5 Dicembre 2024 - 9.13

Il miliardario cinese e la banana da 6 milioni di dollari

Come si calcola il valore di un’opera d’arte?

Se lo chiedete alla Rete otterrete questa formula matematica che viene applicata per lo più per dipinti e sculture: somma della base e dell’altezza dell’opera per il coefficiente attribuito all’artista, il tutto moltiplicato per 10, ma con alcune variazioni in base al medium.  (base + altezza) * coefficiente ) * 10).

Confesso che non ho capito molto; anche perché mi sono chiesto come andrebbe applicata ai quadri di Tiziano, di Tintoretto, di Raffaello, di Leonardo, solo per citare i primi che mi sono venuti in mente.

La domanda sorge spontanea da un fatto che oserei definire di cronaca: la vendita di Comedian, la famosa banana di Cattelan.

Prima di esprimere qualsiasi giudizio credo sia utile cercare di ripercorrere una storia che si avvicina ad un paradosso dell’arte contemporanea,  una provocazione, o meglio l’interpretazione di un mercato che cerca di sorprendere attraverso eventi che potrebbero assomigliare ad una vera e propria comica;  di come cioè si possa pagare oltre sei milioni di dollari per una banana acquistata per  trentacinque centesimi il giorno prima in un banco di frutta nell’Upper East Side (per quanto Il Novecento ci ha insegnato che si fa arte con tutto, non importa quanto sia povero il materiale).

Siete sconcertati, o la vicenda vi è addirittura ignota?

Allora partiamo dall’inizio.

Maurizio Cattelan, artista italiano considerato uno dei più importanti e controversi della sua generazione, nel 2019 realizza “Comedian”, che altro non è, almeno agli occhi di un profano quale sono io, una semplice banana attaccata con del nastro adesivo su un muro.

Dati gli sviluppi, qualcuno è andato a leggere il passato, e ha scoperto che  la banana di Comedian venne venduta per 25 centesimi di dollaro da Shah Alam, immigrato 74enne, uno che faceva turni da 12 ore in piedi in un chiosco di frutta dell’Upper East Side,  che pagava 500 dollari al mese di affitto per dividere un seminterrato nel Bronx con altri quattro disperati (ma questo ci porterà più avanti ad altre considerazioni).

Per farla breve, quell’opera, quella famosa banana attaccata al muro con il nastro adesivo, alcuni giorni fa è stata acquistata da Justin Sun, imprenditore cinese del settore delle criptovalute, per la bella cifra di 6,2 milioni di dollari (sì avete letto bene). 

Credo sia necessario chiarire subito una cosa: in realtà Sun non ha acquistato né la banana né il nastro adesivo esposto e intermediato da Sotheby’s, bensì un certificato di autenticità, con le “istruzioni” per riprodurre l’opera, una volta ricomprati a proprie spese banana e scotch.

E queste istruzioni perché il frutto diventi un’“opera d’arte”, degna dei 6 milioni sborsati da Justin Sun, prevedono che la banana sia posizionarla a 175 cm da terra, con una stringa di 20 centimetri di uno specifico nastro grigio, che deve essere attaccato per formare un angolo di 37 gradi (sic!). 

Una volta ricostruita dagli addetti di Sotheby’s, l’ “opera d’arte”, partita da una base d’asta di 800mila dollari, in cinque minuti si è arrampicata ben più in alto, in una contesa tra miliardari che sa poco d’arte e molto, troppo, di ostentazione del privilegio.

Questo significa che il prezzo, a opera realizzata e venduta, è salito di circa 25 milioni di volte. 

Perché? Quali riflessioni impone questa vicenda?

“Il valore reale è il concetto stesso” ha dichiarato Sun, che si è anche dichiarato soddisfatto di aver potuto pagare a Sotheby’s i 6,2 milioni in criptovalute.

Ed in effetti è così, e lo dimostra il fatto che Sun venerdì 29 novembre ha fatto quanto aveva promesso: davanti alle telecamere, nel corso di un evento organizzato a Hong Kong, ha mangiato la famosa banana di “Comedian”.

Tanto, avendo acquistato “i diritti”, può riprodurre l’opera d’arte ogni volta che vuole.

Il fatto in sé è tutto qui; e qui potremmo fermarci, pensando si tratti della follia, dell’ansia di farsi notare di un re delle criptovalute, con un patrimonio netto stimato di 1,4 miliardi di dollari.

Perché cosa te ne fai, del resto, di una spesa del genere, se non mostrare con nonchalance di averla consumata, magari lanciando la buccia per terra?

E mangiata la sua banana, scusate, la sua opera d’arte, ottenuta la fama planetaria cui anelava ben oltre la ricchezza, Justin Sun tornerà nel suo mondo parallelo fatto di jet privati e soldi che fanno soldi, di valute virtuali dal sottostante nullo, a cui quella banana, pardon, quella creazione artistica, ha fatto da spot planetario. 

A me, in bocca, resta un sapore amaro. Che sa di diseguaglianza. E non solo di povertà.

Perché possiamo anche far finta di dimenticarcene, ma Shah Alam, vedovo, arrivato a New York già quasi anziano per seguire una figlia trasferitasi da tempo,  che forse non sa nulla di arte, e certamente non ha mai messo piede dentro Sotheby’s, con cui condivide beffardamente solo lo stesso angolo di mondo, tra la 72esima e York, quando ha saputo a quanto è stata venduta la sua banana da 25 centesimi non ha potuto trattenere le lacrime, esclamando con la voce rotta “Sono solo un pover’uomo, non ho mai visto così tanti soldi”.

Ma al di là della commozione, se volete anche dell’indignazione per queste ingiustizie, forse sarebbe il caso di fermarci un attimo a riflettere, per porci alcune domande.

Partendo da questa: chi decide il prezzo di un bene o di un servizio?

Io ho sempre pensato che il prezzo di un bene non sia il valore attribuitogli dal venditore, bensì quello che il compratore è disposto a pagare.

In altre parole nel nostro sistema economico, il valore non viene stabilito da considerazioni morali, ma da dinamiche di mercato. 

Sono le leggi della domanda e dell’offerta che regolano i prezzi, compreso quello di una semplice deteribile banana trasformata in opera d’arte da milioni di dollari.

Se ci pensate bene, a meno che non facciamo gli eremiti, pressoché tutti noi operiamo in un sistema che accetta senza alcun problema queste regole.

Perché scandalizzarsi quindi per la banana di Cattelan se si è ad esempio disposti a pagare 100mila dollari per un Bitcoin?

Anche il Bitcoin in sé non vale nulla, o poco come la banana, ed il suo valore deriva da una percezione collettiva!

Allora ciò che va bene per una valuta virtuale, non può andare bene per un’opera d’arte (o almeno per un’opera considerata tale)?

Ma potremo fare anche altri esempi di prezzi scandalosi, che io giudico al limite dell’immoralità.

Per fare un solo esempio, penso al mercato dei calciatori.  Perché non ci scandalizziamo per le cifre astronomiche spese per gli stipendi dei giocatori?    Perché il prezzo di un’opera d’arte come quella di Cattelan è “immorale”, mentre 100 milioni di euro per un contratto sportivo di un ragazzotto che corre su un campo sono accettabili? 

In fondo non sono le stesse leggi  di mercato a stabilire entrambe le cifre?

La verità, almeno per me, è che tutti noi siamo condizionati dalle nostre passioni, per cui quello che ci sembra uno scandalo in un certo settore, lo valutiamo come accettabile in un altro. 

Dimenticando che il vero problema è quello di tanti, dei troppi Shah Alam che quotidianamente stentano a sbarcare il lunario, che fanno fatica a mettere in tavola pranzo e cena. 

Se proprio volete sapere cosa penso della vicenda “Comedian” non ho alcun problema nel dirvi che io quell’opera non l’avrei pagata neppure 1 euro.

Anche a costo di essere etichettato come ignorante, e magari anche “iconoclasta”, io non ne riconosco il significato artistico, sebbene percepisca la genialità di Cattelan,  e soprattutto la sua profonda ironia nell’appiccicare una banana su un muro (immagino che se lo facessi io sulla parete di una casa mi beccherei una multa dai Vigili Urbani!)

Ma è anche vero se in questo mondo  “diseguale” c’è qualcuno disposto a pagare 6,2 milioni di euro per delle “istruzioni per l’uso”, cosa posso farci io, se non farmi avvolgere da una grande tristezza?

PS:  a proposito che, come scrivevo sopra, si può fare arte con qualsiasi materiale, forse molti di voi ricorderanno che nel dicembre del 1961 Pietro Manzoni sigillò 90 barattoli di latta, uguali a quelli utilizzati normalmente per la carne in scatola , ai quali applicò un’ etichetta identificativa,, tradotta in quattro lingue (italiano, francese, inglese e tedesco), con la scritta «Merda d’artista. Contenuto netto gr. 30. Conservata al naturale. Prodotta ed inscatolata nel maggio 1961». 

Sulla parte superiore del barattolo era apposto un numero progressivo  da 01 a 90 insieme alla firma dell‘artista.  I barattoli sono ora sono conservati in diverse collezioni d’arte  pubbliche in tutto il mondo; per far un solo esempio, l’esemplare n. 01 è esposto presso il Museo San Fedele  di Milano.

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