10 Aprile 2025 - 9.31

Il vero incubo di Trump? I Treasury Bond

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Umberto Baldo

Ieri mi sembra avessimo scartato che Donald Trump sia un “idiota”, oppure un “cretino circondato da cretini”, e neppure un “cigno nero”.

Sulla seconda definizione avrei qualcosa da ridire in verità non tanto sul Tycoon, ma sul fatto che si sia circondato, affidando loro i posti chiave dell’Amministrazione, o a parenti a volte chiacchierati o addirittura ex carcerati, o comunque al peggio che la società americana potesse offrire in termini di cultura e competenze (meglio incompetenze).

Vi ho già accennato che Trump sa bene di non avere davanti un tempo infinito, e di conseguenza sta imprimendo alle sue politiche un’accelerazione che obiettivamente sta spiazzando un po’ tutti i Governi il mondo.

I pinguini antartici delle isole Heard e McDonald, gli stessi dipendenti americani della Base Diego Garcia, e tutte le Cancellerie del mondo, si stanno chiedendo quale sia l’endgame di tutto questo.

Perché, inutile far finta di niente, al momento è piuttosto difficile intuirlo.

Se obiettivo è quello di riportare la manifattura in America, inclusi gli operai che fissano le viti sull’iPhone o gli schiavi da telaio per produrre t-shirt, ma anche farmaci e scarpe griffate, è certo che non basterebbero tutti i quattro anni a disposizione di Trump per concretizzarlo, sempre ammesso che sia possibile.

Quindi ci deve essere qualche altra chiave di lettura, per giustificare il gioco al massacro innescato dai dazi, che  nel giro di tre giorni  ha portato le borse mondiali a bruciare 9.500 miliardi di dollari, tre volte il mostruoso debito italiano che ci portiamo a spasso da decenni.

Ci sarà ben un motivo se  Trump sembra il maggiore T.J. King Kong che cavalca un missile atomico in una scena del film il dottor Stranamore, se con sicumera scrive su Truth  agli americani: “Non siate deboli! Non siate stupidi! Non andate nel panico! Siate forti, coraggiosi e pazienti e la  Grandezza  sarà il risultato!”.

Ma se si guarda con maggiore attenzione all’America, ed ai suoi conti, ci si accorge che forse questa chiave potrebbe avere un nome: debito pubblico.

Non è una novità che gli Usa si portino sulle spalle un fardello di debito che nel 2024 ha superato i 34mila miliardi di dollari, in anticipo di 5 anni sulle previsioni del Congressional Budget Office; debito che non dà alcun segnale di calo in quanto il deficit di bilancio (differenza fra quanto lo Stato spende e quanto incassa) è pari a circa il 7%.

Il dibattito su cosa significhi davvero questo record per l’economia più potente del mondo è aperto da tempo.

E la domanda che tutti si pongono è la seguente: gli Usa rischiano la crisi o saranno in grado di sostenere un debito così alto?

Questo interrogativo per ora non trova risposte certe. 

La causa di questa situazione è nota, e sta nel fatto che il debito è cresciuto più rapidamente del previsto a causa della pandemia, iniziata nel 2020, che ha bloccato gran parte del sistema produttivo statunitense. 

Per stabilizzare l’economia e sostenere la ripresa gli Usa contrassero ingenti prestiti sia sotto l’allora presidente Donald Trump, e poi con la presidenza di Joe Biden. 

Ma la ripresa è arrivata con un’impennata dell’inflazione, che ha spinto al rialzo i tassi di interesse e reso più costosa per il Governo la gestione del debito stesso.

Fino ad ora il debito nazionale non é sembrato rappresentare un peso per l’economia statunitense, poiché gli investitori hanno continuato a prestare denaro al Governo federale. 

Questi prestiti (in altre parole sottoscrizione dei Bond governativi)  hanno consentito all’Amministrazione Usa di continuare a spendere senza dover aumentare le tasse.

Il problema che si pone è questo: fino a quanto funzionerà il giochino?

Non dimenticate che l’anno scorso, il Fondo Monetario Internazionale ha avvertito che l’alto e crescente livello del debito del governo statunitense rischiava di innalzare i costi di finanziamento in tutto il mondo, e di minare la stabilità finanziaria globale.

Tanto per capirci facendo qualche numero, in questo 2025 arrivano a scadenza negli USA titoli del debito per 9.200 miliardi di dollari, che devono essere rinnovati. 

A questa cifra già colossale, e che ammonta al 31% di tutto lo stock emesso e in circolazione sui mercati, dobbiamo aggiungere i circa 2.000 miliardi di nuove emissioni attese. 

Spero vi sia chiaro che Trump deve trovare da qui a fine anno chi sottoscriva 11.000 miliardi di dollari.

Avete capito qual è il problema? Trump deve emettere debito tra vecchio e nuovo per circa 11.000 miliardi in meno di un anno. 

E tutto questo con rendimenti che al momento del suo insediamento in gennaio puntavano al 5%, mentre la Federal Reserve sospendeva il taglio dei tassi di interesse per via dell’inflazione rimasta sopra il 2%.

Aggiungete al quadro che il debito Usa conta fra i maggiori detentori la Cina, il Giappone e la Corea del Sud; non proprio il massimo, in quanto espone l’America al rischio che questi Stati non siano più disposti a comprare Treasury Bond.

Le prime avvisaglie al riguardo si sono già viste.

Gli investitori giapponesi, a mano a mano che la loro Banca Centrale alza i tassi (nel 2016 erano addirittura negativi), potrebbero trovare più conveniente acquistare Bond nipponici piuttosto che i Treasury Usa.

Per quanto riguarda la Cina, Pechino già da tempo sta spostando le sue attenzioni, ed i suoi acquisti, dal dollaro all’oro.

Spero adesso vi sia più chiaro perché la crisi dei Bond potrebbe essere la causa scatenante della guerra dei dazi!

Perché a pensare male si fa peccato, ma qualche volta ci si indovina, Trump assieme al suo sodale Segretario al Tesoro Bessent potrebbero aver partorito l’idea che per ottenere un ribasso dei tassi (e quindi del costo del rinnovo del debito Usa) fosse necessario una sorta di shock, una sorta di crisi pilotata dell’economia.

E cosa c’è di meglio a tal fine che innescare un crollo del mercato azionario?

Cosa c’è di meglio che diffondere il panico a livello globale, imponendo dazi perfino ai pinguini, spingendo intere economie verso la recessione, e così indebolendo le controparti commerciali, e rendendole più malleabili verso i desiderata degli Usa?

Vi sembra fantascienza, meglio fantapolitica?

Credetemi che non lo è!

E allora  si spiegherebbe tutto; vale a dire che Trump non è un idiota, né un pazzo scatenato, bensì un freddo calcolatore che si sarebbe inventato, con un calcolo cinico, il modo per affrontare il problema del debito americano, forse arrivato alle soglie della insostenibilità.

E questo spiega anche la fretta.

I metodi tradizionali, le blandizie, le trattative, richiederebbero tempi lunghi e pazienza che il Tycoon sa di non avere.

Molto meglio abbandonare i metodi tradizionali della diplomazia, impugnare la clava dei dazi, andare in televisione con le lavagnette ripostanti il dettaglio delle tariffe, applicate secondo calcoli incomprensibili e illogici (i meno forbiti  forse direbbero alla cazzo di cane), provocare così una shock economy, con l’obiettivo calcolato fin dall’inizio di costringere gli altri Stati a trattative che non verteranno affatto sui dazi, bensì su quanto debito pubblico americano, meglio se a lunga scadenza, sono disposti a sottoscrivere.

Così raccontata, sembrerebbe una manovra ben pensata e ben congegnata.

Ed in fondo lo è; se non che non è detto che le cose vadano come immaginato da Ciuffo Biondo. 

Innanzi tutto il fattore politico; nel senso che ci sono Stati che potrebbero approfittare della situazione per mettere gli Usa ancora più in difficoltà (perché non la Cina ad esempio?).

Ma a mio avviso c’è soprattutto il fattore tempo, che coinvolge i mercati ed i cittadini americani.

Mi spiego: con una domanda: quanto sono disposti a sopportare Borse e Mercati senza provare a mettere in seria difficoltà Trump, come fecero a suo tempo con Liz Truss?

E analogamente, quando i consumatori Usa vedranno i propri risparmi borsistici falcidiati, le proprie pensioni ridotte, la propria capacità di spesa ridimensionata, per quanto tempo saranno disposti ad accettare una tale situazione?

Ha voglia The Donald a lanciare slogan che incitano alla resistenza in vista dell’età dell’oro.

E’ comprensibile che Trump punti a separare i mercati azionari dallo scenario economico, ma le Borse anticipano gli scenari, ed alla fine torniamo inevitabilmente al dilemma: quanto tempo ha la Casa Bianca per evitare il crash, il contagio da Wall Street al negozio di generi alimentari, e provare un atterraggio morbido?

Ieri sera abbiamo visto che il messaggio dei Mercati è arrivato, più da quello obbligazionario (Traesury Bond) che dall’azionario in realtà, e Trump ha deciso di sospendere i nuovi dazi per 90 giorni.

Sarà solo una tregua?  Dio solo lo sa!

Umberto Baldo

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