6 Marzo 2024 - 9.37

Giappone in crisi: il declino dell’ex “Impero del Sole”

di Umberto Baldo 

Nonostante l’economia tedesca non goda in questa fase di ottima salute, e la locomotiva teutonica sia in frenata,  lo scorso anno la Germania è riuscita a scalzare il Giappone dalla posizione di terza economia mondiale, posizionandosi dopo Stati Uniti e Cina (dato peraltro certificato dal FMI).

Molti economisti ed analisti hanno sottolineato che questo sorpasso è ascrivibile al forte deprezzamento della moneta nipponica, ma l’indebolimento dello yen permette di spiegare solo in parte il sorpasso dell’economia giapponese da parte di quella tedesca, dato che i Pil di ogni Paese vengono convertiti in dollari, ed il prodotto interno lordo nominale giapponese per il 2023, espresso in dollari, è stato di 4,2 trilioni di dollari, secondo i dati del Governo, rispetto ai 4,5 trilioni di dollari dei tedeschi.

Certo ne è passato del tempo da quel 1979 quando il professore di Harvard Ezra Vogel pubblicò il libro “Il Giappone come numero uno; lezioni per l’America”, che fece scalpore, e suscitò qualche paranoia negli Usa, perché sosteneva che l’approccio giapponese alla governance ed agli affari fosse superiore a quello di tutti gli altri Stati ad economia di mercato. 

Erano quelli gli anni del “miracolo” del Giappone, il cui Pil crebbe per la maggior parte degli anni ’50, ’60 di circa il 10% l’anno, per poi assestarsi ad un 4/5% dalla seconda metà degli anni ’70, e fino a tutti gli anni ’80. 

Era il periodo in cui si diffuse la convinzione che il Giappone avrebbe potuto presto scalzare gli Usa, diventando la prima economia del mondo. 

Questo trend di crescita impetuosa continuò, tanto che nella seconda metà degli anni ’80 i prezzi delle azioni giapponesi triplicarono, ed i prezzi delle attività reali addirittura quadruplicarono.

Per capire bene di cosa parliamo, pensate che nel 1988 il Pil del Giappone equivaleva al 60% di quello statunitense, però ottenuto con circa la metà della popolazione (il che voleva dire che il Pil pro capite giapponese superava quello americano).

Il top lo si ebbe nel 1995 quando, dopo un forte apprezzamento dello Yen, l’economia giapponese raggiunse una dimensione pari a tre quarti di quella Usa.

Il 1995 per il Giappone rappresentò da un lato il picco, e dall’altro l’inizio di una china inesorabile, tanto che proprio nel quindicennio che va dal 1995  fino al 2010 l’”ex Impero del Sole” registrò una crescita negativa costante del Pil (in termini di yen).

Ma mentre l’economia nipponica retrocedeva, quella degli Stati Uniti in quel lasso di tempo crebbe di circa il 2% l’anno, e parallelamente la Cina esplodeva con tassi di crescita a due cifre.

Il risultato fu che le previsioni del libro di Vogel non si realizzarono, tanto che il Pil del Giappone oggi vale solo il 15,4% di quello statunitense, e dal 2010 il Pil della Cina ha sempre superato quello giapponese. 

Il Giappone nonostante tutto restava comunque la terza economia del mondo dopo Usa e Cina, e tutto sommato i cittadini giapponesi accettarono con una sorta di rassegnazione il sorpasso di Pechino.

In realtà ci fu il tentativo di Abe Shinzo, leader del Partito Liberal Democratico,   di provare a cambiare rotta, lanciando un audace pacchetto di politica economica (che venne chiamato Abenomics) mirato a far uscire l’economia giapponese da vent’anni di deflazione e recessione con tre linee guida: allentamento monetario, politica fiscale espansiva, e strategia di crescita a lungo termine.

Il piano di Abe (che fu assassinato l’8 luglio 2022 durante un comizio elettorale) all’inizio ebbe un certo successo, ma la crescita innescata rimase sfuggente a causa di un problema che per la verità colpisce molti Paesi avanzati; il rapido invecchiamento della popolazione.

In altre parole l’effettivo aumento della produttività del lavoro non è stato sufficiente a compensare il calo del numero degli occupati, e delle ore complessivamente lavorate. 

Ciliegina sulla torta; nel biennio 2012-2014 il Pil giapponese (espresso in dollari) è diminuito, fino ad appiattirsi del tutto. 

Tutto questo spiega come nel 2023 la Germania, pur non in spolvero, abbia alla fine scalzato il Giappone dal podio delle prime tre economie mondiali, relegandolo al quarto posto.

Da quanto si è visto, la reazione dei giapponesi (una volta uno dei popoli più nazionalisti ed orgogliosi del mondo) al sorpasso tedesco è stata la classica alzata di spalle.

Non sarà facile per qualunque classe politica che sarà chiamata a governare nei prossimi decenni invertire il trend dell’economia nipponica.

Servirebbero interventi drastici, come orientare i risparmi delle famiglie e anche delle Istituzioni verso il mercato azionario, incrementare la produttività in tutti i settori spingendo la massimo la digitalizzazione, riportare certe produzioni in Giappone.

A tal riguardo va rilevato che sia l’innovazione che la produzione hanno in gran parte abbandonato il Paese.    Solo per fare un esempio, però emblematico, i pagamenti alle società statunitensi di servizi di IT stanno aumentando rapidamente, spingendo così al rialzo il saldo delle importazioni. 

E’ del tutto evidente che se Giappone non adotterà misure urgenti e decisive per invertire questa tendenza, ad esempio promuovendo l’educazione scientifica e tecnologica per generare una produzione di servizi IT a livello nazionale,  ed espandendo la forza lavoro allocando la scarsa manodopera verso i settori più produttivi, il trend al ribasso diventerà inarrestabile.

Di conseguenza non sarebbe più il numero quattro il prossimo punto di caduta, bensì il numero cinque, perché il Fondo monetario internazionale prevede che il Pil dell’India supererà quello del Giappone (in termini di dollari)  già nel 2026.

Certo guardando il mondo con un’altra ottica, meno economicistica, si potrebbe osservare che il Giappone è un Paese pacifico e prospero, con la più lunga aspettativa di vita al mondo, il più basso tasso di omicidi, pochi conflitti politici, e la Shinkansen, migliore rete ferroviaria ad alta velocità del mondo. 

Se uno ha in mente la cultura militarista imperante in Giappone fino alla seconda guerra mondiale, non può che stupirsi di questo cambio di approccio.

Ma se invece pensa che un terzo dei giapponesi ha più di 60 anni (il che rende quella giapponese la popolazione più anziana al mondo), si rende conto che una popolo fatto di vecchi difficilmente pensa e si preoccupa per il futuro.

Lo stesso problema è già presente nella nostra Italia, e si aggraverà negli anni a venire.

Umberto Baldo

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