28 Novembre 2023 - 8.46

I migranti usati come arma ibrida

Ieri, analizzando la vittoria di Geert Wilders alle politiche olandesi, ottenuta in buona parte grazie alle sue proposte di politiche anti immigrazione, vi avevo anticipato che oggi avremmo dato uno sguardo al fenomeno migratorio visto come strumento politico, o addirittura come arma di guerra ibrida.

Non stupitevi se la mia analisi sarà piuttosto cruda, perché il problema è epocale, e non può più, a mio avviso, essere affrontato come un “accidente della storia”.

E la consapevolezza del fenomeno è tanto più importante in quanto anno dopo anno, elezione politica dopo elezione politica, i migranti stanno dimostrando di costituire sempre più il principale “tallone d’Achille” per l’Europa. 

Partiamo dall’ultimo episodio in ordine di tempo.

La Finlandia, fresca di adesione alla Nato, dal 18 novembre scorso ha chiuso tutti i suoi  valichi di frontiera orientali con la Russia (tranne uno, quello di Raja-Jooseppi). 

Ricordo che il Paese scandinavo (5,5 milioni di abitanti) condivide ben 1.340 chilometri di confine con Mosca.

La chiusura è stata giustificata dal fatto che, secondo il Governo finlandese, la Federazione russa sta utilizzando i migranti come un’arma della sua guerra ibrida, applicando un copione già provato tramite la Bielorussia.

Certo si tratta di numeri risibili rispetto a quelli che interessano le nostre coste, ma  resta il fatto che non è assolutamente normale che arrivino dal territorio russo alle frontiere finniche migranti quasi tutti in bicicletta e scarpe da ginnastica, malgrado le temperature rigide, provenienti da Paesi come Afghanistan, Iraq, Siria, Yemen, Kenya, Marocco, Somalia. 

Anche l’Estonia, la Lettonia e la Polonia  hanno sollevato gli stessi problemi alla loro frontiere orientali.

Il fenomeno è tanto più scoperto in quanto in Russia c’è una zona di confine larga fino a 10 chilometri in cui non è possibile entrare senza il permesso dell’FSB (il Servizio di sicurezza federale russo). 

E forse per sbaglio che tutte queste centinaia di migranti finiscano in un valico di frontiera in Finlandia con le biciclette, durante l’inverno?

Nonostante Mosca respinga ogni accusa, è oggettivamente difficile crederci.

Tanto più che lo stesso copione lo si era visto da metà agosto 2021, quando migliaia di persone provenienti soprattutto dall’Iraq, e in misura minore dalla Siria, dallo Yemen e dall’Afghanistan, erano giunte alle frontiere di Polonia, Lituania e Lettonia, nella convinzione di poter entrare legalmente in Europa attraverso la Bielorussia. A fine novembre si contavano circa 8000 ingressi non autorizzati nei territori dei suddetti Paesi, attraverso la Bielorussia, rispetto a 257 ingressi in tutto il 2020, e oltre 40.000 tentativi di attraversamento.

E’ evidente che a questi uomini, donne, bambini, desiderosi di arrivare in Europa, era stato fatto credere cinicamente (con campagne di comunicazione, anche tramite i social media) di poter entrare legalmente nell’UE attraverso il confine bielorusso, inducendoli ad intraprendere il viaggio, per il quale dovevano anche sborsare  diverse migliaia di euro (spesso indebitandosi).

Ma si tratta realmente di un qualcosa di nuovo, di inedito?

Assolutamente no. 

Attori statuali e non hanno sempre fatto ricorso a questa strategia sia quando apertamente coinvolti in un conflitto, che in periodi di non belligeranza. 

E le occasioni in cui i migranti o i rifugiati sono stati usati come arma sono molteplici a partire dall’avvento della Convenzione sui rifugiati del 1951, che garantisce a coloro che fuggono da persecuzioni politiche il diritto di chiedere asilo agli stati firmatari. 

Di norma i governi che utilizzano la migrazione come un’arma per raggiungere obiettivi di politica estera sono spesso, ma non sempre, regimi dittatoriali che prendono come obiettivo le democrazie europee ed occidentali (Usa, Australia).

Qualche esempio?

Cuba in svariate occasioni fra gli anni ‘60 e ‘90 fece partire migliaia di cubani (una volta 125mila in un solo colpo) al fine di ottenere concessioni dagli Stati Uniti.

Negli anni ’70 l’India accusò il Pakistan di aver costretto più di dieci milioni di rifugiati ad attraversare il confine ed entrare illegalmente nel suo paese.

Nella seconda metà degli anni ‛80, la leadership della Germania Est impiegò la stessa strategia, promettendo a rifugiati provenienti dal medio oriente voli a basso prezzo verso Berlino Est, nei quali era anche incluso un “transito rapido e agevole” verso la Germania Ovest.

Analogamente durante la crisi del Kosovo del 1999 il presidente jugoslavo Slobodan Milosevic minacciò di sradicare circa 800.000 albanesi kosovari dalle loro case, e ciò al fine di indurre la NATO a riconsiderare la sua campagna di bombardamenti. 

In più occasioni l’allora leader libico Muammar Gheddafi minacciò di trasformare demograficamente l’Europa in un paese Africano se l’Unione non avesse soddisfatto le sue richieste di assistenza finanziaria.

E non è che abbattuto Gheddafi la musica sia cambiata, perché oltre a foraggiare sotterraneamente le milizie, senza grandi risultati, a soffiare sulla migrazione si sono inseriti altri attori, come il gen. Haftar, unitamente ai russi e ai turchi. 

Nel 1994 il presidente haitiano in esilio Jean-Bertrand Aristide convinse l’amministrazione americana a supportare il suo ritorno al potere minacciando, in caso contrario, di mobilitare un gran numero di haitiani indirizzandoli verso gli Stati Uniti

Potrei continuare con gli esempi, ma credo bastino questi per dare un’idea di come i migranti possano essere utilizzati per destabilizzare un  Paese considerato nemico o avversario. 

Spesso i Paesi minacciati hanno pagato per evitare il peggio.

Famoso l’accordo fra l’Europa (forse sarebbe meglio dire Angela Merkel) ed il leader turco Erdogan, che nel 2016, con la minaccia di inondare il vecchio Continente di profughi, ottenne aiuti per diversi miliardi di euro, la ripresa dei colloqui di adesione all’Unione, e la rimozione dei visti di ingresso per i cittadini turchi.

Vi eravate dimenticati di questi episodi?

Immagino di si, ma tutti dimostrano l’elevato tasso di successo di queste strategie ricattatorie, in quanto i Governi occidentali scelgono quasi sempre di cedere alle richieste dei Paesi ricattatori.

Comunque la sia guardi, cedere non è una scelta vincente, perché oltre al danno economico, ed all’esposizione a ricatti ancora maggiori, la strategia di pagare altri Paesi per tenere a bada i flussi migratori può anche comportare un costo reputazionale e morale molto elevato.

Mi rendo conto che a questo punto ognuno di voi starà chiedendosi: ma se tutto questo è vero come si dovrebbero muovere l’Europa e l’Occidente?

Vi dico che se avessi la soluzione in tasca forse sarei in odor di canonizzazione!

La realtà attuale è facilmente descrivibile come una tenaglia: che da un lato vede gli obblighi umanitari che le democrazie si sono date, ed alle quali non vorrebbero derogare, e dall’altro il sentimento nazionale, il sentimento anti-immigrazione sempre più diffuso fra i cittadini europei, che di fronte ai buonismi e alle indecisioni,  finiscono per spostare il consenso dalle tradizionali forze (democratiche, liberali, socialiste) ai partiti sovranisti, come la vittoria di Wilders in Olanda ha mostrato plasticamente. 

Vogliamo aspettare che in Europa a governare siano Alternative fur Deutschland, Vox, Geert Wilders, Marine le Pen, i Democratici Svedesi, Alba Dorata, e compagnia cantante?

Basta dirlo.  Basta continuare così!

Certo l’ideale sarebbero politiche di integrazione efficaci e funzionali alle reali esigenze di manodopera, ma con il numero di persone che arrivano sulle coste italiane è inevitabile che ci si possa muove solo in emergenza, offrendo così il fianco alle strategie elettorali interne, che fanno leva  sul sentimento anti-immigrazione, e sulle paure dei cittadini.

Per ora, tuttavia, la prospettiva di un cambiamento di rotta a livello europeo sembra alquanto improbabile. 

Anzi un po’ tutti i governi si stanno muovendo nella direzione opposta, accusandosi reciprocamente di violare i diritti dei migranti, ma continuando allo stesso tempo ad inasprire le proprie leggi nazionali sull’immigrazione e sulle politiche di asilo, e limitando ulteriormente (o palesemente violando) i loro impegni di solidarietà europea, e quelli legali alla protezione delle popolazioni più vulnerabili del mondo.

Da tempo ripeto che soprattutto nel mondo progressista, ed io credo anche nelle Chiese, sia necessario un ripensamento sulla politica delle “porte aperte” che, volenti o nolenti porterebbe inevitabilmente all’ingovernabilità, se non peggio, delle nostre democrazie. 

Di conseguenza se vogliamo sopravvivere come società avanzate, liberali e democratiche, dovremmo presto accettare tutti l’idea che l’immigrazione può essere anche come un’arma, e trovare al più presto un modo efficace,  e soprattutto coordinato fra tutti i Paesi europei, per mantenere sicuri i nostri confini (magari anche con metodi “ruvidi” se servissero), cercando per quanto possibile  di ridurre i flussi illegali.  In altre parole è tempo di guardare “machiavellicamente” in faccia la realtà per quella che è, e non filtrandola con le categorie dell’etica e del buonismo.

Vi sembra la quadratura del cerchio?

Vi confesso che sembra un pò anche a me, ma nella totale incertezza dell’oggi, di fronte al conto avvelenato di anni di politiche migratorie fallimentari,  non vedo altra strada. 

Umberto Baldo

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