero maranza relativamente all’abbigliamento devi prediligere marchi sportivi come Nike, Adidas o The North Face, pantaloni della tuta, giubbotti gonfi, cappelli o cappucci sempre alzati, e marsupi indossati a tracolla.
Devi inoltre usare un gergo che mescola slang milanese, termini di origine straniera (soprattutto dialetti nordafricani), e influenze dalla musica trap; devi ascoltare principalmente musica trap e drill italiana, con artisti come Rondodasosa, Shiva o Paky.
Poi devi assumere un preciso atteggiamento, mostrandoti sicuro di te, spesso provocatorio, con toni di superiorità o sfida, soprattutto sui social o nei luoghi pubblici come centri commerciali e piazze.
Infine devi tendere a radunarti in gruppo, e a girare in monopattino elettrico o motorino.
Certo che a ben vedere non è mica facile fare il maranza!
Termine che, fra l’altro, dal punto di vista etimologico deriva dallo slang giovanile milanese, ed è un incrocio fra “marocchino” e “zanza”.
Ma passando dal folklore agli aspetti sociali, in realtà non si tratta di un fenomeno del tutto nuovo, in quanto risale a fine anni ’80 ed era associato ad un certo modo di vestire e atteggiarsi, ad uno stile sfrontato “da strada”, e ad uscite rigorosamente in gruppo (il termine maranza fu usato da Jovanotti nel brano “il capo della banda” del 1988).
Ma chi ha studiato e approfondito la tematica, riferisce che i maranza di oggi, rispetto a quelli descritti da Jovanotti, appaiono più sfrontati, spesso associati a episodi di piccola criminalità, a violenza ai danni di bambine, donne, anziane, ad immigrazione e condizioni di emarginazione.
Il maranza è un cafone, porta fastidio e minacce, ha una sorta di fisiologica necessità di ancorarsi ad una comitiva per sentirsi protetto, al sicuro, libero di agire con comportamenti illegali che forse, fosse in solitaria, eviterebbe (quindi sono anche vigliacchi).
In pratica i “vecchi maranza” erano sostanzialmente dei semplici bulletti di periferia, coatti come si dice a Roma; mentre quelli di oggi sono molto più pericolosi perché muovendosi sempre in gruppo disturbano passanti, turisti e coetanei per le strade di diverse città italiane.
Questo comportamento, caratterizzato da estorsioni, minacce e aggressioni, sembra avere radici nei social media, soprattutto su TikTok, dove il fenomeno ha guadagnato visibilità sin dall’estate scorsa anche in note località di villeggiatura.
C’è stato un indubbio salto di qualità, per chiamarlo così, con l’adozione di uno stile distintivo che include tute in acetato, maglie ufficiali delle squadre di calcio, giacche smanicate, cappellini o bandane. L’accessorio chiave è la tracolla, che spesso diventa il protagonista di una serie di altri accessori come collane e orologi. Elemento fondamentale di questa “ricetta” è il marchio, poiché gli abiti e gli accessori indossati dai maranza sono spesso, se non sempre, griffati(anche se quasi sempre taroccati).
Questa evoluzione dimostra come i maranza si siano adattati e ridefiniti nel corso del tempo, mantenendo comunque un legame con le loro radici, ma adottando un’estetica più attuale e riconoscibile.
Forse ce lo siamo dimenticato quel giugno del 2022 che vide il primo impatto significativo, quando una massiccia rissa tra giovani sulla spiaggia di Castelnuovo del Garda richiese l’intervento della polizia in tenuta antisommossa.
Il raduno originariamente pianificato come un incontro per la musica trap, si è trasformato in un caotico scontro, organizzato attraverso Tik Tok.
Non si può sottovalutare il ruolo svolto da Tik Tok in questo ed in altri fenomeni giovanili; perché grazie ai suoi particolari algoritmi rende l’utente attivo, cerca di coinvolgerlo e di farlo sentire responsabile delle proprie azioni, ma non necessariamente “nel bene”.
Lo dimostrano i “challenges”, o “sfide”, che un utente può lanciare ad un altro utente o alla comunità, ed in ogni caso la facilità di diffondere certe bravate, o certe violenze gratuite, il tutto agevolato dall’algoritmo che amplifica e fa diventare virali certi comportamenti.
Ma chi sono i maranza?
Spesso si tende a pensare che i maranza siano soltanto nordafricani.
Nulla di più falso; il maranza non ha una specifica provenienza territoriale, non si basa sulle nazionalità di appartenenza, anche se è vero che molti maranza provengono da contesti di periferia, dove l’immigrazione ha avuto un ruolo significativo, ma va ribadito che non si tratta di un fenomeno esclusivamente legato ai figli di immigrati.
In definitiva, più che un “prodotto dell’immigrazione”, i maranza sarebbero un’espressione delle difficoltà sociali che caratterizzano certe aree urbane, in cui si intrecciano povertà, marginalizzazione e mancanza di opportunità.
In questo senso, il fenomeno è simile a quello delle banlieues francesi o delle gangs giovanili in altri paesi occidentali, in cui l’immigrazione è una delle componenti del contesto sociale in cui nasce questo fenomeno, ma non ne è la causa diretta.
Tornando alla notizia da cui sono partito, quella delle ronde anti maranza, si tratta evidentemente della reazione di cittadini che non si sentono protetti dallo Stato, e che immaginano di potersi associare per difendersi da soli.
Guardate, non mi soffermerò troppo su questi tentativi (apparentemente molto seri) di organizzare i cittadini in gruppi, per non dare troppa pubblicità alla cosa.
Ma non credo si possa neppure far finta di niente.
Certo nel nostro Veneto di ronde non si parla più da tempo. Sono finite nel dimenticatoio; di contro è boom di “controllori di vicinato”, appoggiati da sindaci, prefetti e questori.
Dopo le polemiche contro le ronde padane dei primi anni Duemila, oggi non c’è Comune del Veneto senza cittadini organizzati a monitorare, come telecamere umane, la propria via o quartiere.
Non scendono in strada, non vanno a cercare potenziali criminali o reati, come facevano le ronde, ma si accertano che tutto vada bene, che non ci siano movimenti strani tra case e condomini, e che i vicini si sentano al sicuro, parte di una comunità.
Ma vedete, le prime ronde, per quanto politicizzate dalla Lega di Bossi, erano una risposta emozionale all’esigenza di poter restare nella propria casa senza temere di essere aggrediti da ladri o rapinatori.
Adesso è la volta dei maranza, con le loro bravate, con le loro violenze anche verso i più deboli, a preoccupare i cittadini, e vista la difficoltà dei pubblici poteri, le ronde vengono percepite come l’unica risposta per migliorare la vivibilità delle città e contrastare il degrado.
Sono troppo attempato per pensare che sia facile, in democrazia, contrastare certi fenomeni, soprattutto se assumono gravi connotazioni di violenza, e non ho certo la presunzione di immaginare di avere qualche soluzione definitiva.
Ma di una cosa sono certo; che nessuno è innocente.
Dai genitori che non si sincerano se un figlio adolescente esce con il coltello in tasca e che hanno abdicato al proprio ruolo di educatori vedendo i figli come “amici”, alla scuola che ha rinunciato al principio di autorità in nome dell’ascolto e dell’inclusione.
Pe finire allo Stato, che immagina di risolvere il problema creando sempre nuovi reati che alla prova dei fatti diventano “grida manzoniane”.
Potrei anche sbagliare ovviamente, ma perché non pensare per i ragazzi che non si comportano bene a dei “cantieri di lavoro” obbligatorio?
Ci sarebbero tante cose da sistemare, dai boschi agli argini dei fiumi, solo per fare due esempi.
Un po’ di sana fatica, di sano lavoro manuale, senza buonismi, adottando regole ferree ed un sano principio di autorità, forse potrebbero essere salutari per qualche maranza troppo esuberante, e per tutti i ragazzini col coltello in tasca.
In ogni caso male non farebbero!
Umberto Baldo