21 Ottobre 2024 - 9.46

Immigrati e Albania… Ma cos’è un  “Paese Sicuro”?

Umberto Baldo

Siete poi così sicuri di aver capito compiutamente cosa sia veramente successo relativamente all’affaire migranti in Albania?

Tranquilli, non ho alcuna intenzione di raccontarvi tutta la vicenda pregressa, e nel caso non la conosceste vi consiglio di fermarvi qui.

No, io voglio concentrarmi sul concetto di “Paese sicuro”, concetto sulla base del quale un Magistrato romano ha smontato la politica di “esternalizzazione dei migranti” propugnata e sbandierata a livello europeo dal Governo di Giorgia Maloni, di fatto obbligando il trasferimento in Italia anche di quei quattro gatti (12 in tutto) sbarcati in Albania.

Vi ho detto altre volte che il diritto internazionale è quanto di più aleatorio esista al mondo.

Ma detto questo, voglio farvi partecipi della ricerca (e dei ragionamenti conseguenti) che ho fatto per dipanare il busillis che sta alla base  della questione.

Vi dico subito che non mi accodo a coloro che sparano sulla Magistratura italiana, che potrebbe anche essere ideologicizzata come sostengono le destre, ma nella specie ha scelto di allinearsi alle sentenze della Corte di Giustizia della Ue, considerate di rango prevalente sulle normative italiane.

Di conseguenza rispondiamo alla domanda: che cosa è un “Paese di origine sicuro”? 

Il diritto internazionale (Convenzione di Ginevra) e il diritto comunitario (direttiva sulle procedure d’asilo) considerano un Paese “sicuro” in presenza di un sistema democratico e, in generale, e in modo stabile, di: 

Nessun tipo di persecuzione; 

Nessuna tortura o pene o trattamenti inumani o degradanti; 

Nessuna minaccia di violenze; 

Nessun conflitto armato. 

La direttiva Ue 2013/32 descrive infatti le condizioni per la designazione di un Paese sicuro, all’articolo 37 (allegato 1, paragrafo 1): “Un Paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

Tutto parrebbe abbastanza chiaro a livello teorico.

Se non che  quando ci si cala nella realtà le cose cambiano, e basta che accediate a questo sito della Commissione Europea: ( https://home-affairs.ec.europa.eu/system/files/2020-09/2_eu_safe_countries_of_origin_it.pdf) per rendervi conto che i criteri di sicurezza sono alquanto incerti, tanto che il documento riporta un elenco degli Stati Ue, con l’indicazione dei Paesi che ciascuno di essi considera sicuri.

Potete toccare con mano che l’elenco non è lo stesso per tutti.

A questo punto logica vorrebbe che ci fosse un’unica lista degli “Stati non sicuri”, stilato dalla Commissione Europea, il che taglierebbe la testa al toro.

Inutile che la cerchiate, perché non esiste.

Ed è questa a mio avviso la parte più sconcertante del problema; che la Commissione Ue (non spetta alla Corte a mio avviso) non sia in grado di stilare un elenco dei “Paesi sicuri o meno” valido per tutti gli Stati membri.

A mio avviso, pilatescamente, la Corte Europa si limita a fissare i criteri di pericolosità, lasciando ai Giudici nazionali (es. quelli italiani) l’obbligo di valutare caso per caso le eventuali limitazioni delle libertà dei migranti, e così sentenziare quali siano i “Paesi non sicuri”.

In pratica la Corte nega il diritto di sicurezza ai Paesi ai quali possono addebitarsi atteggiamenti persecutori verso certe categorie di persone, quali oppositori, omosessuali, avvocati, difensori dei diritti civili ecc., ma senza andare oltre, lasciando ai giudici nazionali l’onere (perché di un onere si tratta) di decidere caso per caso.

Nel caso di specie, quello dei migranti trasportati in Albania, per il Governo italiano “sono Paesi sicuri”:Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Camerun, Capo Verde, Colombia, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisi; mentre per la CorteUeinvece, Bangladesh, Egitto, Camerun, Costa d’Avorio, Ghana, Colombia, Tunisia “non sono Paesi sicuri”, e di conseguenza  i migranti provenienti da questi Stati che approdano nella zona Sar italiana hanno diritto ad essere portati in Italia e non in Albania. 

Vi starete chiedendo giustamente: ma con questi criteri è veramente arduo decidere che diritti spettano ai migranti, e quali possono in teoria essere rimpatriati.

Concordo con voi, anche perché mi sembra che nella specie a tutti sfugga uno dei principi cui deve sottostare la normazione; quello della “ragionevolezza”.

E allora mi sono preso l’elenco dei 193 Stati aderenti all’ Onu (attualmente sono solo tre gli Stati esclusi: Kosovo, Taiwan e Sahara occidentale), e ho cominciato a scorrerli, cercando di individuare quali a mio avviso rientrano nei criteri fissati dalla Corte Ue, e quali no.

Provate anche voi: vi assicuro che è piuttosto interessante.

Cominciando dall’Africa, direi che la situazione di quasi tutti i Paesi, le pratiche di mutilazioni sessuali, le persecuzioni degli omosessuali, ed il mancato rispetto di molti diritti, li fanno iscrivere dalla parte dei “Non sicuri”.

Ma anche tutti i Paesi islamici, e non parlo certo solo dell’Iran o dell’Afghanistan, in cui i diritti delle donne sono ignorati o calpestati, dove gli omosessuali vengono giustiziati come a Gaza, e dove gli oppositori, per usare un eufemismo, non fanno una bella vita, fanno parte della famiglia dei “Non sicuri”.

Qualche serio dubbio anche per i Paesi dell’America del Sud, mentre a rigor di logica anche gli Stati Uniti, dove in qualche Stato vige ancora la pena di morte, possono essere bollati come “Paese non sicuro”.

Tralascio la Russia dove gli oppositori sorbiscono il polonio o muoiono in Siberia in camicia a 40 sotto zero; ma anche un cinese di etnia tibetana, uigura, o mongola, non sarebbe certo rimpatriabile. 

Ma cosa volete; chi ha il coraggio di gridare ai quattro venti che la Cina reprime con violenza e soprusi le minoranze, e fa sparire gli oppositori al regime?

Sicuramente fra i Paesi “non sicuri” vanno annoverati anche  numerosi Stati dell’Asia centrale, e neanche nei Balcani i diritti umani vengono poi così rigorosamente rispettati.  Ed in Turchia, tutto normale?

Pure l’India avrebbe qualche pecca al riguardo.

Ma anche la tanto democratica Australia non si salverebbe, dopo vent’anni di crudele politica anti-immigrazione, che ha lasciato migliaia di richiedenti  asilo in un limbo, detenuti in prigioni offshore (isole) o in hotel commerciali sulla terraferma.

Ultimata la carrellata, vi accorgere che fra i “Paesi sicuri” resteranno solo quelli dell’Unione Europea più la Gran Bretagna e la Norvegia,  anche se io qualche dubbio comunque lo avrei nei confronti dell’Ungheria per esempio.

Alla fine della giostra, almeno per me, la categoria dei “Paesi sicuri” assomiglia molto ad una foglia di fico, perché se applicata fino in fondo avrebbe come conseguenza che qualunque cittadino di un altro Stato si presentasse alle frontiere italiche, dovrebbe essere accolto, di fatto abolendo i confini statuali e la loro tutela.

Immagino che per la gauche caviar, il Vaticano, e le nostre anime belle, questa sarebbe la soluzione ottimale.

Si tratta di vedere se può essere funzionale ai cittadini italiani ed europei.

Per concludere, rimane  senza risposta la domanda:  perché un giudice nazionale dovrebbe avere maggiori informazioni, e più approfondite,  sul livello di sicurezza di un’altra Nazione, rispetto al  Ministero degli Esteri ed in generale alle strutture statuali?

Umberto Baldo 

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