Il problema di Israele? Ultraortodossi e teocrazia
C’è la Teocrazia nel futuro di Israele?
Umberto Baldo
A marzo dell’anno scorso due deputati della destra religiosa israeliana avevano proposto una norma che criminalizzava ogni forma di “annuncio di Gesù”, prevedendo per i trasgressori il carcere da uno a due anni.
Il premier Netanyahu promise allora di bloccare quel disegno di legge, quasi sicuramente per non perdere il determinante consenso dei cristiani evangelici degli Usa, quelli che appoggiano Trump per capirci.
Ma indipendentemente dalla sua approvazione, basta questa sola proposta per mostrare la deriva di fanatismo religioso di matrice ebraica con cui la società israeliana dovrà cimentarsi nei prossimi anni.
L’Occidente ha sempre considerato Israele parte di sé, e giustamente direi, perché, pur con tutte le sue pecche, lo Stato ebraico resta l’unica democrazia nel devastato panorama del Medio Oriente.
Si tratta di una democrazia piuttosto “dinamica”, dove anche in virtù del sistema elettorale vigente, il proporzionale puro, le maggioranze parlamentari sono sempre piuttosto risicate (spesso uno o due deputati) e di conseguenza i Governi molto instabili.
Da circa 12 anni a fare il bello ed il cattivo tempo è Benjamin Netanyahu, leader del Likud, il maggior partito conservatore, attualmente a capo del Governo più di destra, nazionalista, clericale, populista, messianista ed antidemocratico della storia del Paese.
Si tratta di un uomo politico molto discusso, coinvolto anche in vicende giudiziarie, non proprio uno stinco di santo; ma che rappresenta secondo me il risultato tangibile di un processo che sta investendo la realtà israeliana.
Per essere più chiaro, è evidente che l’Israele di oggi è profondamente diverso da quello della sua nascita, e a me sembra di intravvedere quella che io definirei una sorta di “mutazione genetica” della società israeliana, in grado di condizionarne pesantemente il futuro.
Ma partiamo dai numeri.
Israele oggi conta circa 9 milioni e mezzo abitanti; di questi circa 7 milioni sono ebrei, 2 milioni arabi, e circa mezzo milione appartiene a varie minoranze.
È un Paese giovane, nato nel 1948, con una popolazione in crescita costante, ma in cui, ancor prima dell’attacco del 7 ottobre, molte cose stavano cambiando.
Il territorio è quello che è, e ragionevolmente è difficile ipotizzare che possa estendersi ulteriormente.
Ma con il tempo la popolazione è cresciuta di numero, e la demografia è di conseguenza una delle grandi sfide israeliane, oltre che fattore di impatto anche sui destini politici.
E non parlavo a caso di “mutazione genetica” perché mentre i fondatori del Paese erano laici, per la maggior parte ashkenaziti, ebrei dell’Europa centrale e orientale, tradizionalmente di lingua e cultura yiddish e di idee socialiste, oggi invece il Paese cresce demograficamente soprattutto grazie ai cittadini arabi, a quelli di ascendenza mediorientale, tra loro anche molti coloni, ma soprattutto agli ebrei ultraortodossi, gli Haredim.
E qui siamo arrivati al punto.
Secondo l’Ufficio Centrale di Statistica Israeliano, oggi gli Haredim sono circa 1,3 milioni. Entro il 2030 rappresenteranno il 16% della popolazione, nel 2040 la loro comunità potrebbe diventare più numerosa di quella araba.
Ma chi sono questi Haredim (il termine significa in ebraico “coloro che tremano nel timore di Dio”?
Noi siamo soliti guardarli come macchiette nei film, con le loro palandrane nere, le treccine di lato al viso, i loro cappelli a falde larghe, ma in realtà sono una minoranza molto dinamica, e proprio per questo sempre più influente sull’assetto del Paese.
Come sopra accennato, la comunità Haredim conta oggi circa un 1 milione e 300mila unità, ma si prevede che essa cresca con un tasso doppio rispetto a quello del resto della popolazione, data l’altissima fecondità delle loro donne che, pur essendo in leggero calo rispetto ai decenni passati, fluttua ancora in prossimità dei 7 figli per donna, più del doppio dei 3,1 della media-Paese.
É inoltre degno di nota il fatto che intorno al 2050 la comunità Haredim diventerà più numerosa della popolazione Araba, e rappresenterà circa un terzo di tutti gli Israeliani.
Per di più, poiché si sposano e figliano già molto giovani, le diverse generazioni di ebrei Haredim si susseguono più velocemente rispetto agli altri gruppi etnici; un fattore non secondario del loro rapido incremento, con rilevanti conseguenze sia sul piano interno che su quello geopolitico.
Infatti, la quasi totalità degli ebrei Haredim dichiara di votare per partiti come Shas (partito conservatore) e Ebraismo della Torah Unito (ultraconservatore), essendo quest’ultimo quello di gran lunga più popolare.
Non è certo una comunità facile da gestire ed integrare per lo Stato ebraico, perché, in generale, il rapporto che gli ebrei ultraortodossi hanno con le istituzioni israeliane è alquanto conflittuale; a seconda delle correnti interne, fra il 18% e il 45% degli Haredim non si identifica con lo Stato di Israele, mentre la maggior parte degli uomini dedica la propria vita solo allo studio della Torah, non ha un vero lavoro né un’istruzione superiore, e i pochi che studiano intendono comunque lavorare all’interno delle proprie comunità di origine.
Ma c’è un elemento in particolare che ultimamente sta dilaniando la società di Israele; il fatto che gli Haredim da sempre rifiutano il servizio militare, e capite bene che ciò in un Paese circondato da nemici, e perennemente in stato di allerta, fa “incazzare” tutti coloro che invece sotto le armi ci vanno, e se serve anche al fronte.
E ricordate sempre che “Israele non è uno Stato con un esercito, ma un esercito con uno Stato”; e non è la stessa cosa!
La loro crescente influenza elettorale, grazie alla loro prolificità, rende problematico un intervento (anche con le cattive se servisse) delle istituzioni israeliane, ovviamente al fine di integrarli nel resto della società.
Capite bene che il vedere oltre un milione di persone che non lavorano e passano tutto il tempo a studiare Torah e Talmud, in qualche modo sovvenzionate (in realtà mantenute) dallo Stato, e che per di più si sottraggono alla leva obbligatoria, sia un qualcosa che crea problemi e tensioni con il resto della popolazione israeliana.
C’è anche da dire che l’attuale Governo è il meno indicato a mettere in riga gli Ultra ortodossi, non solo perché Bibi Netanyahu li ha blanditi e foraggiati con soldi pubblici per sottrarli al lavoro ed al servizio militare, ma soprattutto perché il suo Esecutivo si regge sui Partiti degli Haredim.
Ma al di là di tutto ciò, che non è comunque poco intendiamoci, quello che dovrebbe più preoccupare tutti noi è la deriva estremistico-religiosa che la crescita degli Haredim comporta.
Questa è gente che si nutre di “messianesimo”, che spinge per uno Stato di Israele guidato esclusivamente dalla Halakhah, la legge ebraica, che propugna ideali omofobi, misogini e contrari ai diritti delle donne, che è favorevole all’apartheid anche violenta dei Palestinesi nei Territori.
Va anche tenuto presente che la componente ultra-ortodossa degli Haredim, pur affiancandosi a quella dell’estrema destra nazionalista, non è la stessa cosa, nonostante condivida alcuni ideali, e governi assieme.
L’estrema destra israeliana si nutre di nazionalismo e sionismo, ma gli Ultra ortodossi rappresentano gli interessi degli estremisti religiosi ebraici, che vorrebbero che la religione avesse un ruolo maggiore nella vita pubblica, e influenzasse maggiormente le scelte dello Stato.
Vi ricorda qualcosa?
Per caso i regimi dei Talebani o degli Ayatollah?
Questo a mio avviso è il rischio che dovrebbe inquietarci; vale a dire una possibile involuzione della democrazia laica israeliana verso una forma di teocrazia, con l’oscurantismo politico che impone una morale religiosa sulle istituzioni e sul vivere civile.
Spero non serva che vi ricordi che la storia ci insegna che tutte le esperienze di “preti” messi al governo di una comunità o di uno Stato (ad es. non solo Savonarola a Firenze, ma anche Calvino a Ginevra) si sono rivelate fallimentari ed insostenibili per le limitazioni e gli obblighi imposti ai cittadini.
A questo punto c’è solo da augurarsi che quanto prima Netanyahu vada a fare il pensionato (se non lo mettono in galera), e le componenti democratiche e occidentali riprendano il filo della società e della politica israeliana.
Lo so che non sarà facile, ma non vedo alternative.
Umberto Baldo