In Abruzzo non “cambia il vento” ed il “campo largo” fa flop
Io ho cominciato giovanissimo a frequentare le sedi dei Partiti Politici, e ricordo bene il clima che si viveva la notte delle elezioni.
Ma mi ricordo altrettanto bene che qualunque fosse stato il risultato c’era un seguito.
Certo erano altri tempi, c’era un’altra cultura politica, ma quel “seguito” consisteva nel semplice fatto che chi ci capiva di più perdeva ore e ore ad analizzare i cosiddetti flussi elettorali.
In altre parole si guardavano i numeri, paginate di freddi numeri, e non con i moderni strumenti tecnologici di oggi, ma con la matita, la penna, il righello e magari una calcolatrice.
Parto da questa considerazione per dire che io l’analisi del voto delle Regionali della Sardegna l’ho fatta, eccome se l’ho fatta, e non ci voleva certo Pitagora per capire che le elezioni dal punto di vista numerico le avevano vinte i Partiti di Centrodestra.
Perché le dieci liste che avevano appoggiato la candidatura dello Todde (il mitico campo largo che comprendeva Pd-M5S e Verdi-Sinistra) hanno ottenuto 290.720 voti, mentre le forze che appoggiavano Truzzu, che di voti ne hanno incassati 333.873.
Ne risulta che la Todde ha vinto in quanto ha preso 331.109 voti, a fronte dei 328.494 di Truzzu, semplicemente perché qualche migliaio di elettori, pur votando centrodestra, ha crocettato il suo nome, cosa possibile perché in Sardegna è previsto il cosiddetto voto disgiunto (Truzzu ha preso oltre 5mila voti in meno rispetto ai voti presi da tutte le liste che lo sostenevano).
Colpa della sindrome di onnipotenza della Meloni? Può essere, ma ormai è acqua passata.
Per questo motivo non ho mai creduto al nuovo vento di sinistra che da Cagliari sarebbe cominciato a spirare in Italia, e di conseguenza ho sempre pensato che in Abruzzo si sarebbe confermata vincente la coalizione uscente di centrodestra.
Per tutta una serie di motivi: in primis perché io non dimentico che si tratta di una terra che è sempre stata un feudo della Dc (qualcuno si ricorda di Remo Gaspari?), quindi una Regione con un elettorato “centrista”, e certe tradizioni contano, eccome se contano.
Poi perché non essendo previsto il voto disgiunto, il giochino riuscito con la Todde era di fatto impossibile.
Non mi nascondo però che per la sinistra la forse inaspettata vittoria in Sardegna abbia rappresentato una sorta di “miraggio”, di nuova “terra promessa”, di un modello vincente da trasferire altrove, partendo appunto dall’Abruzzo.
E capisco pure gli sforzi profusi da Elly Schlein e dai suoi alleati di concentrare tutte le energie al fine di concretizzare una vittoria bis, vagheggiata, ma considerata probabilmente possibile.
Che poi sia servito portare in giro come una “Madonna pellegrina“ la neo Presidente della Sardegna, con il chiaro messaggio “si può fare, si può vincere, si può conquistare il palazzo d’Inverno” ho qualche dubbio, visto il risultato finale.
E comunque lo “smacco sardo” qualche preoccupazione l’aveva provocata anche fra i leader della destra , perché è evidente che se una Regione negli ultimi giorni prima del voto viene invasa da una decina di Ministri, comandati di presentarsi e promettere ciò che manca, vuol dire che il Governo di Roma qualche timore ce l’aveva.
Come “morale” di questo voto credo si possa dire che la vittoria della coppia Meloni-Marsilio ponga una pietra tombale su qualsiasi tentazione di mettere in crisi gli equilibri nazionali.
Non avrà l’ “elmetto” come ha detto la premier, ma non c’è dubbio che l’elettorato di destra finora risponde alle chiamate dei propri leader, e quindi è presumibile che se ai prossini appuntamenti in Basilicata, Umbria e Piemonte, il centrosinistra non riuscirà a superare le divisioni ( e dopo la gelata abruzzese è ancora più difficile che ci riesca) il centrodestra avrà l’occasione di cogliere nuove vittorie, in scioltezza, quasi “a tavolino” per usare un termine sportivo.
I veri problemi Giorgia Meloni, l’ho già scritto svariate volte, non potranno che derivarle del “fronte interno” quello degli alleati, e soprattutto da Matteo Salvini, che negli ultimi tempi sembra non indovinarne una, e che comincia ad avere un lega in “codice rosso”, con personaggi di spicco che non hanno più paura di manifestare il proprio dissenso sulla linea politica, e che non so per quanto tempo il Capitano riuscirà a contenere con le espulsioni, come quella di questi giorni di Gianantonio Da Re in Veneto, uno dei fondatori della “Liga Veneta”, quella del Leòn.
Ed i problemi di Salvini sono legati intimamente ai risultati elettorali della sua Lega, che elezione dopo elezione manifestano una china preoccupante.
E allora chiudo come ho iniziato, guardando ad alcuni numeri di queste regionali abruzzesi, facendo qualche raffronto con le precedenti elezioni regionali, il che come vedrete mostra che in cinque anni tutti gli equilibri sono stati stravolti.
Iniziamo da Fratelli d’Italia, che nel 2024 ottiene 184.419 voti (24%) contro i 38.894 (6,5%) del 2019.
La Lega nel 2024 incassa 40.846 (7,06%) contro i 165.008 (27,5%) del 2019.
Forza Italia nel 2024 ottiene 70.801 voti (13,2%) contro i 54.223 (9%) del 2019.
Risulta evidente che a destra c’è stata una vera rivoluzione (io direi un travaso di voti) non solo per la crescita impetuosa di Fratelli d’Italia, ma soprattutto per il crollo vistoso della Lega di Salvini, che stavolta deve persino incassare il sorpasso di Forza Italia (in realtà si tratta quasi di un doppiaggio).
Dall’altra parte del campo, si nota un partito Democratico che dai 66.769 voti del 2019 (11,1%) passa ai 109.168 voti del 2024 (20,4%).
E’ probabile che questi voti in più arrivino da elettori del M5S che nel 2019 aveva ottenuto 118.287 voti (19,7%) e nel 2024 ottiene 37.071voti (6,9%).
Per le altre forze risulta difficile fare raffronti perché o non presenti o schierati in modo differente.
Come si può vedere i numeri sono la vera chiave per capire i flussi elettorali, e se i leader fossero quelli di una volta li analizzerebbero con attenzione, piuttosto che passare il tempo fra un tweet e l’altro.
Ma in realtà sono questi numeri ad allarmare la base di iscritti e militanti della Lega che, soprattutto nel nostro Veneto, fa oggettivamente fatica ad accettare, dopo trent’anni di egemonia territoriale, di dover cedere le leve del comando ai Fratelli di quell’Italia che non molti anni fa veniva etichettata come “Roma Ladrona”.