8 Aprile 2022 - 8.38

Inquinamento ambientale: quanta energia consumano le criptovalute

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In quest’ultimo periodo abbiamo visto come il crollo del rublo abbia spinto i cittadini russi ad utilizzare sempre di più le criptovalute per non incorrere nel blocco imposto dopo l’invasione dell’Ucraina. Ne abbiamo sentito parlare molto lo scorso anno quando Tesla ha deciso di non accettare più i pagamenti in Bitcoin per l’acquisto delle sue automobili per questioni puramente ambientali. Tanto amate quanto odiate, vi siete mai chiesti quanto inquinino le valute digitali? Scopriamo insieme quale sia il loro impatto ambientale!

Perché le criptovalute consumano tanta energia

I Bitcoin, così come le altro criptovalute, non si basano su sistemi centrali di controllo come le banche, ma sulla rete della blockchain, un registro digitale aperto e distribuito, le cui voci sono raggruppate appunto in “blocchi” collegati tra loro e resi sicuri mediante l’uso della crittografia. Ad un blocco possono essere associate una o più transazioni che devono essere validate dai cosiddetti “miner”. Sostanzialmente, i minatori offrono tutta la potenza di calcolo necessaria, in cambio di nuove monete virtuali. I computer che mettono a disposizione sono infatti impegnati ad effettuare innumerevoli calcoli per risolvere complessi problemi matematici, indispensabili per rendere sicura la transazione. Una competizione che consuma quantità di energia elettrica mostruose, considerando che le transazioni quotidiane sono superiori alle centinaia di migliaia.

L’impatto ambientale delle criptovalute: confronti e interrogativi

Molto studi, in questi ultimi anni, hanno analizzato l’impatto ambientale delle criptovalute. Secondo il Bitcoin electricity consumption index dell’Università di Cambridge il Bitcoin necessita di oltre 138 terawattora di elettricità l’anno, più di un paese come la Norvegia, che ha un consumo annuo di circa 124 TWh. Molti dei miner si troverebbero poi in Cina, paese che come sappiamo ricava circa il 60% dell’energia dal carbone.
Non solo, anche Ethereum, la seconda criptomoneta più diffusa al mondo, sembra avere già raggiunto quasi un terzo dell’energia richiesta da Bitcoin. Dogecoin si basa sullo stesso sistema delle altre due ma, essendo meno popolare, attualmente consuma ancora quantitativi di energia inferiori. Al contrario, Cardano è un criptovaluta legata ad una tecnologia blockchain meno energivora, ma è ancora poco conosciuta. Quando si parla di blockchain è importante infatti fare delle specifiche. PoW, acronimo di Proof-of-Work, è la tecnologia alla base della blockchain di Bitcoin ed Ethereum. Abbiamo visto quanto PoW possa portare a consumare molta energia, basandosi su migliaia di computer che eseguono calcoli complessi per estrarre le criptomonete e rendere sicura la rete. Al contrario, PoS, acronimo di Proof-of-Stake, sembra rivelarsi un’alternativa più sostenibile perché elimina il processo di “mining” utilizzando il deposito di criptomonete per rendere la rete sicura.
Non bisogna dimenticare poi il confronto con i sistemi bancari tradizionali: dal punto di vista energetico, la finanza tradizionale è tutt’altro che ecologica. Secondo il report di ARK Investment Management, sia il sistema bancario che l’industria dell’oro consumerebbero molta più energia dei Bitcoin.

Crypto Climate Accord: oltre 250 aziende per la decarbonizzazione del settore
Se l’energia consumata dalle criptomonete venisse prodotta da fonti rinnovabili? La Crypto Climate Accord nasce dall’iniziativa di tre organizzazioni del calibro di Energy Web, Rocky Mountain Institute e Alliance for Innovative Regulation. L’accordo ha l’obiettivo di decarbonizzare la crypto industry e arrivare all’utilizzo di sole fonti di energia rinnovabili entro il 2050. Oltre 250 aziende e privati hanno già firmato e sostengono il CCA. Che il futuro delle criptovalute possa rivelarsi meno oscuro di quanto prospettato?

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