Il Baltico è ormai un “Mare Natum”
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di Umberto Baldo
Ieri abbiamo visto come il Grande Nord, inteso come Mare Glaciale Artico, grazie ai cambiamenti climatici, con tutto ciò che ne consegue in termini di accessibilità alle risorse e a nuove rotte commerciali (e militari), sta diventando, mi si passi il gioco di parole, un “mare geo-politicamente caldo”.
Ma forti tensioni stanno affiorando anche in un’altra area marittima del Nord Europa: il mar Baltico, un mare interno dell’Oceano Atlantico situato nell’Europa nord-orientale, delimitato dalla Penisola scandinava, dalle Isole danesi e dall’Europa continentale, che comprende la Germania, la Polonia, le Repubbliche baltiche e la Russia.
Data la sua posizione, il Mar Baltico è stato storicamente un’area di competizione fra grandi potenze, come la Svezia, l’Impero Russo, la Germania e la Polonia.
Questi conflitti hanno lasciato un’eredità di diffidenza reciproca.
La Guerra Fredda ha a suo tempo ulteriormente polarizzato la regione, con Paesi come la Lettonia, l’Estonia, la Lituania e la Polonia sotto il controllo sovietico, e gli stati scandinavi in una posizione di neutralità, anche se vicini all’Occidente.
Ma è negli ultimi decenni, e di recente dopo l’adesione alla Nato di Svezia e Finlandia, che si è registrato un pressoché totale ribaltamento della situazione rispetto al secolo scorso.
Infatti fino al crollo dell’Urss, le coste di Danimarca e Germania offrivano all’Alleanza Atlantica un limitato e remoto accesso a questo mare, mentre adesso la quasi totalità della linea costiera baltica appartiene a paesi-membri della Nato.
Così mentre nell’Artico il confronto con la Russia è concreto e quasi alla pari data la lunghezza delle sue coste, il bacino del Mar Baltico è diventato oramai assimilabile ad un vero e proprio “lago Nato”.
Come al solito vi invito a guardare la cartina geografica.
Norvegia, Svezia, Finlandia sul lato nord, Estonia, Lettonia Lituania dal lato est, Polonia, Germania, Danimarca sul lato sud.
A rompere questo monopolio Nato ci sono solo due limitate porzioni di territorio russo: la fascia di terra che si estende intorno alla città di San Pietroburgo, e l’exclave di Kaliningrad (224 Kmq incuneati fra Polonia e Lituania, con circa mezzo milione di abitanti).
Può essere che il nome Kaliningrad non vi dica nulla, ma vi assicuro che è uno dei punti di massima tensione al mondo.
Per spiegarmi meglio, Kaliningrad (storicamente l’ex città prussiana di Konigsberg, in cui nacque Immanuel Kant) alla fine della seconda guerra mondiale, in base agli accordi di Potsdamdel 1945, divenne a tutti gli effetti territorio russo.
La popolazione di lingua tedesca venne espulsa, e rimpiazzata con cittadini russi.
Anche dopo il dissolvimento dell’Unione Sovietica Kaliningrad è rimasta, e rimane tuttora a tutti gli effetti, territorio russo.
Dal 1952 è sede della flotta russa del Baltico.
Capite che questa exclave incuneata fra due Stati aderenti all’Unione Europea ed alla Nato, Polonia e Lituania, costituisce per la Russia un’irrinunciabile postazione strategica, perché rappresenta una piattaforma missilistica naturale per colpire l’Europa con testate convenzionali o nucleari, ed inoltre perché consentirebbe al Cremlino di rallentare una eventuale reazione della Nato nel caso decidesse un attacco ai territori della Finlandia e della Svezia.
Ma capite altrettanto bene che Kaliningrad rappresenta molto più che una spina nel fianco sia per la Nato, sia per la Polonia e la Lituania con cui questo minuscolo pezzo di Russia confina.
Sappiamo bene che Vladimir Putin, ma prima di lui Leonid Breznev, e prima ancora Josip Stalin, e ancora prima gli Zar, soffre la sindrome dell’accerchiamento strategico della Russia.
E’ proprio in nome di questo “spazio vitale” (di cui per la verità hanno sofferto nel corso della storia tutte le grandi potenze, vedi Dottrina Monroe propugnata dagli Usa) che la Russia ha lanciato l’aggressione all’Ucraina.
Diventa quindi comprensibile che l’allargamento della NATO verso est, con l’adesione dei Paesi Baltici e di altri Stati dell’ex blocco sovietico, sia visto dalla Russia come una minaccia diretta alla propria sicurezza.
Tutto ciò genera tensioni crescenti, e non è certo un caso se negli ultimi tempi abbiamo assistito ad attentati a gasdotti ed ai cavi di telecomunicazione che corrono lungo il fondale relativamente basso del Baltico.
La Nato sta ovviamente intensificando i pattugliamenti in queste acque, in cui transita il 15% del traffico marittimo mondiale, nonché investendo in tecnologie innovative, che possono aiutare a proteggere meglio queste risorse, ma la relativa facilità con cui l’ancora di una nave può tranciare un cavo, unita alle condizioni del mare spesso insidiose, rende quasi impossibile la prevenzione di questi attacchi.
E a conferma di ciò abbiamo visto che, a fronte dei sabotaggi, sono state fermate ed ispezionate varie navi, legate in qualche modo alla Russia, ma senza mai entrare in possesso di prove concrete.
Se uno dei recenti incidenti si rivelasse un sabotaggio da parte di un altro Paese, segnerebbe il ritorno di un tipo di guerra che non si vedeva da decenni.
Bisognerebbe infatti tornare indietro alla Prima Guerra Mondiale, o alla guerra americano-spagnola, per trovare un sabotaggio di un cavo sottomarino supportato da uno Stato.
Ma per capire meglio la tensione attuale vanno considerati anche altri fattori più specifici.
A partire dall’isola svedese di Gotland, che si estende per 3.000 km2 al centro del bacino, ed il cui controllo militare garantisce la possibilità di muoversi su tutto il Baltico.
Il “fattore Gotland” era già considerato prioritario dalla Russia anche quando la Svezia era neutrale; immaginate adesso che Stoccolma ha deciso di unirsi alla Nato.
C’è poi la Finlandia, che contrariamente a quello che si può pensare, dispone di uno dei più ampi arsenali d’artiglieria del continente europeo, superiore a quello di paesi come Germania, Francia e Regno Unito; ed entro l’anno prossimo dovrebbe chiudere l’ordinativo per 64 F-35 di produzione statunitense.
Tutti elementi che contribuiscono a rendere nervosi i russi, per cui non è difficile ipotizzare che la regione del Baltico rimarrà una delle zone più calde d’Europa, con un equilibrio precario facilmente influenzabile da qualsiasi sviluppo internazionale.
Domani chiuderemo questa “saga del Nord del mondo” con un approfondimento sulla Groenlandia.