26 Giugno 2024 - 9.48

I ballottaggi e il rapporto dialettico maggioranza-opposizione e la ‘regola di mio zio’

Umberto Baldo

Io avevo uno zio, passato da qualche anno a miglior vita, che quando parlavamo di politica mi ripeteva sempre una sua ferma convinzione: “Nipote, ricordati che bisogna sempre votare per l’opposizione, se vuoi che la maggioranza sia costretta a fare qualcosa per noi cittadini”.

Lui non era sicuramente comunista, ma in virtù di questa sua ferrea convinzione mi diceva di aver sempre dato il suo voto al Partito Comunista Italiano.

Ho spesso ripensato a questa sorta di “vademecum per l’elettore” di mio zio, e a rigor di logica ha un senso, perché è evidente che un’opposizione in grado di incalzare, facendo politica, la maggioranza del momento, la costringe a rincorrere il favore dell’elettorato.

In effetti oggi voglio proprio soffermarmi sul rapporto che dovrebbe intercorrere fra maggioranza-opposizione nell’ambito di una democrazia occidentale, ma la cronaca incombe e pertanto parto dai risultati dei ballottaggi di domenica-lunedì.

Come al solito, se date retta ai politicanti che ci inondano ogni giorno di banalità, hanno vinto tutti.

Ma siccome noi non siamo proprio deficienti, basta guardare la mappa per rendersi conto che, al di là del numero dei comuni conquistati, comunque a vantaggio del Centro sinistra, a piazzare i colpi migliori è stato il Pd assieme ad i suoi alleati.

Tanto per fare solo un paio di esempi, Firenze non ha certo la valenza di Rovigo, come Bari non ha quella di Caltanisetta.

Ma tant’è, sappiamo che i nostri Demostene sono abituati a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, anche quando è mezzo vuoto.

Vedrete che nell’immediato futuro schiere di politologi si scervelleranno per capire se il partito di Giorgia Meloni non stia già entrando in una non preventivata crisi di consensi, e se di conseguenza il Governo non cominci a perdere colpi, a comunicare al Paese un certo affanno.

Non sono di quest’idea, anche perché tradizionalmente le amministrative sono sempre più favorevoli alla sinistra, in special modo nei grandi Comuni, e raramente un risultato mediocre alle comunali porta a scossoni nel Governo Centrale.

Questo non vuol dire però che Giorgia Meloni non dovrebbe per prima domandarsi se per caso lo scricchiolio di domenica scorsa possa non essere casuale, e di conseguenza commetterebbe un errore se facesse finta di niente.

Sul risultato hanno giocato sicuramente due fattori.

Il primo, cui vi accenno da tempo, è che Fratelli d’Italia non ha ancora il personale all’altezza di un Partito che governa un Paese come l’Italia, e mi chiedo per quanto tempo la premier possa continuare a governare facendo riferimento per lo più  a persone a lei legate da vincoli di parentela o di fedeltà personale (persone che in pratica le devono tutto).

Detta in altre parole, finché si vota “Giorgia”, nell’ambito di una dinamica tutta politica, la baracca tiene, ma quando non c’è in campo lei, che prende voti per tutti e copre tutti, esce fuori il vero punto debole: la fragilità della sua classe dirigente.

Il secondo fattore, per me del tutto strumentale, è che la legge elettorale comunale, con il doppio turno sembra favorire le forze di sinistra.

Tanto è vero che un “patriota” di lungo corso, qual è Ignazio La Russa, come prima reazione ai risultati ha rispolverato l’intenzione della maggioranza di modificare la legge elettorale per i grandi Comuni, prevedendo di eliminare appunto il “ballottaggio”.

Guardate, non ho intenzione di impiccarmi sulla questione se il ballottaggio sia il migliore o il peggiore sistema elettorale, anche perché secoli di “scienza politica” insegnano che non esiste, e forse non può esistere, un sistema elettorale perfetto, in grado di garantire sia la partecipazione dei cittadini sia la governabilità.

Ma la questione mi serve per ritornare sulla problematica con cui ho iniziato.

Partendo proprio dalla legge elettorale, che è per antonomasia la legge in cui è richiesta una sorta di accordo, o per lo meno di condivisione, con l’opposizione.

Per spiegarmi meglio, la legge elettorale è quella che fissa le regole del gioco, e in una democrazia occidentale matura non esiste che la maggioranza la cambi quando pare a lei, peggio ancora quando si accorge che quella in vigore non la favorisce alle elezioni.

Ripeto: la legge elettorale non può essere una sorta di “gioca dell’oca” modificabile a colpi di maggioranza da chi governa in un certo momento.

E fin dagli anni in cui studiavo diritto costituzionale, mi sono chiesto perché i costituenti non abbiano immaginato per la legge elettorale una sorta di valenza “rafforzata” rispetto alla legge ordinaria. 

Tornando a bomba, io credo che uno dei problemi del nostro sistema democratico stia proprio nel ruolo evanescente dell’opposizione (parlo in generale, e non riferendomi ad un Governo in particolare, quindi neppure a quello attuale).

I nostri schieramenti politici lavorano cioè con la stessa identica logica che imperava ai tempi dei guelfi e dei ghibellini, e lo dimostra il fatto che ogni Governo solitamente si insedia con l’obiettivo di smontare quanto fatto dal precedente Esecutivo, con il risultato che il Paese sembra andare avanti, ma in realtà resta fermo.

La nostra cultura politica sembra cioè non capire che l’esistenza di una opposizione istituzionalizzata è una delle grandi conquiste della storia della democrazia in Occidente. 

Anzi, probabilmente è la più significativa, perché canalizza il conflitto sociale, e rende legittima la manifestazione del dissenso.

Tanto è vero che nei paesi non democratici tutto questo è solo un sogno, perché l’alternativa al pensiero dominante è la repressione.

Vedete, non per la solita “esterofilia”, ma a mio avviso dovremmo trarre ispirazione dal sistema inglese, il più antico regime parlamentare, dove l’opposizione non a caso è rispettosamente definita come “l’opposizione di Sua Maestà Britannica”. 

Ciò che colpisce in quel sistema è che pur nella netta contrapposizione di ruoli tra maggioranza e opposizione, entrambe si muovono all’interno di un dato di fondo, cioè la condivisione di valori comuni, che nessuno oserebbe mettere in discussione. 

Inoltre, entrambe le forze, nessuna delle quali si sente “moralmente superiore all’altra” come accade da noi, si legittimano reciprocamente. 

Chi perde alle elezioni riconosce i vincenti, e questi riconoscono ai perdenti uno spazio legittimo per far sentire la propria voce. 

Così, l’opposizione non lavora contro l’interesse del Paese, ma vigila sull’operato della maggioranza e si richiama alla Corona nei casi di decisioni concrete che vadano contro l’interesse generale, svolgendo un ruolo di garante dei valori comuni. 

Inoltre, l’opposizione ha una funzione propositiva, nel senso che formula un progetto politico alternativo a quello della maggioranza di governo, aspirando a conquistare il potere nelle successive tornate elettorali. 

Questo meccanismo dell’oscillazione del pendolo (o democrazia dell’alternanza), ha dato prova di stabilità ed efficienza.

Spiace constatarlo ma in Italia siamo ancora ben lontani da una concezione simile a quella inglese, e questo è il motivo per cui il nostro è un Paese in cui le riforme costituzionali vanno guardate con una certa circospezione, perché mettere le mani sulla Carta fondamentale non è come spostare una pedina su una dama.

Questo non vuole dire che la Costituzione debba essere immutabile, come vorrebbero i “Bella Ciao” che la considerano la migliore del mondo (e non è assolutamente vero!), ma che ogni modifica va valutata e soppesata alla luce dei rapporti maggioranza/opposizione in Parlamento, per capire in che direzione si sta andando. 

Perché i confini non sono mai netti, e ci vuole un attimo dal passare da una democrazia costituzionale in cui la dialettica potere/contropotere si mantiene vitale, ad una democrazia totalitaria in cui il potere diventa ancora più potere.

A proposito, rispetto alla “regola di mio zio”, dopo anni non sono ancora riuscito a capire se avesse ragione o meno.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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