22 Luglio 2024 - 9.25

Hillbilly Elegy: una chiave per comprendere il trumpismo

Umberto Baldo

Vi ho già intrattenuto sulla vicenda dell’attentato a Donald Trump nel pezzo del 16 luglio titolato “Donald Trump: E’stato Dio a salvarmi!”, nel quale vi ho riferito, giocoforza a a volo d’uccello, le motivazioni che a mio avviso stanno alla base del “fenomeno Trump” e del successo di quest’uomo, che, diciamoci la verità, noi europei facciamo fatica a comprendere appieno.

Ritorno oggi sul tema concentrandomi sul profilo del candidato Vice-Presidente, scelto a sorpresa dal Tycoon.

Debbo confessarvi che, di primo acchito, mi sono chiesto: James David Vance, chi è costui?

Breve ricerca e scopro che ha 39 anni, dal 2022 è Senatore dell’Ohio con la benedizione di Trump, che ha votato contro l’accesso alla fecondazione in vitro, che sostiene un divieto nazionale di aborto (anche in caso di violenza o stupro), e chiama adescatori e pedofili gli avversari democratici pro diritti Lgbtq+.   

Pensate che è persino contrario al divorzio, ed anche un po’ misogino. 

Immagino che molti di voi si siano applicati a leggere gli innumerevoli articoli dedicati nei giorni scorsi a questo politico  che non oso più definire “emergente”, visto che qualora Trump vincesse, e per qualsivoglia motivo non potesse esercitare i poteri presidenziali, diventerebbe automaticamente il Comandante in Capo degli Usa (e scusate se è poco!).

Si dice che il Tycoon abbia riflettuto e valutato a lungo prima di decidersi per Vance, e a mio avviso ciò deriva dal fatto che Trump (che non è uno stupido e sa bene che questo per lui, 78enne ed eventualmente al secondo mandato, sarebbe il canto del cigno) abbia deciso di  offrire una prospettiva di lungo periodo al “trumpismo”, affidandola ad esponenti appunto come Vance, che hanno fatto le scuole giuste, e che hanno in mente una vera e propria rivoluzione ideologica ed istituzionale per gli Stati Uniti, apparentemente in senso meno liberale.

E’ comunque illuminante scoprire che nel 2016, quando Trump fu eletto, Vance era un convinto “Never Trumper”, tanto da attaccare l’ex Presidente in tutti i modi, definendolo “idiota”, “Hitler d’America”, “disastro morale”.

Quando si dice “la conversione sulla via di Damasco”! Per Vance c’è indubbiamente stata, e lo ha portato ad essere forse il più convinto sostenitore delle idee e delle politiche del suo attuale mentore. 

Continuando così a scorrere la biografia di Vance, oltre alle posizioni antiabortiste, antidivorziste e fondamentaliste della «Nuova Destra», ho appreso che il Senatore era già un uomo di successo prima di entrare in politica, grazie alla sua attività di scrittore. 

Credo abbiate capito da tempo che io sono come San Tommaso, e di conseguenza, avendo appreso dei suoi scritti, negli ultimi due tre giorni mi sono scaricato e letto “Elegia Americana”, e non contento mi sono anche andato a vedere il film che ne ha tratto quel grande di Ron Howard (lo trovate su Netlix). 

Sono infatti convinto che, per quanto bravi siano columnist e commentatori, una presa visione diretta sia sempre più illuminante.

Vi dico subito che quello di Ron Howard è un ottimo film, nel quale il regista è riuscito a mio avviso a rendere molto bene il contenuto e le atmosfere del libro di Vance.

Molto meglio il libro ovviamente, ma di questi tempi in cui la lettura non sembra essere molto praticata, per farsi un’idea forse è sufficiente anche il film.
Per la serie “piuttosto che niente meglio piuttosto!”

E veniamo ad “Elegia Americana”, il cui titolo originale è “Hillbilly Elegy: A memoir of a family and culture in crisis”, che, ripeto, merita di essere letto come “chiave di comprensione”, dato che la sua forza sta nella capacità di rappresentare l’elettorato che ha portato Trump al successo non con le categorie astratte dell’analisi politica o sociologica, ma tramite il racconto di una esperienza diretta e coinvolgente.

Già perché, non so se finora si sia capito bene, “Elegia Americana” è prima di tutto un libro autobiografico, in cui Vance ha saputo rendere visibile un intero mondo: senza fargli sconti, ma anche senza rinnegarlo.

Nel testo esprime il suo pensiero sugli hillibilly (si tratta di una parola peculiarmente americana che si riferisce ad una cultura e ad un tipo umano), che possono anche  non piacere a noi europei in quanto non rispondono agli stereotipi che abbiamo in mente, ma sono americani anche loro, e non possono essere liquidati come una sorta di aberrazione sgradevole della società Usa.

Non voglio togliervi il piacere della scoperta, ove mai decidiate di leggere il libro, ma credo abbiate già capito che non si tratta di un giallo in cui individuare l’assassino. 

Per usare una metafora poliziesca, in Elegia Americana gli assassini sono gli “hillibilly”, quella sottoclasse bianca che è stata determinante per la vittoria di Trump nel 2016, e che forse lo sarà anche quest’anno.

I nonni di J.D. Vance sono sporchi, poveri e innamorati quando emigrano giovanissimi dalle regioni dei monti Appalachi verso l’Ohio nella speranza di una vita migliore. 

Ma quel sogno di benessere e riscatto è solo sfiorato, perché prima di diventare uomo il loro nipote lotterà a lungo con la miseria e la violenza domestica: una madre tossicodipendente, patrigni nullafacenti che si susseguono uno dopo l’altro, vicini di casa alcolisti capaci solamente di sopravvivere con i sussidi e lamentarsi del governo, in una regione in cui i tassi di disoccupazione sono sempre più alti e l’abbandono scolastico è alle stelle.

Scoprirete leggendo il libro l’importanza di tre donne che hanno segnato la vita di Vance: la nonna, la madre, la moglie.

Elegia descrive, meglio mette a nudo, quell’America silenziosa sicuramente sconosciuta agli intellettuali democratici che vivono sulle coste atlantica e pacifica, e dà voce a quella classe operaia dei bianchi degli Stati Uniti più profondi che un tempo riempiva le chiese, coltivava le terre, e faceva funzionare le industrie.

Vance in realtà narra un mondo che non c’è più, perché al suo posto c’è solo ruggine e rabbia; descrive la vita di quegli “zotici” che risiedono nelle aree rurali e montuose degli Usa; ne parla con toni appassionati perché quella è la “sua gente”, ma non con toni assolutori. 

In sintesi quella che J.D. Vance racconta senza indulgenza ma, ripeto, con un amorevole orgoglio di appartenenza, non è l’eccezione ma è la storia, in filigrana, di un Paese intero, di quel proletariato bianco degli Stati Uniti che dalla globalizzazione  non solo ha avuto  poco o niente, ma ha pagato prezzi altissimi in termini di qualità della vita e anche di impoverimento, e che alla fine ha scaricato tutta le  sua frustrazione portando alla vittoria Donald Trump. 

Alla fine di “Elegia Americana”  non ho potuto non concludere che il merito di Vance è quello di aver saputo rendere visibile un intero mondo: senza fargli sconti, ma anche senza perdere il rispetto per le persone che lo abitano e che lui, in un certo senso, si è lasciato alle spalle, grazie al suo impegno personale, e a quello della nonna che ad un certo punto lo ha costretto a rimettersi in carreggiata. 

Sia chiaro che il fatto che il  libro mi sia piaciuto non implica assolutamente una mia adesione all’impostazione culturale ed alla visione del mondo di Vance, ma “Elegia Americana” aiuta a comprendere meglio quello che è da anni sempre più evidente; cioè che gli Stati Uniti sono in realtà uniti solo nel nome, e che fra le varie aree del Paese ci sono peculiarità culturali, demografiche ed economiche talmente profonde da  risultare quasi incompatibili.

Per concludere, adesso mi è davvero più chiara la scelta di Trump; perché il senatore Vance racconta (e immagino conti di rappresentare a Washington) proprio quell’America della working class bianca e del Midwest industriale che si sente abbandonata dalle élite del Paese, quell’America che, in buona sostanza, non crede più nel sogno americano.

Umberto Baldo

PS: avrete già visto che ieri Joe Biden ha deciso di abbandonare la corsa alla Casa Bianca. Decisione forse tardiva, che però mette i Democratici di fronte alla sfida di individuare in modo trasparente un candidato in grado almeno di competere con Trump. Ci torneremo non appena ne sapremo un po’ di più.

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