31 Luglio 2019 - 16.44

Il trash insopportabile della musica neomelodica

In principio fu Mario Merola, che con il suo Zappatore commosse legioni di madri del Sud e non solo; poi venne Nino D’Angelo, col caschetto ossigenato “un jeans e una majètta” e fece infiammare eserciti di ragazzine del circondario partenopeo. Entrambi protagonisti di fil abominevoli ma capace di risvegliare sentimenti radicati come l’Onore, l’Amore, il Rispetto.

A gettare ulteriore benzina su un fuoco che già divampava ci si mise, in tempi più recenti, Gigi D’Alessio, del quale preferiremmo non dire nulla.

Musica semplice, che pretende di essere figlia della grande tradizione della Canzone napoletana, ma che alla prova dei fatti è davvero pochissima cosa; alle canzoni de De Curtis questo ciarpame non è neppure degno di fare il bucato.

Melodie semplici, svolazzi e vocalizzi, modulazioni esagerate e soprattutto testi strappalacrime; orrore allo stato puro.

Il declino degli apripista ha visto, in anni recenti, l’affermazione di una serie di ragazzotti, spesso bellocci, che hanno raccolto lo scettro dei padri e imperversano nelle radio locali a sud del Volturno riscuotendo successi stratosferici sopratutto presso un pubblico di giovanissimi che in loro vede un esempio da seguire.

Occhiali scuri, ori a profusione, occhio languido che all’occorrenza si fa minaccioso, aria da guappo, il cantante neomelodico è un perfetto stereotipo negativo.

I nomi di questi virtuosi della fioritura, capaci di ricamare mezz’ora su una sillaba tanto da fare impallidire un muezzin, non sono importanti, tanto sono tutti uguali.

Altri propongono la versione vesuviana della trap, abbigliati come un albero di Natale, lucine comprese: terrificante.

L’aspetto più inquietante è dato dalla loro assidua partecipazione a matrimoni e cerimonie varie che vedono protagonisti figuri non esattamente dediti ad attività lecite, per intenderci personaggi che con la mano sinistra carezzano mammà o la fidanzata o il “piccerillo” e con l’altra sparano all’avversario.

Emblematici i testi delle canzoni, che anche quando parlano d’amore in realtà intendono sottomissione. Il rispetto è rivolto al boss al quale si baciano le mani.

La tristezza vera è nel languore della musica, nella povertà della melodia, nella banalità degli accordi; però il successo è incontrovertibile, i loro concerti fanno il tutto esaurito.

Pino Daniele rabbrividirebbe, insieme a Enzo Avitabile, Shel Shapiro e anche a Renzo Arbore, ovvero artisti veri, sperimentatori audaci e allo stesso tempo custodi di una tradizione che ha fatto e fa scuola.

Ragazzi del Sud, non vi fate fregare dalla via facile.

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