23 Maggio 2022 - 12.01

IL GRAFFIO – Quando la DC fa rima con Cegalin (e non solo): il passato che ritorna

di Luca Faietti

C’è una particolare forma di nostalgia che ciclicamente riaffiora in certi ambienti politici, una sorta di “saudade” per un mondo che fu, e che si pensa di poter fare rinascere dalle proprie ceneri come la mitica araba fenice.
Parlo della Democrazia Cristiana, il cui ricordo spinge ad organizzare incontri come quello che si è svolto nella nuova sede di via Massignan per l’elezione dei segretari locali, in cui a fare da padrone di casa è stato Luigi D’Agrò, che è stato Consigliere Regionale nei primi anni novanta ed ex parlamentare.
Non è mia intenzione minimizzare l’iniziativa, che ha comunque visto la presenza anche di esponenti di spicco quali il Pd Giacomo Possamai, il commissario provinciale di Forza Italia Matteo Tosetto, e di altri volti noti della politica vicentina.
Come pure credo vada rispettata questa nobile iniziativa di D’Agrò.
Il problema è diverso, e sta nel fatto che far rivivere la Democrazia Cristiana vorrebbe dire fare ritornare indietro l’orologio della storia ai tempi della Prima Repubblica.
Un’operazione francamente impossibile, soprattutto perchè non c’è più il materiale umano adatto.
In altre parole la Dc non potrà essere rifondata perché non c’è più un De Gasperi capace di farlo, e perchè è cambiato il modo di fare politica.
La Democrazia Cristiana era soprattutto un metodo di governo, che però rispondeva anche ad una precisa e definita cultura politica.
Che era cultura della mediazione, alto senso dello Stato e delle rispettive Istituzioni democratiche, disponibilità permanente al dialogo e al confronto, rifiuto di ogni radicalizzazione dello scontro politico
Cosa c’entra la storia della Dc con quella dei partiti attuali?
In particolare cosa c’entra con il Movimento 5 Stelle, con la Lega di Salvini, con Fratelli d’Italia della Meloni, ma anche con una parte del Partito democratico, solo per citare i più votati?
La Democrazia Cristiana è stata un “fatto storico”, e come tale è pertanto irripetibile fuori da quel contesto, e quindi ritengo sia del tutto arbitrario continuare a balbettare parallelismi e similitudini con ciò che accade oggi nella cittadella politica italiana.
E ciò vale sia per coloro che hanno militato in quel partito ,e che ne subiscono giustamente la nostalgia, ma a maggior ragione, per chi la Dc ha contribuito negli anni a demolirlo politicamente, culturalmente e storiograficamente.
Anche se oggi cresce una strana e singolare nostalgia di quella esperienza politica, e soprattutto della valenza e della qualità di quella specifica e particolare classe dirigente.
Ci siamo forse dimenticati dello slogan “Non moriremo democristiani”?
Ecco perchè, ripeto, pur rispettando il tentativo di D’Agrò, penso che ogni confronto sia del tutto fuori luogo, e fuori tempo.
Non c’è nulla oggi che possa essere paragonato alla DC; non una cultura politica comune; non una cultura di governo comune; non una prospettiva politica comune e, in ultimo luogo, ma non meno importante, neanche uno stile comune.
In conclusione non mi sembra né utile né producente ricercare misteriose affinità fra quello che offre oggi il panorama politico, e quella che fu la grande esperienza della Democrazia Cristiana. Se poi la chiosa dell’happening viene lasciata a Claudio Cegalin, attuale sindaco di Monteviale, che parla di coralità, proprio lui che ha avuto una squadra, nella campagna elettorale del suo paese, che ha dimostrato tutt’altro in tema di condivisione e tolleranza, ma si permette di criticare Vicenza e la sua amministrazione, allora, siamo, sono, proprio alla frutta della storia politica.

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