I Talebani vietano alle donne afgane anche di fare le infermiere e le ostetriche
Umberto Baldo
Scusate se ritorno su di un tema di cui ho scritto svariate volte, e sul quale, purtroppo, temo di dover ritornare anche in futuro: quello della condizione femminile nell’Afganistan dei Talebani.
Se vi sembra che esageri, non leggete questo pezzo e dedicatevi ad altro; ma vedete, io sento il dovere di parlare delle donne afgane ( e non solo di loro) come una sorta di imperativo categorico, un obbligo etico cui una persona libera non si può sottrarre.
Io sono un liberale, cresciuto nel culto dei valori nati con le Rivoluzioni Americana e Francese, con le Dichiarazioni dei Diritti dell’Uomo e del cittadini, che in estrema sintesi prevedevano come “condicio sine qua non” la libertà di coscienza, di pensiero politico, di religione, di espressione, di associazione, di movimento, unitamente al diritto di acculturarsi, di istruirsi a fini professionali.
Coloro che li hanno teorizzati erano degli spiriti illuminati, ma il percorso non è stato facile, tanto che anche nella nostra Europa ci sono voluti un paio di secoli per arrivare almeno alla parità “sulla carta” fra uomo e donna (non dimenticate mai che il suffragio universale, con il diritto di voto a tutte le donne compreso l’elettorato passivo, in Italia fu concesso nel 1946).
Senza ripercorrere la storia di quella che io definisco la “fuga” degli Americani dall’Afghanistan, dopo 20 anni (2001-2021) in cui la presenza statunitense aveva avuto un impatto significativo sulle donne afghane, soprattutto in termini di diritti, istruzione e accesso al lavoro (nel 2020, circa il 40% degli studenti afghani erano ragazze), con il ritorno dei Talebani al potere, gran parte dei progressi sono stati letteralmente cancellati.
Alle donne è stato vietato nuovamente di frequentare scuole superiori e università; molte hanno perso il lavoro, e sono state reintrodotte restrizioni sulla loro libertà di movimento.
Solo per fare un rapido elenco ecco i divieti che hanno imposto gli studenti coranici alle donne: divieto di istruzione secondaria e superiore (istruzione solo fino ai 12 anni) con la chiusura di tutte le scuole femminili; esclusione dal mercato del lavoro: divieto di lavorare per ONG internazionali: restrizioni sui viaggi (le donne non possono viaggiare da sole per lunghe distanze senza essere accompagnate da un parente maschio detto mahram); controlli alle frontiere (obbligo per le donne di avere un permesso scritto); obbligo di hijab o burqa (le donne devono indossare il burqa o un abbigliamento che copra completamente il corpo e il volto in pubblico); divieto di frequentare parchi e palestre (alle donne è vietato l’accesso a spazi pubblici come parchi, giardini e centri sportivi); separazione di genere; divieto di parlare e cantare in pubblico; matrimoni forzati; restrizioni sui media (alle donne è vietato apparire in televisione, nei film e in altre produzioni artistiche (le giornaliste donne sono quasi del tutto scomparse dai media afgani).
Il tutto accompagnato da un bel numero di punizioni corporali che vanno dalle
restrizioni arbitrarie, alle frustate in pubblico e alla lapidazione per “condotte immorali” (sic!).
Difficile immaginare qualche altra restrizione vero?
Eppure la fantasia di questi ferventi musulmani ha partorito un ulteriore divieto: quello secondo cui le donne afghane non possono più studiare da ostetriche ed infermiere.
Si interrompe così una delle poche strade ancora aperte alle donne afghane per istruirsi.
Tanto per capirci, vi faccio un solo esempio.
Dopo un decennio di lezioni in un’università afghana, l’ex economista Shabana Sediqian (fra l’altro Preside di facoltà), dopo il divieto di insegnare imposto dagli “inturbantati”, aveva deciso di riqualificarsi come infermiera: un cambiamento di carriera che mai avrebbe previsto, ma che almeno le avrebbe permesso di uscire di nuovo di casa, visto che “Restare a casa e non fare nulla è come morire gradualmente”.
Come lei moltissime studentesse di altre facoltà avevano scelto questa strada, tanto che il numero di coloro che frequentavano i corsi di infermieristica ed ostetricia era più che raddoppiato dalla metà del 2021.
Quasi il 90% proveniva da esperienze professionali non correlate; tra queste ex dipendenti pubblici, insegnanti, giornaliste e laureande.
Non va sottaciuto che alle studentesse di medicina che stavano per qualificarsi quando i talebani hanno preso il potere, è stato impedito di sostenere gli esami finali, mentre le dottoresse sono state bloccate a proseguire gli studi specialistici.
Inutile dire che il nuovo divieto ha colto di sorpresa coloro che studiavano infermieristica ed ostetricia, e diversi video, diffusi online, mostrano donne cheprotestano silenziosamente mentre lasciano i college, cantando mentre si fanno strada attraverso i corridoi.
Non ho mai nascosto che, pur rispettando da buon liberale la libertà di ogni uomo di credere nel Dio che vuole, ho sempre avuto una notevole diffidenza nei confronti delle religioni intese come “struttura”, con tutto il corollario di regole, divieti, e soprattutto “potere”.
E quello che io percepisco nei Talebani è un’estrema misoginia, quasi un odio verso le donne, che si sublima nella loro repressione fisica e morale.
Per di più trovo illogico il divieto di cui parliamo, per le conseguenze che avrà sulla salute delle donne in Afghanistan, e sulla mortalità materna.
Che le donne potessero formarsi come ostetriche e infermiere era di vitale importanza, perché in Afghanistan i medici uomini non sono autorizzati a curare le donne, a meno che non sia presente alla visita un tutore maschio.
L’Afghanistan ha già uno deipeggiori tassi di mortalità materna al mondo.
Secondo un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dello scorso anno muoiono 620 donne ogni 100.000 nati vivi (per farsi un’idea dei numeri: secondo l’Italian Obstetric Surveillance System dell’ISS in Italia il tasso è di 8,3 decessi ogni 100.000 nati vivi).
E l’anno scorso l’Onu ha rilevato che l’Afghanistan avrebbe bisogno di altre 18mila ostetriche per soddisfare le esigenze del paese.
Ma evidentemente tutto questo non intacca le convinzioni di coloro che governano un Paese dove per le donne anche uscire di casa e parlare sono diventati un lusso, e dove anche la salute fisica, oltre a quella mentale, sono messe ora in pericolo.
La repressione talebana sta influenzando anche l’economia e le possibilità di sviluppo del Paese. L’Afghanistan sta attualmente affrontando più crisi sovrapposte, economica, umanitaria, politica, ciascuna delle quali è interconnessa ed esacerbata dalla crescente restrizione dei diritti delle donne.
E la situazione è talmente seria che, in un passaggio piuttosto sorprendente, nel documento finale del vertice dei Brics (i Paesi emergenti) tenutosi di recente in Russia nella città di Kazan, sotto l’egida del presidente Vladimir Putin, si chiede formalmente alle autorità che governano l’Afghanistan di revocare il divieto di istruzione per le ragazze dopo il sesto anno, l’equivalente della nostra seconda media.
Sorprendente, perché tra i firmatari ci sono alcuni Paesi che, soli al mondo, intrattengono relazioni diplomatiche con i Taleban, o, per meglio dire, economico-diplomatiche: la stessa Russia, la Cina e l’India, che dagli integralisti islamici al potere dall’agosto 2021 stanno ottenendo contratti per lo sfruttamento delle risorse minerarie e per la costruzione di infrastrutture.
Spero vi sia ora chiaro il perché della mia insistenza sul tema della situazione delle donne in molti Paesi, ed è anche per questo che mi arrabbio quando penso che le nostre femministe si perdono in diatribe magari sulla “gender theory” o sul “sex gender”, quando in molti, troppi, Paesi del nostro mondo si perpetua nei confronti delle donne un vero e proprio “apartheid” legalizzato.
Umberto Baldo