Il calcio è bello perché a volte vincono anche gli outsider. La favola del Bayer Leverkusen
Umberto Baldo
Chi mi legge da tempo, sa che si possono contare sulla punta delle dita i pezzi che ho dedicato al calcio.
Non è che non lo segua, anzi, ma guardo a questo sport, compresi i campionati europei, con gli occhi dello sportivo curioso, non con quelli del tifoso.
E capite bene che, con questo approccio psicologico ed emotivo, quello che più mi attrae sono le “favole”, come io le definisco, ovvero i casi in cui a vincere i campionati non sono le squadre blasonate, bensì gli outsider.
Cosa c’è infatti di avvincente nel seguire la consueta lotta per la vittoria nella Liga spagnola fra Real Madrid e Barcellona, o i successi del Paris Santi Germain nella Ligue francese, o le sportellate del Manchester City nella Premier inglese, o le serie infinite del Bayern Monaco nella Bundesliga?
Quando a vincere sono quelli che io chiamo i “predestinati” sarà una soddisfazione per curve e tifosi, non lo nego.
Ma volete mettere quando ad arrivare prime sono invece formazioni senza grandi palmares, quelle che non ti aspetti?
Quando a vincere sono i Davide contro i Golia?
Non succede spesso è vero, ma tutti ricorderemo a lungo la quasi assurda favola del Leicester, soprattutto perché dietro c’era un volto italiano, quello di Claudio Ranieri; così come lo scudetto del Napoli nel 2022-2023, con gli azzurri che hanno ritrovato il titolo dopo i due titoli di fine anni ’80; o andando più indietro l’impresa del Montpellier, campione transalpino nel 2012, proprio quando gli sceicchi del Qatar, neo proprietari del Paris Saint-Germain, nell’estate del 2011 avevano sbancato il mercato a suon di milioni.
Credo abbiate capito che a me del calcio piacciono le “favole”, i “miracoli”, come quello che si è materializzato domenica scorsa alla BayArena di Leverkusen dove, dopo un’attesa di 120 anni, il Bayer Leverkusen ha vinto il primo campionato della sua storia, con cinque giornate di anticipo, e senza subire una sola sconfitta in tutta la stagione.
Così, la squadra fondata nel 1904 da alcuni dipendenti dell’azienda farmaceutica Bayer (che ha sede proprio a Leverkusen, presta il nome allo stadio e compare come sponsor sulla maglia del club, i cui calciatori sono soprannominati Aspirine) ha rotto domenica il monopolio del Bayern Monaco, che ha vinto gli ultimi undici campionati di fila (dal 2012 al 2023).
Oltre tutto eguagliando il record della Juventus di Conte, che nel 2011/12 giocò quarantatré partite consecutive senza essere sconfitta; cosicché se il Bayer Leverkusen non dovesse perdere giovedì 18 aprile col West Ham, diventerebbe la squadra dall’imbattibilità più lunga dei dieci campionati migliori d’Europa, dal Duemila, e scriverebbe una ulteriore pagina di storia incredibile.
Non aspettatevi qui una cronaca del campionato tedesco, con dati, numeri e classifiche.
Quella la trovate nei siti specializzati, che sono molto più competenti ed attrezzati di me.
Quello che mi interessa è, come dire, l’aspetto “umano” dell’impresa di una squadra che nasce in una cittadina non molto grande, sita a metà strada tra Colonia e Düsseldorf, nata solo nel 1930 dall’unione di vari paesini dei sobborghi di Colonia per fare un solo centro abitato. Lì Carl Leverkus aveva scelto nel 1860 di fondare la sua fabbrica di coloranti e farne, quindi, la capitale dell’industria chimica tedesca. Nel 1891 Friedrich Bayer decide di spostare lì la sua fabbrica di coloranti. La città di Leverkusen esiste nella mente degli appassionati di calcio a partire da quella decisione.
Non bisogna però lasciarsi ingannare dal legame tra la fabbrica (il colosso Bayer) e la squadra. Non stiamo parlando di una squadra “aziendale”, ma di una squadra “di lavoratori”, nata dall’idea degli operai della fabbrica, anche se oggi ovviamente non rispetta certamente la regola del 50%+1.
Una squadra che per queste sue origini viene ancora definita Werkself, “squadra della fabbrica”; e che proprio per questo è sempre stata guardata dall’alto in basso dai tifosi dei club storici.
Il Leverkusen è sempre stato visto come una squadra innocua, anche fuori dalla Germania: tanti anni di presenza ad alto livello, la sicurezza economica di un colosso farmaceutico alle spalle, un club che ha portato tantissimi giocatori di culto, ma che aveva anche il soprannome di Bayer Neverkusen o Vizekusen in tedesco.
La squadra cioè che “ci arriva vicina ma non vince mai”; che dal 1997 al 2002 è arrivata 4 volte seconda in classifica.
Per arrivare all’apoteosi della “sfiga”, nella celebre primavera del 2002, quando il Bayer Leverkusen riuscì a perdere ben tre finali. In Bundesliga, dove a tre gare dal termine aveva cinque punti di vantaggio, ma fu superato dal Borussia Dortmund, che vinse il campionato con un solo punto in più. In Champions League dove perse a Glasgow col Real Madrid di Del Bosque, Raúl e Zinédine Zidane; quattro giorni prima aveva perso anche la finale di Coppa di Germania, con lo Schalke 04.
Dopo queste disfatte, non stupisce se per anni i tifosi avversari tedeschi hanno riservato un coro a quelli del Bayer: «Ihr werdet nie deutscher Meister!», vale a dire “Non sarete mai campioni di Germania”.
E invece domenica scorsa la maledizione è finita! La favola si è avverata!
Non si pensi che avere la Bayer alle spalle abbia voluto dire per la squadra poter spendere e spandere.
Certo negli anni di giocatori ne sono arrivati, ma spesso si trattava dei soliti giocatori promettenti o da rilanciare, che in Germania si possono permettere le squadre che vivono all’ombra del Bayern Monaco, che tutto mangia nel mercato tedesco.
La verità è che quello del Bayer di questo campionato non è stato un miracolo, ma il logico risultato di una squadra gestita bene ed allenata meglio.
E la differenza dal punto di vista tecnico ha un nome ben preciso, quello di Xabi Alonso, uno che da giocatore ha vinto da protagonista tutto quello che si poteva vincere; ha giocato per alcune delle più grandi squadre, allenate da alcuni tra i più grandi tecnici della storia moderna del calcio: Rafa Benítez nel Liverpool, Del Bosque nella Nazionale spagnola, Mourinho e Ancelotti nel Real Madrid, Guardiola nel Bayern.
Evidentemente queste esperienze sono servite, ma alla fine quello che ha fatto la differenza è stata la sua capacità di trasformare ogni giocatore irrealizzato o fumoso in un campione da scudetto.
Logico che un Mister così sia corteggiato da molte grandi squadre, e fino a qualche settimana fa il suo destino sembrava lontano da Leverkusen; tanto più che in un momento del genere poteva permettersi il lusso di scegliere tra alcune delle più ambite panchine al mondo, Liverpool in testa.
Sorprendendo tutti, Xabi ha annunciato che rimarrà anche il prossimo anno. L’annuncio forse ha stupito qualcuno: ma pensandoci bene perché avrebbe dovuto andar via? Non ha ancora perso una singola partita in stagione.
In fondo la storia si può scrivere anche seduto sulla panchina del Leverkusen; lo ha dimostrato e potrà dimostrarlo ancora.
Io credo che, al di là, ripeto, della “favola”, la vittoria del Bayer abbia un grande significato simbolico.
La Germania si era forse anestetizzata all’idea di un Bayern intoccabile, troppo più ricco e potente delle altre squadre; non rendendosi conto che questa disuguaglianza abissale aveva il difetto di rendere il campionato tedesco meno competitivo, anche in rapporto alle sfide europee.
Umberto Baldo