28 Novembre 2013 - 17.02

In ‘morte’ di Silvio Berlusconi, 27-11-13

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di Marco Osti

E’ decaduto.
Alle 17,42 di un freddo mercoledì di novembre, Silvio Berlusconi è decaduto dalla carica di senatore della Repubblica Italiana.
Lo ha deciso la maggioranza dei suoi colleghi in un’aula del Parlamento, la massima assemblea tra quelle democratiche del nostro Paese, prendendo atto di quanto prevede una legge, la cosiddetta Severino, sull’indegnità di appartenere a tale istituzione per chi è stato giudicato colpevole in un processo dopo il terzo grado di giudizio.
Mentre si consumava il voto sul suo destino in questa legislatura, lui, Berlusconi, non era dove era stato eletto per esservi, ma in piazza, davanti alla sua residenza romana, a parlare a una folla riunitasi per contestare con lui questa decisione.
Una folla che, in uno striscione urlava al colpo di stato, riprendendo quanto detto il giorno prima dal leader. Silvio, intanto, dal palco dichiarava che Magistratura Democratica, associazione interna alla magistratura, è uguale alle Brigate Rosse.
Parole enormi e gravissime; dovrebbero scatenare una reazione indignata e di pesante condanna da parte di tutta l’opinione pubblica, che invece si interroga se questa sia la fine politica di Berlusconi oppure se continuerà a essere il leader seguito da milioni di persone che è stato negli ultimi vent’anni.
In tutto ciò esiste qualcosa di perverso e grottesco.
Nel Paese normale in cui ci piacerebbe vivere, niente di tutto ciò sarebbe possibile, anche perché in quel Paese il condannato Berlusconi avrebbe preso atto dell’inconciliabilità del suo stato di pregiudicato con quella di uomo politico e si sarebbe fatto da parte. Anche in nome di un senso di responsabilità e rispetto per le istituzioni, che dovrebbe essere primo requisito per chi si considera statista in uno Stato di Diritto, dove cioè la legge esiste come regola uguale per tutti, proprio per tutelare i più deboli e i più indifesi.
Naturalmente non è così, perché Silvio Berlusconi non è uno statista, ma un uomo che pone se stesso al di sopra di tutto e di tutti e in nome di questa sua rivendicata superiorità chiede in modo spudorato di essere trattato diversamente dagli altri.
Sostiene, lui, che tutto ciò è giusto perché è amato e votato da milioni di italiani.
Sarebbe come dire che Paolo Rossi, dopo avere portato l’Italia alla vittoria dei Mondiali nel 1982 avrebbe potuto commettere reati, restando impunito, perché amato dal popolo.
Sarebbe come dire che Hitler, Mussolini, Pinochet, Gheddafi, Bin Laden e tutti quelli che vi vengono in mente non erano colpevoli per i loro crimini perché il loro popolo li amava.
In uno Stato democratico e di Diritto non è così.
In Italia la Legge e le Istituzioni sono sopra i singoli, proprio perché anche il più umile non possa subire ingiustizie.
Questo non significa che le iniquità e i soprusi non esistano, ma vuol dire che se scoperti sono perseguibili dagli organismi preposti.
In tutto ciò è evidente l’anomalia di Berlusconi, che è stato per anni presidente del Consiglio. Tra i suoi vanti c’è quello di avere guidato i Governi più duraturi della storia repubblicana, ma ha la responsabilità di non essere stato in grado di cambiare l’Italia, malgrado la lunga presenza alla guida del Paese, l’amore del suo popolo e schiaccianti maggioranze in Parlamento.
Ma per Berlusconi la colpa degli insuccessi è sempre di qualcun altro.
Prima di Bossi, poi di Casini, poi di Fini, solo per citare i primi tra i tanti colpevoli, oltre i quali naturalmente non manca la Magistratura e poi l’elefantiaco apparato statale, che peraltro lui aveva promesso di snellire, con la sua annunciata rivoluzione liberale,
Non a caso Berlusconi sostiene che per governare avrebbe dovuto avere il 51% delle elezioni.
Anche questa affermazione è una prova del suo fallimento come uomo di governo, della sua assoluta mancanza di rispetto per le regole democratiche e smaschera una delle sue tante bugie, quella per cui il popolo sia con lui.
Se il popolo fosse con lui avrebbe sempre avuto oltre il 50% di consensi.
Forza Italia prima e il Popolo della Libertà poi non hanno mai avuto queste percentuali, quindi è vero che una parte degli italiani lo sostiene, una parte a volte maggioritaria, ma mai maggioranza.
E poi, la grandezza di un uomo di governo in un consesso democratico non è avere il potere tutto per sé, per poterci fare ciò che vuole, ma proprio la capacità di trovare e aggregare consenso sulle sue proposte e posizioni.
Questo, Berlusconi, non è mai stato capace di farlo, anzi ha sempre diviso il Paese, favorendo e ampliando le profonde lacerazioni che lo contraddistinguono.
Anche la sua decadenza è la prova di tutto ciò.
Se lui oggi non è a capo del Governo, e quindi nella posizione di farsi le leggi che avrebbero impedito l’applicazione della Severino, è perché alle ultime elezioni ha avuto un largo consenso, ma non la maggioranza dei voti.
E questo non è avvenuto a caso, ma perché quando aveva governato prima del voto aveva fallito e quindi gli elettori, pur non andando a votare il centro sinistra, si sono rivolti ad altro, riconoscendosi nel Movimento 5 Stelle.
In realtà Berlusconi è nato e resta un imprenditore e come tale è abituato a governare la propria azienda decidendo da padrone.
La politica è altra cosa e in un Paese democratico i padri-padroni non possono esistere.
E qui sta il punto di fondo della sua assoluta mancanza di senso democratico che si evidenzia quando sostiene che vorrebbe il 51% dei consensi, quando rifiuta di essere trattato come tutti di fronte alla Legge.
Lui, che sempre richiama la libertà, in realtà ha un’indole antidemocratica e quindi vorrebbe guidare l’Italia come guidava le sue aziende. Senza opposizioni, dando gratificazioni e prebende a chi poteva essergli utile, cacciando i dissenzienti.
Solo uno Stato con consolidati anticorpi contro derive populiste e assolutiste ha potuto resistere all’attacco frontale, mediatico ed economico che il berlusconismo le ha sferrato, ma questa battaglia ha costretto spesso a dimenticarsi dell’Italia, che oggi è spossata e divisa.
Ora mi sento di implorare Berlusconi, per una volta, di accettare la situazione, di accantonare i suoi interessi personali, di non aizzare folle e battaglie senza frontiere, e lasciare che la politica si possa occupare finalmente degli italiani e non di lui.
Ma tutto ciò è un pio desiderio.
Già si annunciano gli echi delle lotte che intende porre in atto, dell’opposizione che vorrà guidare dalla sua posizione esterna alle istituzioni, che gli consentirà anche di usare modi e toni non vincolati a certi ruoli.
Già si parla di una prossima campagna contro l’Europa, la Germania e l’euro, per alimentare il dissenso, provocare tensioni, indebolire il Governo e il Paese.
Quest’uomo di quasi ottant’anni, che parla di giovani come se ancora lo fosse, vuole avviare l’ennesima lotta fratricida, che colpirà i più deboli e i più indifesi, che saranno usati e dimenticati.
Il tutto per poter un giorno provare a tornare a un ruolo di potere, che non saprà usare, come dimostra la sua storia di grande politico in campagna elettorale e di pessimo premier.
Un potere che comunque non gli sarà mai sufficiente, perché la sua aspirazione narcisistica di piacere a tutti è la base effettiva e malcelata della sua concezione del potere solo in termini totalitaristici.

VICENZA CITTA UNIVERSITARIA
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