Il voto tedesco fa sentire i suoi effetti anche in Italia

Umberto Baldo
Da liberale non apprezzo sicuramente il “pensiero unico”, e per questo mi sono sempre ispirato alla massima latina “timeo lectorem unius libri”.
Ma ciò non vuol dire che, pur essendo aperto ad ascoltare e cercare di capire un po’ tutte le posizioni, non mi sia chiaro che alcuni punti fermi uno li debba avere.
E ciò è ancora più necessario in politica, l’arte del possibile, perché qualunque leader sa che le idee devono comunque concretizzarsi in fatti concreti, in posizioni definite.
Per cui, leggere che Edmondo Cirielli, viceministro agli Esteri e coordinatore nazionale di Fratelli d’Italia, sui giornali e in tv si chiede come mai in Germania non nasca un governo di centrodestra costituito dalla Cdu e da AfD, lascia quanto meno perplessi.
Perché forse Cirelli dimentica che in questo momento è la questione Ucraina a tenere banco, ed è evidente che Donald Trump l’Ucraina intende smembrarla per far contento l’amico Vladimir Putin.
Sulla questione i dirigenti di AfD sono perfettamente allineati con Trump e Putin, mentre quelli della Cdu sono d’accordo con Kiev e gli alleati europei.
La domanda viene quindi spontanea: come potrebbe reggere un Governo con due partner portatori di visioni opposte su una questione così cruciale?
E questa domanda ha un immediato corollario: come può stare insieme in Italia un Governo che vede alleati sia sostenitori che avversari di Putin?
Guardate che lo stesso problema ce l’ha anche l’opposizione, tanto è vero che il mitico “campo largo” mi sembra ormai un’Araba fenice, un feticcio cui crede solo Elly Schlein.
Com’era inevitabile le elezioni in Germania hanno suscitato reazioni contrastanti tra i politici italiani, a tal punto che non ho alcun timore nel definirle una spaccatura.
E così Matteo Salvini ha colto subito la palla al balzo. Il leader della Lega non ha mai nascosto la sua simpatia per l’estrema destra tedesca, e non ha perso l’occasione per definire il risultato elettorale di Afd come una grande notizia per la Germania e per l’Europa. “AfD raddoppia i voti, nonostante attacchi e menzogne della sinistra: stop a immigrazione clandestina e fanatismo islamico, basta con le eco-follie, priorità a pace e lavoro, Europa da cambiare radicalmente”, ha scritto sui social il Vicepremier.
Parole diametralmente opposte rispetto a quelle dell’alleato, Antonio Tajani: “AfD non è per quanto mi riguarda un nostro interlocutore, lo dico come segretario di Fi e vicepresidente del Ppe”. Secondo il vicepremier e leader di Forza Italia l’estrema destra tedesca “ha una visione completamente diversa dalla nostra, non è una forza politica che ha idee positive nei confronti dell’Italia”.
Il botta e risposta ha reso ancora più evidente la frattura nel centrodestra italiano: da un lato Salvini che strizza l’occhio all’estrema destra, dall’altro Forza Italia che si tiene ancorata al Partito Popolare Europeo.
Nel mezzo Giorgia Meloni, che proviene da una tradizione politica sovranista ed in fondo in fondo antieuropea, ma che da Presidente del Consiglio ha l’obbligo di ricercare un posizionamento che le consenta di tenere l’Italia assieme all’Europa che conta.
Diciamocela tutta: non è per niente comoda la posizione della premier, perché il leader del Partito che ha vinto in Germania, la CDU, con cui vorrebbe avere un rapporto privilegiato, è un europeista convinto, con una visione della politica comunitaria distante dalle posizioni sovraniste di Meloni. Allo stesso tempo Merz non ha mai nascosto il suo disprezzo per i partiti dell’estrema destra, tra cui rientrano anche gli alleati europei di Fratelli d’Italia.
Non c’è alcun dubbio che, dopo l’opaca Cancelleria di Scholz, il nuovo governo tedesco avrà comunque un ruolo chiave nella direzione dell’Unione europea, soprattutto per ciò che attiene le politiche economiche e migratorie.
Ciò porterà inevitabilmente Merz a rafforzare i legami con Bruxelles, ma anche con Parigi e Varsavia, con il rischio, per una Giorgia Meloni che tenta di tenere il piede su due scarpe tra i popolari ed i sovranisti, di essere marginalizzata.
Mi spiace dirlo, ma l’impressione che si è avuta negli ultimi giorni è stata quella di una Meloni impegnata a “fare il morto”. Dopo essere rimasta in silenzio, al contrario di Macron e degli altri leader europei, dinanzi alle ingiurie di Trump contro Volodymyr Zelensky; dopo avere partecipato (dopo tanti silenzi, calcoli ed esitazioni) in video all’adunata trumpiana di sabato scorso; dopo avere persino tentato di evitare la riunione del G7 nel giorno del terzo anniversario dell’invasione russa, accampando problemi di agenda, che alla fine si è dovuta rimangiare.
Certo può essere che le Premier abbia ancora in mente un suo possibile fondamentale ruolo come ponte tra l’Unione europea e la nuova Amministrazione americana, ma di fronte al movimentismo di altri leader fossi in lei non sarei così sicura che la cosa possa concretizzarsi.
Tornando alla maggioranza di Governo, Giorgia Meloni sa bene che dopo due anni in cui il tema sono state le armi da fornire a Kiev, d’ora in avanti si parlerà di soldati da inviare in Ucraina.
A tal proposito la Lega ha già dichiarato: “Nessun soldato italiano in Ucraina”. Un chiaro avvertimento di Salvini indirizzato principalmente al Governo di cui fa parte; perché il Capitano ha capito che se vuole continuare a tenere “Aaa Nazzziiiiooone” fra gli Stati che contano, la Premier non potrà sottrarsi a questo impegno militare, qualora venisse deciso.
Oserei parlare addirittura di equilibrismo diplomatico relativamente alla decisione dell’Italia di votare “sì” a due risoluzioni all’Onu, una dell’Ucraina sostenuta dagli europei, e un’altra degli Usa più favorevole a Mosca.
Come dicevo all’inizio, capisco che il potere è un legante eccezionale, ma credo sia legittimo chiedersi come sia possibile stare assieme per la maggioranza di Governo, avendo i tre Partiti che la compongono visioni nettamente diverse sul posizionamento internazionale dell’Italia.
Ma se Atene piange, Sparta non ride, e uso questo modo di dire per significare che se la maggioranza si dibatte in molte contraddizioni, non è che le cose vadano meglio per le forze di opposizione, che paiono tramortite dai risultati.
Forse sarà troppo presto, ma a gauche, al di là di qualche “balbettio”, di qualche analisi piuttosto all’acqua di rose, non ho sentito pressoché nulla.
A meno di non considerare analisi le battute della deputata M5SVittoria Baldino: “il mondo sta scegliendo i conservatori perché sono più bravi a fare leva sulle paure”, o quelle di Angelo Bonelli:”Nonostante la campagna di fake, i Verdi tengono. Musk esce sconfitto, perché non ci sarà un Governo con l’AfD”.
Eppure quel 16,5 per cento dei voti cui sono scesi i socialdemocratici tedeschi, in un turno elettorale peraltro a larghissima partecipazione, con ben più dell’80 per cento ormai inimmaginabile in Italia, dovrebbe far riflettere ed allarmare la Segretaria del Pd Elly Schlein.
Perché rappresenta la cartina di tornasole di un’Unione Europea sempre più spostata a destra; e quel 20% ottenuto dall’Afd costituisce la prova provata che i ceti medio-bassi e la classe operaia della Germania dell’Est post-comunista hanno voltato le spalle alla sinistra, ed hanno scelto l’estrema destra.
Un fenomeno molto ben conosciuto in Italia da almeno 20 anni, ossia da quando gli operai del Nord Italia hanno iniziato a recarsi alle urne con la tessera della Cgil in tasca per votare la Lega, a adesso FdI.
Alla Schlein dovrebbe anche sorgere il dubbio che, poiché ovunque nel mondo il problema dell’immigrazione clandestina sta condizionando pesantemente gli orientamenti elettorali, forse perseverare nella politica del ”dentro tutti” porta solo ad ulteriori sconfitte.
In estrema sintesi, direi che sono tre le lezioni che arrivano al Partito Democratico dal voto tedesco: la prima che la retorica dell’antifascismo non ha più alcuna presa sull’elettorato, la seconda che politiche orientate troppo a sinistra spaventano i moderati, ed infine che sarebbe opportuno scegliere bene i compagni di viaggio per dare vita ad una coalizione credibile.
In generale, ma questo è il vero problema dell’Italia, servirebbe una “vera” classe politica, che non si limitasse agli attacchi personali, ma che di fronte ad un riassetto dello scacchiere europeo ed internazionale, avesse almeno una convergenza di fondo sulla politica estera e sul posizionamento del Paese.
Umberto Baldo