14 Marzo 2025 - 17.07

IL GRAFFIO – Nicolai Lilin e l’apologia della violenza: perché difendiamo Luca e Paolo (e Mattarella)

di Luca Faietti

Nel panorama culturale italiano, da sempre segnato da una tradizione di confronto acceso ma fondato su principi democratici e di tolleranza, l’intervento dello scrittore Nicolai Lilin sul caso di Luca e Paolo ha rappresentato un’inquietante deviazione dal normale dibattito pubblico. L’autore russo, noto per la sua vicinanza alle posizioni del Cremlino, si è reso protagonista di dichiarazioni che evocano scenari di violenza e repressione, concetti che mal si sposano con la nostra cultura mediterranea, improntata all’ironia e al dissenso civile.

Lilin, intervenendo sulle parole dei due attori liguri che avevano difeso il Presidente Mattarella, e preso in giro chi raccoglieva firme contro di lui, ha fatto riferimento a una punizione fisica, evocando l’idea di “sfondare crani” a chi non la pensa come lui. Un’espressione che, se fosse stata pronunciata in un contesto russo contro il potere, avrebbe probabilmente comportato conseguenze ben più gravi per chi l’ha pronunciata. Ma qui, in Italia, Lilin può permettersi certe uscite senza timore di repressioni, sfruttando proprio quella libertà di espressione che in Russia è sempre più negata.

Le affermazioni di Lilin non sono un caso isolato. Da tempo, personaggi filo-russi tentano di legittimare una visione del mondo fondata sulla forza e sulla negazione del dissenso. Questo tipo di narrazione, che spesso fa leva su un certo fascino per la brutalità e il militarismo, non ha nulla a che vedere con i principi di una società democratica, dove il confronto tra idee deve restare civile e non scivolare nella minaccia o nell’intimidazione.

Se Lilin difende a spada tratta il regime putiniano, dovrebbe avere il coraggio di applicare gli stessi principi a se stesso: nella Russia che tanto ammira, una critica aperta al potere con toni così accesi non verrebbe tollerata. Paradossalmente, egli approfitta della libertà occidentale per diffondere una visione che, se attuata, limiterebbe proprio quella libertà di cui gode.

La cultura italiana è un’altra cosa.
La nostra tradizione politica e culturale è basata su un concetto di confronto spesso aspro, ma che raramente sfocia nella violenza. L’ironia, il sarcasmo e la satira hanno da sempre rappresentato strumenti di critica efficaci e profondamente radicati nella nostra società. È proprio questa capacità di dissacrare il potere senza ricorrere alla violenza che distingue l’Italia da quei regimi autoritari che, come quello russo, Lilin sembra voler difendere.

L’Italia non può accettare che il linguaggio della violenza diventi un elemento legittimo del dibattito pubblico. Le parole hanno un peso, e normalizzare concetti come la punizione fisica per chi dissente è un passo pericoloso verso la perdita di quei valori democratici che ci contraddistinguono. Se Lilin vuole davvero difendere un modello autoritario e repressivo, ha già una patria che lo rappresenta: la Russia di Putin. Ma qui, in Italia, abbiamo scelto un’altra strada, fatta di libertà di pensiero, confronto e, sì, anche di quell’ironia che certi autocrati non riusciranno mai a comprendere.

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