11 Aprile 2025 - 10.15

“Iconicamente resiliente e partecipativo”: gli orrori del linguaggio e della comunicazione alla moda

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Di Alessandro Cammarano

L’abuso di aggettivazione andrebbe sanzionato, e pesantemente, per legge; una volta le maestre – quelle che prima menavano e poi spiegavano, per intenderci – raccomandavano uno e uno solo aggettivo qualificativo per ogni sostantivo usato e la stessa regola valeva pure per gli articoli giornalistici.
Oggi invece si abusa, si sbrodola, si reitera, quasi sempre a sproposito e con scarsa conoscenza della lingua italiana, ricorrendo a stereotipi grammaticali e sintattici da far rabbrividire.

Intraprendiamo insieme, io Virgilio e voi Dante, un viaggio nell’inferno degli aggettivi e delle locuzioni più in voga.
“Resiliente” oggi è il modo più elegante per dire: “ci facciamo prendere a schiaffi dalla realtà, ma con stile”; è il nostro modo contemporaneo di elaborare un Karma sventurato con un filtro Instagram.
Ogni progetto, persona, panchina pubblica o barbiere di quartiere deve essere resiliente, altrimenti non esiste: hai perso il lavoro, la casa, la dignità? Sei una persona resiliente! Non lamentarti, fai un post su LinkedIn o un reel su TikTok, magari con uno sfondo tramonto o un gattino puccioso, qualche parola chiave motivazionale e torna a sorridere con l’entusiasmo di chi è appena stato licenziato “ma con empowerment”.

Poi c’è “concertativo”, aggettivo che ormai si applica a tutto ciò che è stato deciso da qualcuno con almeno altre due persone presenti nella stanza, anche se una stava solo prendendo appunti e l’altra giocava a Candy Crush.
Le decisioni oggi sono sempre concertative, ovvero: “abbiamo già deciso, ma facciamo finta che tu abbia avuto voce in capitolo”. Ti senti incluso? Bravo! Era tutto “partecipativo”; il tempo di dire “ascolteremo tutte le opinioni” e hanno già chiuso il questionario.

Eh già, perché “partecipativo” e suo fratello gemello “inclusivo “sono parole che piovono nei comunicati stampa come coriandoli a carnevale, sempre pronte a farti credere che stiamo costruendo un mondo dove ognuno può dire la sua; basta che la sua non sia troppo scomoda, naturalmente.

Siamo tutti inclusivi, purché tu non dia fastidio. Diversi sì, ma entro i limiti della brochure, e se la tua diversità non si può trasformare in un gadget promozionale, allora forse puoi essere diverso… ma con discrezione.

E poi c’è lui: “divisivo”, ovvero, tutto ciò che non rientra nel pensiero preconfezionato.
Hai un’opinione diversa? Attenzione: sei divisivo, ma tranquillo, non c’è nulla di più iconico oggi che essere etichettati come divisivi.

Ah, “iconico”, il vero protagonista assoluto del nostro vocabolario sgangherato e anglofilo alla nausea.
Un tempo era una parola pesante, quasi sacra, eniva riservata a figure come Marilyn Monroe, David Bowie, la Gioconda, o a certe battute entrate nell’immaginario collettivo.
Oggi basta un paio di occhiali da sole messi storti su un volto anonimo per guadagnarsi il titolo.: “iconico” è diventato il timbro di qualità del nulla, il bollino blu dell’irrilevante reso spettacolare, l’aggettivo feticcio di chi ha esaurito i sinonimi di “bello”, ma vuole comunque apparire colto.
Una cosa qualsiasi non ti ha detto niente? Allora è sicuramente iconica.
È la parola jolly del marketing, del giornalismo pigro, del post social che deve sembrare importante anche se parla di una borsa a rete o del ritorno della ciabatta con la pelliccia.

Siamo talmente circondati da cose “iconiche” che se Gesù tornasse oggi, verrebbe descritto come “un influencer dallo stile iconico, noto per i suoi sandali senza tempo e un feed spirituale fortemente engagement-driven”.

In questo contesto, tutto è iconico, quindi niente lo è; l’aggettivo ha perso il suo significato, come una banconota stampata troppe volte: continua a circolare, ma non vale più nulla.

Insomma, oggi il linguaggio è una scatola di cioccolatini: tutti ripieni di aria.

Parole gonfiate, confezionate bene, pronte per essere esibite più che capite: l’importante è sembrare buoni, impegnati, civili.
Dire “resiliente” invece di “al limite”, “concertativo” invece di “già deciso”, “iconico” invece di “vagamente memorabile” è prassi consolidata, e se qualcuno si azzarda a chiedere contenuti veri, cambiamenti reali, scelte scomode… beh, che persona divisiva! Sicuramente non abbastanza iconica per far parte della conversazione.

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