19 Luglio 2024 - 9.36

Il “No” fatale di Giorgia Meloni ad Ursula von der Leyen relega l’Italia all’opposizione

Umberto Baldo

Ricordate la locuzione “fare melina”?

Si usava anni fa quando una squadra di calcio (ma in realtà nacque dal basket) che si trovava in vantaggio tratteneva il più a lungo possibile la palla in attesa del fischio finale dell’arbitro.

Credo si possa dire che, in relazione all’elezione di Ursula von der Leyen, Giorgia Meloni ha fatto melina sino all’ultimo secondo, ed alla fine ha deciso di dire no all’astensione, no alla libertà di voto né, tantomeno, un si. 

E con una mossa alquanto insolita, forse anche discutibile, ha reso pubblico il suo “voto contrario” solo dopo che la delegazione italiana si era già espressa nel segreto dell’urna.

Non è bastata la conferma della linea “dura” sull’immigrazione, il riferimento alla “dimensione esterna” cara alla leader di Fdi, e neppure l’annuncio di un Commissario ad hoc per il Mediterraneo, così come l’accompagnamento del Green deal con un piano parallelo sulla competitività, ed il rafforzamento della Difesa europea.

Tutte aperture, fatte dalla Von der Leyen nel suo discorso programmatico,  che per molti osservatori avrebbero dovuto spingere Giorgia Meloni a dare il suo consenso. 

Ma credete a me; la verità è che nelle trattative i tanto sbandierati “contenuti” alla fine contano fino ad un certo punto, perché a prevalere sono sempre gli elementi politici, o di schieramento politico. 

Ed infatti, dopo il voto negativo, il capodelegazione FdI all’Europarlamento Carlo Fidanza ha spiegato che “Le scelte fatte in questi giorni, la piattaforma politica, la ricerca di un consenso a sinistra fino ai Verdi hanno reso impossibile il nostro sostegno a riconferma della presidente Ursula von der Leyen”, sottolineando che con la rielezione della politica tedesca “”non viene dato seguito al forte messaggio di cambiamento uscito dalle urne del 9 giugno”.

Ok, bel discorso. 

Ma come va letto ve lo spiego io. 

Vale a dire che il dichiarato voto favorevole dei Verdi di fatto rendeva superflui (cioè aggiuntivi ma non determinanti) i suffragi di Fratelli d’Italia; e se i tuoi voti sono superflui non puoi battere i pugni sul tavolo, e allora  si preferisce stare fuori, sollevando ovviamente questioni di principio, o di “metodo”.

Tanto trovare le questioni che dividono è sempre più facile che trovare quelle che uniscono.

Ed in particolare FdI, pur non demonizzando il Green deal, ritiene che occorra fare una scelta ben precisa di realismo per evitare di creare una desertificazione di politica industriale in Europa.

Posizione che comunque a mio avviso andrebbe in ogni caso riconsiderata dalla maggioranza, perché con il “talebanismo verde” non si va da nessuna parte. 

Quindi alla fine è uscito il contrordine, una  contro virata verso la destra-destra che la premier ha ritenuto più coerente rispetto all’altra ipotesi in campo: accogliere le lusinghe del Ppe, e quindi entrare chiaramente in un sistema di forze europeiste. 

Un epilogo, come accennavo, dettato da questioni politiche, ma che ora trasforma in un rebus i due dossier che Meloni e Von del Leyen hanno sul tavolo: la delega che sarà attribuita al componente italiano della Commissione Europea, e l’atteggiamento che Bruxelles avrà verso la prossima legge di bilancio italiana (fra carenza di risorse, deficit, e debito pubblico a 3mila miliardi).

A mio avviso questo sarebbe stato il momento di portare a definitivo compimento la “svolta di Fiuggi” di Gianfranco Fini, ma come abbiamo visto alla fine ha prevalso la linea dura. 

Giorgia Meloni ha deciso di votare contro la riconfermata di Ursula von der Leyen, una scelta che, lei può raccontarla come vuole, pone l’Italia all’opposizione, assieme ai Patrioti per l’Europa” di Marine Le Pen e Matteo Salvini, e a quelli dell’ “Europa delle Nazioni sovrane” di  Alternative fur Deutschland, di Orban e di Abascal .

Evidentemente la Premier ha ritenuto che il prezzo da pagare alla sua destra non sarebbe stato compensato a livello negoziale. 

Certo, ora Matteo Salvini apparentemente ha un’arma in meno nei confronti della Meloni, che non potrà essere accusata di “tradimento” per aver votato con i “socialisti”. 

Ma è una visione di corto respiro, che rischia di isolare l’Italia, almeno in Europa. 

Da politica navigata immagino che Meloni  l’abbia sicuramente messo in conto. 

Può essere che, visti gli avvenimenti di questi giorni, la premier stia  guardando a cosa accade al di là dell’Atlantico, e si prepari all’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca, sottraendo così a Salvini (ma anche a Orbàn) l’esclusiva del rapporto con il probabile Presidente Usa.

Ma consentitemi di dire che si tratterebbe di una mossa molto rischiosa, perché l’Italia è in Europa, ed in Europa è il rapporto con Germania e Francia ad avere il principale impatto sulla nostra economia. 

E questo rapporto, che già non  brillava,  sicuramente peggiorerà in conseguenza di questo voto negativo. 

Senza tirarla troppo lunga, è fuor di dubbio che ieri Giorgia Meloni era di fronte ad un bivio importante sia per “aaaaa Naaaaazzzziiiiooone”, che per la destra italiana. 

Tre erano infatti a mio avviso le poste in gioco.

La prima, la collocazione dei Conservatori (il Gruppo che lei guida in Europa), che hanno votato in modo sparpagliato, ma il cui ruolo di possibili interlocutori di cui tenere conto dipendeva dal voto della loro leader; e quel “no” di Meloni li può relegare ad una posizione di ambigui avversari, o addirittura di componenti del blocco sovranista “avversario”. 

La seconda è il ruolo dell’Italia a guida centrodestra;  relativamente al quale anche grazie alle aperture di Von der Leyen, ed al suo lavoro di interlocuzione,  la Meloni era riuscita negli ultimi due anni a superare molte delle diffidenze che gravavano sulla svolta del Paese: gli incontri, i sorrisi, l’esibita sintonia tra Giorgia e Ursula, sono stati un passepartout di credibilità, che non so se il suo “no” potrà mantenere.

La terza, a mio avviso la più importante, è quella relativa al suo ruolo di premier.

E purtroppo devo rilevare che proprio non ce l’ha fatta a superare quel “bivio fatale”, a fare quel “cambio di passo” che l’avrebbe proiettata fra i leader di questa Europa (sempre che la cosa interessi ovviamente).

Dispiace dirlo, ma purtroppo con il suo “no” ha dato l’idea di una leader paralizzata dalle opposte scelte dei suoi alleati; costretta cioè a barcamenarsi in stile un po’ democristiano tra l’assertivo sostegno a Von der Leyen di Forza Italia, e l’assoluta ostilità della Lega. 

Mi sarebbe piaciuto un diverso epilogo.

Perché non è certo all’America trumpiana, che flirta con il sovranismo e l’euro-scetticismo nostrani  che l’Italia deve guardare; bensì a questa Europa, che sarà anche confusa ed in crisi di identità, ma che è pur sempre lo spazio del nostro futuro, sociale, politico, economico.

Umberto Baldo

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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