23 Giugno 2023 - 8.41

Il “golden power” de noantri! Ovvero come far ridere il mondo

Vi sono momenti in cui “sui colli fatali di Roma” furoreggiano termini il cui significato probabilmente sfugge a molti cittadini. 

In questa fase “meloniana”, uno di questi è sicuramente golden power (letteralmente potere d’oro), che dal 2012 ha sostituito il precedente istituto della golden share (in italiano quota d’oro).

Credo sia opportuno almeno richiamare a grandi linee cosa significhino queste due espressioni.

La Golden share (ora superata) di norma è una quota di capitale della società ceduta che lo Stato conserva, e che gli attribuisce speciali poteri di intervento o di veto in materie di interesse collettivo o in operazioni di carattere strategico. Detta partecipazione può essere costituita anche da una sola azione della società.

Il Golden power è invece un potere speciale dello Stato, indipendente da qualsiasi partecipazione azionaria, che può essere esercitato per bloccare o sottoporre a vincoli operazioni riguardanti asset di società (anche private) che svolgono attività di rilevanza strategica. 

Per capirci meglio, parliamo (o dovremmo parlare) normalmente di cessioni, trasferimenti ecc. di aziende italiane nelle quali si possano intravvedere minacce di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa o della sicurezza nazionale.

Non  a caso il decreto legge n. 21 del 15.3.2012, che introdusse il Golden power, era titolato «Disciplina dei poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, e sulle attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni”.

Quindi non si tratta di poteri illimitati, ma vedremo che sotto l’italico cielo i politici sono in grado di interpretare e di asservire ai propri interessi qualsiasi norma. 

Credo sia anche giusto ricordare che, per quanto il Golden power sia stato introdotto (è c’è in molti altri Paesi) per tutelare gli interessi pubblici, si tratta in ogni caso di una intromissione nelle dinamiche del libero mercato, che va in qualche modo a “forzare” la  gestione ed i piani futuri di una o più aziende.

Di recente il Golder power è stato esercitato due volte: la prima nei confronti della Pirelli, sulla base della decisione del Governo che i sensori dei pneumatici sono questione di segreto industriale e finanche di sicurezza nazionale, così regalando alla Camfin di Marco Tronchetti Provera il controllo pressoché incondizionato con il 14% delle azioni, contro il 37% detenuto nel patto di sindacato dal socio cinese.

La seconda, solo ventilata, relativa alle voci che circolavano circa un’ipotetica intenzione degli svedesi di Electorux di cedere gli stabilimenti italiani (Susegana, Porcia, Solaro, Forlì e Cerreto d’Asti) ai cinesi di Midea; ma sembrava che un qualche interesse ci potesse essere anche da parte dei sudcoreani della Samsung.

Il problema è annoso, e noto a tutti, e sta nella flessione delle vendite a livello europeo che interessa tutto il settore dei cosiddetti “elettrodomestici bianchi”.

Si tratta di un settore in crisi un po’ in tutto il mondo, nel quale diventa sempre più rilevante la dinamica salariare, nel senso che la produzione tende a spostarsi nei Paesi a più basso costo del lavoro. 

Da tempo si va avanti fra il Gruppo svedese che denuncia fino a 4000 esuberi a livello globale, con conseguente cassa integrazione a go go, e livelli di produzione al limite della linea di  sopravvivenza. 

Il rischio è quindi che prima o poi l’azienda cali la scure del ridimensionamento sui siti produttivi italiani, con il corollario delle chiusure e dei licenziamenti collettivi. 

Quindi, per evitare questa ipotetica macelleria sociale, al Governo non viene in  mente altra soluzione che trarre dal cilindro la soluzione miracolistica, perfettamente in linea  con il sovranismo imperante, del Golden power. 

Comprensibile?  O no?

Il problema, anche alla luce di quello che ho scritto sopra, è che il Governo pare  abbia scoperto questo nuovo filone a tutela degli interessi della “Nazione”, senza tenere conto però delle contro indicazioni, che ci sono, eccome se ci sono.

In primis pensare di spacciare gli elettrodomestici bianchi per un settore ad alta tecnologia, assomiglia molto ad un gioco di prestigio, ad illusionismo allo stato puro. 

Perché lo sa anche uno studente del primo anno di economia che certe produzioni a valore aggiunto comunque basso  sono fatalmente destinate a migrare verso altri lidi, che tradotto vuol dire verso Paesi, come accennato, con il  costo del lavoro molto più basso di quello italiano.

E ce la possono raccontare come vogliono a Roma, ma la vedo veramente dura spacciare l’assemblaggio di frigoriferi come un’attività di rilevanza strategica nazionale.  

E la vedo altrettanto dura il solo pensare che gli stabilimenti che producono elettrodomestici bianchi siano equiparabili a Difesa, sicurezza nazionale, tecnologia con particolare ma non esclusivo riguardo al 5G, reti di energia, trasporti, comunicazioni e altri settori rilevanti.

Senza togliere nulla a nessuno, stiamo parlando dell’Electrolux, non di Leonardo, Fincantieri o Telespazio, solo per fare qualche esempio!

E sì che i nostri Demostene di precedenti interventi pubblici finiti male, o da anni relegati in un  limbo di inconcludenza e immobilità, ne hanno già visti e gestiti molti, e basti citare i dieci anni di mancata reindustrializzazione di Termini Imerese, l’Embraco con il fallimento del progetto dei compressori di Stato, l’Alitalia, e non ultima l’Ilva, dove si è raggiunto veramente l’apice, partendo dai livelli occupazionali desiderati, e da questi definendo a cascata i livelli produttivi.

Penso sia chiaro dove voglio arrivare; al fatto che minacciare di attivare il Golden power al di là delle condivisibili motivazioni per le quali questo istituto è stato pensato, riducendolo ad una mera difesa di posti di lavoro, rischia di diventare da un lato una sorta di “al lupo al lupo”, e dall’altro espone il Governo alle critiche di velleitarismo, ispirato dalla solo volontà di imbalsamare l’esistente.

Purtroppo da decenni, complici sia la sinistra che la cosiddetta destra sociale, è penetrato negli italiani l’idea che lo Stato debba farsi carico di qualsiasi problema.

Oltre a tutto escluderei che, nell’anno di grazia 2023, si potesse e si volesse arrivare agli “elettrodomestici bianchi di Stato”; non solo perché l’intero mondo ad economia avanzata  riderebbe della nostra difesa ad oltranza di un settore a basso valore aggiunto in cui ci metteremmo in concorrenza con i Paesi in via di sviluppo, ma anche perché sarebbe la certificazione incontrovertibile che per un investitore estero, una volta entrato in Italia, sarebbe impossibile anche solo pensare di uscirne (un declinazione in salsa industriale del verso di Dante “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate”). 

Credo che qualche lezione di sano liberalismo farebbe bene ai nostri Demostene; un corso intensivo in cui qualcuno spiegasse bene che mummificare settori declinanti in modo irreversibile, per non spiegare ai cittadini la realtà delle cose, e per evitare di passare finalmente dalla difesa del “posto di lavoro” a quella del “lavoratore”, alla fine si traduce sempre in un danno per noi contribuenti. 

I casi sopra citati (Ilva, Alitalia, Termini Imerese, Embraco e non solo) ne sono la prova provata. 

Spiace vedere che, nel mentre noi minacciamo il Golden power per i frigoriferi, Intel ha deciso di investire 58 miliardi per produrre in Europa i microprocessori che servono per il nostro futuro industriale, non in Italia, bensì in Germania ed in Polonia.

Evidentemente la leggenda che tentano di rifilarci, secondo cui il nostro Paese sarebbe una sorta di calamita per gli investimenti esteri, è appunto solo una leggenda, che vaga nel cielo sopra i colli fatali di Roma.

Umberto Baldo

PS: ieri Bloomberg ha reso noto che i cinesi di Midea avrebbero rinunciato all’acquisizione di Electrolux.  Ne prendo atto, ma ciò non cambia il mio pensiero sulle ventilate misure protezionistiche sui frigoriferi, e quindi sull’uso anomalo ed inappropriato del Golden power in salsa italica.      

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