In Iran è tornata la ”polizia morale”. Un altro schiaffo alle donne
Se anche le rivoluzioni “riuscite” alla fine finiscono per involvere verso la restaurazione, figurarsi quelle rimaste a metà, ammesso che fossero rivoluzioni.
E così come in Francia dopo “il Terrore” e Maximilien Robespierre è arrivato Termidoro, dopo le rivolte dei mesi scorsi del popolo iraniano il regime sta riprendendo fiato.
Capisco che in luglio la nostra attenzione sia concentrata giustamente sulle ferie, ma chi ha letto i pezzi che ho dedicato in ottobre, novembre e dicembre alla “rivoluzione delle donne” in Iran, ha sicuramente percepito che, nonostante mi fosse chiaro che senza una guida politica unitaria e riconosciuta ed obiettivi definiti, c’era il rischio che tutto finisse nel nulla, in qualche modo ci avevo creduto.
Forse avevo voluto crederci, o meglio avevo sperato che l’oscurantismo clericale degli Ayatollah trovasse un freno nell’affermarsi delle giuste aspirazioni di libertà delle donne del loro Paese.
C’era voluto il martirio, e credo che il termine non sia esagerato, di Masha Amini, una ragazza curda di 22 anni, solare e piena di vita, deceduta dopo l’arresto e le torture subite, per spingere le ragazze, le donne, le nonne, ma per la prima volta anche gli uomini, a dire “basta”.
Basta con le vessazioni, basta con le percosse, basta con le torture, basta con i reati vaghi (tipo “opporsi all’ordine delle cose voluto da Dio”) ed i processi iniqui, basta con le carcerazioni senza motivo, basta con le esecuzioni per questioni ideologiche e religiose, basta con le limitazioni alla libertà, basta con la misoginia, basta con il patriarcato, basta con una teocrazia onnipotente, basta!!!!
Sulla scia dell’emozione della morte di Masha, la cui unica colpa era stata quella di non indossare lo hijab come prescritto dai mullah di Qom, era nato il movimento “Donna, vita, libertà”, che portò in piazza per lunghi mesi folle di uomini e donne impegnati a protestare e a chiedere una svolta, a gridare libertà e giustizia, a reclamare i propri diritti, fra cui quello………di potersi vestire come vogliono.
Il regime iraniano reagì come sanno reagire tutti i regimi autoritari, provocando più di 500 morti fra i manifestanti, arrestando decine di migliaia di persone, e per non farsi mancare nulla facendo lavorare il boia ed il cappio (si stimano più di 260 esecuzioni capitali).
Una vera e propria carneficina, e nonostante questo fiume di sangue molte donne hanno continuato a protestare, in silenzio, camminando per strada senza il velo sulla testa.
Per questo, probabilmente spaventati dalle dimensioni e dalla diffusione delle proteste, e forse anche per alleggerire la pressione internazionale, ad un certo punto gli Ayatollah hanno dato l’impressione di voler allentare la morsa, tanto che il 4 dicembre scorso il procuratore generale iraniano Mohammad Jafar Montazeri aveva annunciato la soppressione della cosiddetta “Polizia morale” (Gasht-e-Ershad), un corpo speciale dedicato proprio a verificare che le donne rispettassero gli obblighi di coprirsi e di portare il velo, e in caso di violazioni procedere alla repressione.
Di conseguenza il regime iraniano aveva ritirato quasi per intero la polizia religiosa dalle strade, e nelle grandi città come la capitale Teheran era diventato non infrequente vedere donne uscire di casa senza velo o con le gambe parzialmente scoperte. Questo non significa però che il regime avesse rinunciato a far valere le leggi sul decoro e sulla morale.
E alla prova dei fatti quell’annuncio si è rivelato una balla colossale, una presa in giro degli iraniani e del mondo!
Infatti a solo sette mesi dal vantato scioglimento della Polizia Morale, gli uomini e le donne del regime, gli stessi che hanno arrestato e picchiato a morte Mahsa Amini, sono tornati ancora più brutali a pattugliare le strade dell’Iran per verificare, in particolare, che le donne indossino correttamente il velo islamico.
Sembra quasi una vendetta per le donne iraniane; siete scese in piazza, avete messo in discussione la Repubblica Islamica? Adesso ne subite le conseguenze!
E’ evidente che per gli estremisti del regime è fondamentale imporre l’uso dell’hijab islamico nelle strade, perché è un modo per dimostrare che hanno ancora il controllo della società.
Ai loro occhi quel velo è l’ultimo baluardo per evitare il crollo del regime.
Ecco perché i sostenitori della linea dura hanno recentemente tenuto manifestazioni per protestare contro quella che definiscono la mancanza di iniziativa del regime nel far rispettare la legge della Sharia negli spazi pubblici.
E probabilmente gli Ayatollah temono anche l’avvicinarsi dell’anniversario della morte di Masha Amini, il 16 settembre, tre giorni dopo il suo arresto, e confidano che una maggiore presenza nelle strade delle forze della repressione scoraggi eventuali manifestazioni di protesta.
Ovviamente i nuovi «raid» dei “moralizzatori” sono tornati sui social.
Il giornale Iran International, rilanciato dall’attivista da quasi 9 milioni di follower Masih Alinejad, mostra un video con una ragazza senza velo braccata da una donna coperta fino ai piedi. L’anziana aguzzina cerca di trascinarla verso una camionetta bianca, come quella che ha portato via Mahsa Amini.
La giovane grida «Io non vengo con lei» e poi un «aiuto!» che fa venire i brividi: perché sa che una volta entrati in quel furgone il destino può assumere tinte macabre.
E noi, cosa facciamo di fronte al ritorno degli energumeni della polizia morale?
Non ho intenzione di accusare nessuno!
E’ normale che la nostra attenzione a lungo andare scemi anche relativamente alle situazioni più drammatiche, soprattutto se non si prospettano svolte definitive, ma se in Iran le donne sono vessate, se a Qom si bruciano le ragazze che vorrebbero studiare, se si continua a impiccare chi dissente, non possiamo voltarci dall’altra parte, non possiamo dimenticare.
Perché ognuna di quelle donne è una nostra nonna, una nostra madre, una nostra sorella, una nostra figlia, e la nostra solidarietà, il nostro sostegno, la nostra vicinanza, le nostre pressioni sui Governanti, possono aiutarle, a Teheran come a Kabul, a portare avanti la loro lotta per i diritti umani fondamentali.
Perché quella delle donne iraniane non è una lotta contro l’hijab; è una lotta per la libertà e l’uguaglianza; è una lotta contro l’ignoranza.
Dietro di loro non c’è il coinvolgimento di una qualche precisa ideologia, né di alcun movimento politico formale, di sinistra o di destra.
La semplicità della richiesta di libertà è ciò che la rende così potente.
Ma un movimento come questo ha bisogno che si alzino voci in suo sostegno.
Rimanere in silenzio vuol dire essere complici».