8 Novembre 2024 - 10.09

Il futuro dell’Europa passa anche per la Moldova

Umberto Baldo

Ieri una cara amica, cittadina italiana ma in possesso anche di passaporto della Moldova (è nata lì e ci ha vissuto prima di espatriare) mi ha inviato una foto che la ritrae davanti ad un seggio assieme alle due figlie, con una bandiera moldava alle spalle, in cui mi diceva “Anche noi moldavi abbiamo votato”.

Poche parole che mi hanno colpito, perché racchiudono sia l’orgoglio di aver esercitato il diritto di voto, sia le preoccupazioni che si celano dietro quel voto e quelle elezioni.

Già, quelle elezioni, e quel referendum, di cui di fatto non si è quasi parlato sui nostri media, mi sono tornati alla mente anche alla luce della rielezione di Donald Trump.

Infatti non è ben chiaro cosa comporti la “nuova età dell’oro” promessa dal Tycoon per gli Stati che bene o male sono nel mirino di Mosca.

E’ evidente che è troppo presto per parlarne, e le possibili mosse del neo Presidente in politica estera, a partire dalle due guerre in corso in Ucraina e in Medio Oriente, per il momento restano a livello di   ipotesi e supposizioni.

Il problema ormai lo conosciamo bene.  Vladimir Putin, mira a ripristinare i fasti dell’imperialismo russo, e così non vuole che la Ue e la Nato si avvicinino troppo ai confini di “Santa Madre Russia”.

Una volta lo si chiamava “spazio vitale”; oggi di fatto  si manifesta con la volontà di contrastare l’adesione all’Unione Europea e alla Nato di Nazioni che sono sempre state nella sfera d’influenza russa, com’è appunto il caso della Moldavia (in lingua romena Moldova). 

Per chi non se lo ricordasse, la Moldova è un’area geografica dell’Europa orientale, che per secoli ha fatto parte integrante dell’Impero ottomano, e successivamente fu spartita fra Turchi, Russi (la Bessarabia) e Austriaci (la Bucovina).

La parte orientale, che corrisponde all’attuale Stato indipendente, venne occupata dall’Unione Sovietica nel 1940, nell’ambito del Patto Molotov-Ribbentrop, ma fu successivamente occupata dalle truppe dell’Asse nel 1941, durante la seconda guerra mondiale.

E’ attualmente lo Stato più povero d’Europa, con un territorio grande quanto la Lombardia più mezzo Veneto, con capitale Chisinau, ed è fra i Paesi che aspirano ad entrare nell’Unione Europea.

Mi fermo qui, e se avete voglia di saperne di più sulla Repubblica di Moldavia, i cui confini ricalcano di fatto quelli di quando era una Repubblica Socialista Sovietica, basta che accediate alla Rete, e troverete tutti gli approfondimenti che desiderate.

Se non che, come spesso succede nella storia degli Stati, il Diavolo fa le pentole e non i coperchi, e la parte della Moldova situata ad est del fiume Dniester, denominata Transnistria, il 16 agosto 1990 proclamò l’istituzione della Repubblica socialista sovietica moldava Pridnestrova indipendente, con capitale Tiraspol.

Le motivazioni di questa separazione, al di là di tante belle parole, stanno nel fatto che la popolazione della Transnistria  comprende un’ampia percentuale di slavi orientali prevalentemente russofonidi origine ucraina (28%) e russa (26%) (complessivamente il 54% nel 1989).

La Transnistria è quindi solo una lingua di terra che scorre lungo il confine moldavo-ucraino; è sotto controllo militare russo, ed è la sede del deposito d’armi più grande del Continente, quello di Cobasna.  La sua popolazione, come accennato, per la più parte parla russo, ha passaporto russo, e vorrebbe ritornare fra le braccia di Santa Madre Russia.

Vi sarete già resi conto che, pur trattandosi di uno Stato relativamente poco esteso, la Moldova è un crocevia di etnie e di tensioni che affondano in una storia millenaria.

E se Putin pensa e sostiene che l’Ucraina “è di fatto Russia” (e sta facendo la guerra a Kiev per questo), immaginate che possa avere un’idea diversa rispetto alla Moldova?

Data questa situazione, capite bene perché diventa interessante, e per i moldavi essenziale, sapere quale sarà l’atteggiamento degli Usa sulla questione.

Già perché la Repubblica di Moldova ha presentato la domanda di adesione all’Ue il 3 marzo 2022, pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione russa su larga scala dell’Ucraina, e ha ottenuto lo status di  candidato il 23 giugno dello stesso anno. Successivamente, il 14 dicembre 2023, il Consiglio europeo ha approvato l’apertura dei negoziati di adesione, iniziati ufficialmente il 25 giugno 2024 (a Chișinău si spera che l’adesione possa avvenire entro il 2030).

Ma è inutile nasconderlo, proprio sull’eccessiva vicinanza a Mosca rischia di infrangersi il sogno di una  prospettiva europea della Moldova. 

E qui torna il tema delle elezioni cui accennavo all’inizio. 

Lo scorso 20 ottobre i cittadini moldavi hanno votato, oltre che per il primo turno delle presidenziali, anche un Referendum che, per un soffio, ha sancito l’introduzione in Costituzione dell’obiettivo dell’adesione all’Ue.

Le interferenze russe sono state pesanti e ampiamente denunciate, ancora prima dell’appuntamento elettorale, dalle autorità moldave, che hanno scoperto fra l’altro un ampio schema di frode elettorale che avrebbe coinvolto circa centotrentamila elettori, pagati con quasi trentasei milioni di euro per votare «no». 

Ma alla fine ha vinto il «sì» con il margine decisamente esiguo dello 0,7 per cento, grazie soprattutto al voto della diaspora (sì dei cittadini moldavi che vivono e lavorano fuori dai confini).

E nel secondo turno delle presidenziali tenutosi domenica 3 novembre, la Presidente della Repubblica Maia Sandu, un’indipendente ex economista della Banca Mondiale, ha sconfitto per 55,41 a 44,59 per cento lo sfidante filo-russo Alexandr Stoianoglo, conquistando così un secondo mandato, con il quale intende avviare irreversibilmente la Moldova sul cammino per l’ingresso nell’Unione Europea.

Una vittoria fondamentale per portare avanti l’integrazione europea, ma che non scaccia i fantasmi sorti all’indomani del referendum; perché senza considerare il voto della diaspora, più della metà degli elettori (51,3%) ha sostenuto il candidato dell’opposizione Alexandr Stoianoglo, di aperte posizioni euroscettiche e filorusse.

In poche parole a mantenere caparbiamente in vita la prospettiva di un’adesione all’Unione Europea sono stati i moldavi che, come la mia amica e le sue ragazze, vivono sparsi per il mondo. 

Nel piccolo Stato balcanico, incastonato tra l’Ucraina e la Romania, le massime cariche politiche sono in questa fase filo-occidentali.

Ma è facile ipotizzare che il  redde rationem arriverà eventualmente nella prima metà del 2025, quando i moldavi saranno chiamati nuovamente alle urne per rinnovare il Parlamento e dunque il Governo.

Piaccia o non piaccia anche la Moldova potrà essere la cartina di tornasole per capire il livello di interesse di Donald Trump e degli Usa per la vecchia Europa, ed io spero che alla fine, nel grande gioco degli equilibri geopolitici, non si consenta allo  Zar Putin  di condizionare pesantemente, o Dio non voglia addirittura annettersi,  la piccola Moldova per giustificare  una “difesa dei connazionali russi”, come già fatto in Crimea e Donbas.

Questo il motivo per cui insisto da anni nella ineludibile necessità che l’Europa prenda in mano il proprio destino, senza rinnegare gli storici rapporti con gli Usa, ma attrezzandosi per essere in grado di difendersi da sola.

Diversamente, se a prevalere saranno i nazionalismi o i neutralismi a buon mercato, consentiremo a Putin, o al tiranno di turno, di “sfogliare la margherita”, vale a dire un “petalo” di Europa alla volta, magari cominciando proprio dalla Moldova.

Umberto Baldo

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