20 Giugno 2023 - 8.48

Ita Airways.  Riusciremo a far scappare anche Lufthansa?

cusate se parto citando due miei pezzi recenti, il primo dello scorso 5 giugno dal titolo “Ita Airways a Lufthansa. E’ passato lo straniero”, ed il secondo di venerdì scorso, titolato “Stipendi bassi? Non solo i laureati, “va via anca i murari”.

Apparentemente due articoli completamente slegati, perché sembrerebbero trattare argomenti del tutto diversi, ma in realtà non è così, e spero di riuscire a spiegarvi il motivo.

Ad un certo punto del secondo pezzo, in cui ricorderete trattavo della cronica mancanza di crescita della nostra economia dovuta anche alla bassa produttività,  scrivevo testualmente:”…E badate bene che il problema della poca produttività del nostro Paese dipende anche in buona parte dalla cronica inefficienza del nostro settore pubblico…”.

In quella sede non sono voluto andare troppo nello specifico, ma fra queste inefficienze occupa un posto di rilievo l’intero comparto della giustizia.

Basta confrontare i tempi di chiusura di un processo nel nostro Paese rispetto agli altri per rendersene conto.

Per la giustizia civile servono infatti 514 giorni, in media, per concludere il primo grado, quasi mille giorni (993, per la precisione) per il secondo,  e ben 1.442 giorni per il terzo . In totale, dunque, poco meno di tremila giorni (2.949), corrispondenti quasi esattamente a otto anni.

La media dei Paesi membri del Consiglio d’Europa è invece di 233 giorni in primo grado, 244 giorni in secondo grado e 238 in ultima istanza. In totale, dunque, si arriva a poco meno di due anni.

Le cose migliorano, ma non di molto, relativamente alla giustizia penale e a quella amministrativa.

Quante volte ce lo siamo detti; il Paese che fu la culla del diritto romano non riesce più a stare al passo con il resto del consesso civile, e per quanto il confronto con gli altri Paesi dell’Unione europea sia necessariamente approssimativo, considerate le differenze tra i vari sistemi giudiziari e l’assenza di dati per tutti gli Stati, dalle rilevazioni della Commissione del Consiglio d’Europa che si occupa dell’efficienza dei sistemi giudiziari, risulta in modo chiaro ed inequivocabile che l’Italia si trovi costantemente nelle ultime posizioni della classifica.

E poi continuiamo a meravigliarci se le grandi imprese internazionali preferiscono per i loro insediamenti la Germania, piuttosto che la Francia o la Spagna.

Forse ve lo l’ho già raccontato, ma un mio nipote che risiede stabilmente in Spagna, ed è un dirigente di una multinazionale americana, nel corso di una discussione fra “Capi” circa il Paese europeo dove aprire una nuova unità produttiva, ad un certo punto chiese: “perché non l’Italia?”

Sapete quale fu la reazione? Una sonora risata corale!

Resta il fatto che la lentezza dei processi, unita all’assoluta incertezza delle normative (gli stranieri la definiscono incertezza regolatoria), costituisce uno dei principali ostacoli agli insediamenti delle aziende straniere in Italia.

E arriviamo al caso che a mio avviso conferma quello che vi ho appena detto.

Non si sono ancora spenti gli echi, le attestazioni di soddisfazione per l’intervenuto accordo fra Ita Airwais e Lufthansa circa l’acquisizione da parte dei tedeschi di una prima quota del capitale del vettore italiano, in prospettiva di un passaggio totale, che sull’intesa raggiunta si abbatte la doccia fredda della sentenza di un giudice del lavoro che rischia di pregiudicare il tutto. 

Vi dico subito che non è mia intenzione, per ovvi motivi anche di rispetto della Magistratura, disquisire in punta di diritto su una sentenza di cui non si conoscono ancora le motivazioni, anche se pare di capire che il “punto nodale” sia quello della “continuità o discontinuità” aziendale di Ita rispetto alla vecchia Alitalia. 

Fatto sta che la sentenza 6205/2023 del 14 giugno 2023 del Tribunale di Roma sovverte il precedente orientamento negativo dello stesso Tribunale di Roma che, con la sentenza 8428/2022 del 23 ottobre 2022, aveva escluso che l’operazione avesse ad oggetto un ramo d’azienda preesistente e funzionalmente autonomo.

Detta in parole comprensibili al cittadino comune, il problema è quello di stabilire se fra Alitalia ed Ita Airways ci sia la cosiddetta “continuità aziendale”, la cui sussistenza comporterebbe l’obbligo per la nuova società di riassumere tutti i vecchi dipendenti della ex Alitalia lasciati a casa. 

Credo vada sottolineato che il fare ripartire Ita Airways in “discontinuità” rispetto alla vecchia Alitalia sia stata una decisione a lungo dibattuta, e alla fine concordata, dal Governo italiano anche con la Commissione Europea.

Ed è intuitivo come proprio questo punto, la discontinuità, fosse dirimente per rendere possibile la ripartenza della nuova compagnia.  In altre parole senza discontinuità Ita Airways non ci sarebbe proprio stata. 

Capite bene che la citata decisione del Tribunale che, stabilendo la sussistenza del trasferimento di ramo d’azienda” tra la vecchia e la nuova compagnia (continuità aziendale) ha ordinato ad Ita il reintegro di 77 dipendenti delle ex Alitalia,  con erogazione degli stipendi non pagati,  crea una situazione potenzialmente esplosiva.

Non solo perché altri 1.100 ex dipendenti Alitalia hanno fatto ricorso per il reintegro in  Ita Airwais, ma soprattutto  perché questo rischia di far saltare l’affare con Lufthansa,così creando un grosso problema anche al Governo Meloni. 

E ciò perchésecondo il presidente di Ita, Antonino Turicchi, ci sarebbe  un diritto di recesso in capo a Lufthansa nel caso le sentenze dei giudici del Lavoro stabiliscano appunto una continuità tra Alitalia e Ita.

E non si potrebbe certo dare loro torto qualora si tirassero indietro perché, a quanto è dato sapere, durante i negoziati tra Lufthansa e il governo Meloni, i tedeschi avrebbero strappato precise garanzie dal nostro Ministero dell’Economia proprio su questo punto.

D’altronde se Ita si è regolata in questo modo, è perché l’Unione Europea le ha imposto di non farsi carico in modo automatico degli ex dipendenti di Alitalia e Cityliner.

Comprensibile l’irritazione negli ambienti di Governo, e a quanto è trapelato, al Ministero dell’Economia, azionista unico di Ita, non solo non avrebbero piani alternativi, ma sarebbero determinati ad andare avanti con i tedeschi. 

Per cui bollano come “incomprensibile” la decisione del giudice, contro la quale sarà ovviamente fatto ricorso, soprattutto perché, secondo gli uffici di “Via XX settembre”, sarebbero stati assolti compiutamente tutti i passaggi per ottenere la discontinuitàdi Ita con Alitalia, come chiesto dall’Antitrust Ue.

A questo punto mi fermo, ma non prima di aver sottolineato che se i futuri pronunciamenti dei giudici si consolidassero sulla sussistenza delle “continuità aziendale”, e Lufthansa dovesse dire “arrivederci e grazie, è stato bello sognare”,  forse ad Ita Airwais non resterebbe che portare i libri in Tribunale.

Con il consueto corollario che a farci carico del pasticcio saremmo ancora noi contribuenti italiani, come siamo stati costretti a fare negli ultimi decenni in difesa dell’Italianità” di Alitalia, italianità che con l’attuale Governo sembra ora attestarsi sulla linea del Piave piuttosto miserevole dei balneari, degli ambulanti, dei taxisti, dei B&B.

Non credo comunque  che questa sentenza toglierà i sonni ai vertici di Lufthansa, che sicuramente ne approfitteranno per strappare alla Meloni  concessioni ben più strategiche per il business aereo. 

Resta aperto ovviamente il problema della credibilità del nostro sistema politico giudiziario.

Perché da cittadino comune non posso non chiedermi: se un accordo nato e portato avanti da Governo Italiano, Commissione Ue, ed Antitrust europea, quindi ad un livello sovranazionale, può essere tranquillamente vanificato dalla sentenza di un giudice, su quali certezze può contare una società straniera che intenda investire nel Belpaese?

So bene che una rigorosa separazione fra i Poteri, in questo caso fra l’Esecutivo ed il Giudiziario, è alla base della democrazia moderna, ma credo che per il bene  del Paese sia necessario che in qualche modo si trovino forme di convivenza e di dialogo, magari anche preventivo se serve, almeno quando in ballo c’è anche l’immagine dello Stato. 

Diversamente dovremo rassegnarsi al fatto che gli investitori internazionali rispetto ad eventuali loro insediamenti produttivi in Italia reagiscano con…….. “una risata”.

Umberto Baldo 

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