Gli argentini eleggono il “Presidente con la motosega”
Di immagini forti in chiave “anti Sistema” è piena la storia, e credo tutti voi ricordiate la famosa “scatoletta di tonno” da aprire, che divenne l’emblema di Beppe Grillo nella sua crociata vincente contro la classe politica ed il Parlamento.
Gli argentini un’immagine del genere l’hanno vista negli ultimi tempi; quella di Javier Milei, l’uomo con la motosega, che da domenica scorsa è il nuovo Presidente della “Terra dei gauchos”.
I primi a congratularsi con lui sono stati Donald Trump (“sono molto fiero di te”, gli ha scritto) Jair Bolsonaro, e anche Giorgia Meloni, che ha sottolineato in una telefonata a Milei i profondi legami che legano Italia e Argentina (mi auguro per noi più con l’Argentina che con il neo-Presidente).
Non sono mancate neppure le felicitazioni di Elon Musk, secondo cui “l’Argentina ha davanti a sé la prosperità” (sic!).
Da questi “sostenitori” si capisce in che area politica si muova Javier Milei, ma se fosse solo un uomo di estrema destra, la sua elezione rientrerebbe in uno schema elettorale ormai classico.
Il fatto è che Milei, che ha stracciato al ballottaggio l’avversario peronista Sergio Massa (come si faccia a candidare a Presidente il Ministro dell’economia di un Paese fallito lo sa solo Dio!), va ben oltre questa lettura “classica”, e quando si è fuori dagli schemi è naturale che si suscitino parecchi interrogativi.
Direi di partire da due domande: chi è Javier Milei, e perché è diventato inaspettatamente il Presidente del secondo Paese del Sudamerica?
Milei è un “uomo nuovo”, la cui formazione passa per scuole cattoliche e università private e, secondo il giornalista Juan Luis Gonzales, che ne ha scritto una biografia, sarebbe cresciuto in un ambiente molto violento, tanto da essere soprannominato ascuolacome“el loco”,cioè il matto, a causa della sua aggressività.
Laureato in economia è stato consigliere economico di Antonio Domingo Bussi, generale durante la dittatura militare argentina e poi deputato espulso dal Parlamento perché accusato di crimini contro l’umanità. Forse anche per questo Milei è un negazionista rispetto ai numeri dei desaparecidos, le persone scomparse durante la dittatura.
Ma Javier Milei non ha raggiunto il successo popolare come economista, bensì come opinionista televisivo, proprio per il suo atteggiamento aggressivo, e da quella notorietà mediatica arriva la sua elezione per la prima volta al Congresso nel 2021.
Avete capito bene: in meno di due anni da neo-deputato a Presidente della Repubblica!
Inutile dire che sin dagli esordi ha iniziato con il “metodo motosega”.
E così tra le sue proposte politiche più estreme si trovano la sostituzione della valuta argentina, il peso, con il dollaro statunitense, la chiusura della Banca centrale, dare accesso alle armi a tutti, privatizzare le imprese pubbliche e cancellare l’assistenza sociale diretta, introducendo dei sussidi temporanei per le cure mediche.
Tanto per capirci meglio, ha etichettato la crisi climatica come “una menzogna del socialismo”, Papa Francesco come un “imbecilleche rappresenta il diavolo sulla terra” (si sono comunque telefonati dopo l’elezione), e definito la vendita degli organi umani “un mercato in più”.
Il suo però è un discorso politico confuso e spesso contraddittorio rispetto alla classica linea conservatrice populista a cui rimanda, strizzando l’occhio a Bolsonaro e Trump.
Per esempio si oppone all’aborto, al femminismo, all’educazione sessuale nelle scuole; ma allo stesso tempo difende il diritto individuale di scegliere il proprio sesso e genere, il matrimonio di persone omosessuali, la legalizzazione delle droghe, e della compravendita di organi.
Qualche giornale come il Financial Times cerca di incasellarlo come un “libertario radicale”, altri come un “paleo-libertario” vicino alle idee dell’anarco capitalismo.
Per coloro a cui sfugge,il libertarismo è un filosofia politica nata negli Stati Uniti che propugna una libertà individuale totale rispetto al potere dello Stato.
E su questa linea Milei è un maestro nella comunicazione breve ma efficace; come accennato si fa riprendere con una motosega in mano promettendo un taglio alla spesa pubblica pari al 15 per cento del Pil, un elettroshock colossale, ed elenca i Ministeri di cui vorrebbe sbarazzarsi, quello della cultura, dell’ambiente della parità di genere, e tanto per citare un concetto da lui espresso: “Tra la mafia e lo Stato preferisco la mafia, perché almeno ha dei codici e rispetta gli impegni presi, non mente ed è competitiva”.
Inquadrato alla meglio Milei, resta da rispondere alla domanda: perché ha vinto?
La sua vittoria è senza dubbio un voto di protesta da parte della popolazione di un paese fallito.
Oggi il 40 per cento degli argentini vive sotto la soglia di povertà, mentre l’inflazione è al 143 per cento, e il Governo non può ripagare i suoi debiti.
Quindi il voto per Milei è spiegabile solo come una sorta di rivolta elettorale motivata dalla crisi economica e dal malcontento sociale crescente.
Che poi la rivolta si sia orientata verso l’estrema destra (ammesso che si possa definire così) è forse solo un caso.
Gli argentini si sono rifiutati di votare per Sergio Massa un peronista di sinistra (il suo partito è “Union por la Patria”) responsabile del bilancio di un lungo regno che si conclude nel peggiore dei modi; ma hanno anche bocciato l’alternativa della destra classica (rappresentata dal Partito “Juntos por el cambio”), così premiando un politico “fuori del sistema”, che ha fondato il suo partito “La Libertad Avanza” solo due anni fa, e che propone una drastica riduzione del ruolo dello Stato, che secondo lui dovrebbe limitarsi unicamente alla sicurezza, all’istruzione di base ed alla giustizia.
In poche parole gli argentini, dopo essere stati negli anni ’30 una delle nazioni più ricche del mondo, aver provato il peronismo (un mix di rivoluzionarismo e fascismo), e le Giunte militari (con decine di migliaia di desaparecidos), di fronte all’inconcludenza dei partiti tradizionali di destra e sinistra, all’iper inflazione, all’enorme debito con il Fondo Monetario Internazionale, alla crescita della disoccupazione e della povertà, hanno deciso di dire basta, di cambiare registro, scegliendo di votare per questo strano populista che mescola la rivolta contro le élites, l’establishment, le istituzioni, i partiti tradizionali, financo la Banca centrale, con un iper-liberismo economico che potrebbe rilanciare il Paese, ma potrebbe anche dargli il colpo di grazia.
D’altronde davanti al programma di Milei (il cui marchio di fabbrica è “Viva la libertad carajo” -Viva la libertà c….o) che promette la diminuzione della pressione fiscale, maggiore flessibilità del lavoro, e un taglio della spesa pubblica di almeno il 15%, attraverso una drastica riduzione degli impiegati statali e dello Stato sociale, avranno pensate: perché no? Tanto peggio di cosi!
In politica estera il neo Presidente sembra guidato da anarco-capitalismo, anticomunismo, giudaismo messianico, idiosincrasia valoriale e americanismo. Anarcocapitalismo esplicitato dalla promessa di “privatizzare” l’Argentina. Anticomunismo espresso nella repulsione verso Cina, Cuba, Corea del Nord e, parenti alla lontana, tutte le sinistre sudamericane.
Giudaismo messianico condensato nel desiderio di abbracciare l’ebraismo e di riconoscere Gerusalemme quale capitale unica e indivisibile di Israele.
Idiosincrasia espressa nella compresenza di valori ultraconservatori e istanze iper progressiste.
Da accanito sostenitore degli Usa (ed in effetti a Washington piace molto), sembrerebbe scontato per la “sua” Argentina l’abbandono del terzomondismo, l’annullamento dell’ingresso nei BRICS, la dollarizzazione, ecc.
A questo punto ricordate sempre la regola che in politica valgono i fatti e non le parole, soprattutto quelle delle campagne elettorali (e lo abbiamo visto di recente anche noi italiani).
E così, come scrive il quotidiano di Buenos AiresClarin, «la vittoria ai seggi gli ha dato la legittimazione necessaria per arrivare alla presidenza, ma questa non basta per poter governare», diventa inevitabile considerare che le condizioni politiche argentine lo costringeranno comunque a grossi compromessi.
Il suo partito, La Libertad Avanza, ha soltanto sette seggi su 72 in Senato, e 38 su 257 alla Camera, e Milei deve quindi costruirsi una coalizione di Partiti che lo appoggi (e ciò lo costringerà a più di qualche mediazione e passo indietro).
E dato che fra i suoi sostenitori durante la campagna elettorale c’è stato in particolare l’ex presidente Macri, un navigato politico di centrodestra, sipuò prevedere che l’azione dell’esecutivo sarà guidata appunto dagli accordi con la coalizione dell’ex presidente Mauricio Macri, che da dietro le quinte può tornare a giocare un ruolo rilevante nella politica argentina dei prossimi anni.
Non si può non rilevare che un cambio di linea dell’Argentina potrebbe comunque influire sugli equilibri geopolitici globali, destabilizzando ulteriormente la situazione dei blocchi internazionali già messa a durissima prova dalla guerra in Ucraina e dal conflitto in Medio Oriente.
Chiudo sul fatto che l’Italia dei “patrioti”sembravedere nella vittoria della destra di Milei un’occasione per cementificare gli atavici legami con l’Argentina, il Paese “più italiano” al mondo dopo il nostro. Come ha ribadito la stessa premier Giorgia Meloni in un colloquio telefonico con il neoeletto Milei: “L’Argentina è una nazione a cui siamo legati da profondi legami storici e culturalie in cui vive la più grande comunità di italiani all’estero. Roma e Buenos Aires condividono valori comuni che definiscono la nostra azione di politica estera nell’attuale contesto internazionale”.
Concludendo, tenderei ad escludere che, alla prova dei fatti, Milei possa realizzare tutto quel che ha promesso (meglio urlato), ma non bisogna sottovalutare quello che rappresenta: la stanchezza degli elettori delusi, che non hanno esitato a cedere alle sirene di una rottura pericolosa invece che restare in una situazione di stallo.
E’ questa è una lezione universale, su cui dovremmo meditare anche in Italia.
Umberto Baldo