I domenicali della montagna cialtroni che fanno impazzire il Soccorso Alpino
di Alessandro Cammarano
Circa 5000 anni fa, minuto più minuto meno, un uomo – forse un cacciatore o più probabilmente uno sciamano – si avventurò tutto solo per la Val Senales, o meglio nella Ötztal, dove era giunto dalle quote relativamente più basse della Val Venosta e lì morì, probabilmente ucciso da qualcuno, e il suo corpo si mummificò nel ghiaccio fino a che nel 1991 Ötzi – questo il nome un po’ da cartoon che gli fu dato dagli studiosi – non fu ritrovato e, dopo studi accurati, collocato in bella vista al Museo Archeologico di Bolzano, tutto nudo e in una camera igloo che lo mantiene alla temperatura giusta e lo conserva.
Ötzi era uomo di montagna e in piena età del rame non si sarebbe mai messo in viaggio affrontando un ambiente ostile senza essersi preventivamente ben attrezzato, prova ne sia il ricco corredo recuperato e magnificamente restaurato: pantaloni di pelle con la pelliccia all’interno, più casacche da indossare una sopra all’altra, un bel berretto d’orso e tutta un’attrezzatura – ascia, frecce, coltellino multiuso, sacchetto di medicinali … – che lo avrebbero protetto nel suo viaggio.
A giudicare da quanto si vede andando a passeggiare sui monti la lezione di Ötzi – e dopo di lui di tutti coloro che hanno affrontato le vette alpine con coscienza e rispetto, lasciando preziosi insegnamenti ai posteri – hanno troppo spesso il valore di parole scritte sull’acqua.
Esaurito il preambolo peseudocolto è giunto il momento di dedicarsi all’esame, politicamente scorrettissimo, di varie tipologie di personaggi che frequentano la montagna, soprattutto nei mesi estivi, in maniera del tutto irresponsabile non solo verso loro stessi ma anche e soprattutto perché la loro sconsideratezza porta non infrequentemente a conseguenze che riguardano altre persone.
Nella top ten degli incauti entrano di diritto i grandi obesi, quelli con i trigliceridi a novemila e il colesterolo cattivo capace di far singhiozzare di disperazione qualsiasi laboratorio di analisi, ma che tuttavia si barda come un novello Messner per affrontare la camminata che da valle lo porterà, dopo alcune ore, al rifugio Edelweiss dove – glielo ha detto un suo cugino affidabile – fanno una zuppa di trippa con fagioli da resuscitare un morto. Infiammato dall’idea della meritata ed abbondante ricompensa alimentare il ciccione si mette in cammino, ma già dopo cinquanta metri cerca un masso sporgente a lato del sentiero da usare come sgabello; la respirazione, per lui problematica anche a livello del mare, si fa impegnativa ma il miraggio della trippa lo sostiene. Per fortuna è con degli amici in discreta forma che, oltre ad aver convinto la di lui consorte che pesa duecento chili a restare ai piedi del monte a mangiare un gelato, lo spingono a turno lungo l’ascesa magari incoraggiandolo con frasi ambigue del tipo “Dai Toni, che sopra ti aspetta il paradiso!”.
Peccato che all’arrivo Toni l’obeso scopre con orrore un cambio di gestione per il quale il menù da montanaro è diventato bio-vegan, con tanto di gigantografia del dottor Nowzaradan al posto della testa di cervo imbalsamata, e di conseguenza deve accontentarsi di un poké-bowl del boscaiolo con pigne di cirmolo croccanti e aglio orsino.
Abominevoli i finti giovani, ovvero quei baldi sessantenni che, non tenendo conto dell’escursione termica – anche nei mesi estivi – tra fondovalle e vetta, partono per la passeggiata con elegante polo, colletto rigorosamente tirato su, pantaloni con la piega e giubbino di camoscio, tutto naturalmente coloratissimo perché “io sono figo sempre”. Già a metà percorso e nonostante il movimento, il freddo comincia a mordere loro le braccia e non c’è fiaschetta di brandy che tenga: l’effetto Ötzi si fa sempre più presente e lo strato di trucco-stucco-lampada si screpola come un affresco esposto all’aria.
E che dire delle coppie di amiche stile “ochetta urbana” che affrontano ghiaioni insidiosi calzando deliziose ballerine? Perché “sono così comode e leggere, e poi hanno la suola di gomma e quindi fanno presa benissimo”. Se va bene scivolano per qualche metro, battendo le chiappe e facendosi qualche escoriazione, se in vece va male tornano giù in elicottero tra le bestemmie dei soccorritori chiamati ad intervenire per colpa dell’ennesimo idiota. Una variante solo in apparenza antitetica alle ballerine son le Loubotin tacco 12 che, nonostante la suola rossa sono più scivolose di un toboga all’Acquafan.
Niente male anche la categoria “anziani confusi”, persone che magari vanno in montagna da tutta la vita ma ai quali purtroppo la testa non risponde più come un tempo e quindi a forte di commettere imprudenze del tipo discesa lungo un canalone pensando di accorciare il ritorno in albergo o ancora ricerca di funghi in un bosco che una volta conoscevano benissimo ma di cui ora non ricordano più nulla.
E le famigliole tutte rigorosamente in scarpe da trekking – almeno loro le scarpe le hanno giuste – che arrivano pimpanti al rifugio in cerca di gnocchi con la fioretta o di gulasch e lasciano loro figli orrendamente iperattivi e maleducatissimi a dare fastidio a chiunque abbia deciso di godersi una birretta e un panino al salame prima di ripartire per la camminata? Per giunta guai a protestare: Sono bambini! Che fastidio le danno? Guardi che la denuncio che tanto ho il cognato di mio zio che è avvocato.”. Per loro ci dovrebbe essere un girone infernale apposito.
Infami le comitive dei “frugali” – leggi taccagni – che portano in quota, spesso con gerle alla Ötzi, ogni genere di conforti alimentari, dai thermos di tè e caffè alle bottiglie da due litri di spuma al ginger e giù fino a panini al salame e a caschi di banane, il tutto rigorosamente da discount perché, si sa, “I rifugi sono carissimi e non diamo da mangiare a chi se ne approfitta”. Doverosa una parola di conforto e solidarietà ai loro figli costretti a guardare i loro coetanei addentare cotolette fritte spettacolari accompagnate da legioni di patate fritte, il tutto comodamente seduti e con vista mozzafiato sul vallone sottostante.
Da qualche tempo ai trekker “incauti” si sono aggiunte frotte di neofiti della mountain bike che finiscono per impegnare anch’essi il soccorso alpino costretto a soccorrerli. Eppure i segnali ci sono, ma le piste contrassegnate dal cartello “Pista per bikers esperti” vengono sistematicamente preferite dal neofita sovrappeso, dall’adolescente animato dallo spirito di Vin Diesel e anche dalla “sioretta” tutta fitness che si è fatta personalizzare il rampichino da una sua amica arredatrice d’interni. Dunque tutti a capofitto tra i larici, incuranti della pendenza da rollercoaster e dalle curve da pista olimpica di bob: giù tutto d’un fiato fino al CTO più vicino con fratture assortite.
In conclusione gli “esperti”, “quelli che sanno”, prodighi di consigli su ferrate e passerelle, che hanno imparato a leggere le mappe dei sentieri prima ancora di dire “mamma” e che poi si sperdono per essere ritrovati, ululanti come un licantropo al plenilunio, dai soccorritori che giustamente presentano il conto, sorvolando con magnanimità su una denuncia per procurato allarme.
Abbiamo esagerato? Mica tanto.
Alessandro Cammarano