8 Febbraio 2024 - 18.54

Kendo: il cammino della spada

di Umberto Baldo

Su sedici fra nipoti e pronipoti, miei e di mia moglie, ben quindici sono femmine, ed uno solo maschio.

Fortuna che non abbiamo problemi di “Legge Salica”!  Scherzo ovviamente. 

Sicuramente voglio bene a tutti allo stesso modo, ma non va trascurato l’ineliminabile retaggio della mentalità “maschilista patriarcale” ancora presente nel mio subconscio; che è come dire il “maschio è il maschio”, rappresenta la continuità della stirpe, anche se in questo caso lui non ha il mio cognome (anzi a breve ce l’avrà, perché acquisendo la cittadinanza spagnola, che prevede obbligatoriamente il doppio cognome, dovrà aggiungere al suo anche il mio cognome, che è ovviamente quello della madre, mia sorella). 

La caratteristica che il ragazzo ha manifestato fin da piccolo è l’estrema curiosità per tutto, anche per quello che non è attinente con la sua formazione di fisico informatico, l’apertura a tutte le culture, accompagnata da una naturale predisposizione per le lingue.  Parla infatti dialetto veneto (per me fondamentale), italiano ovviamente, fluentemente inglese e spagnolo,  si arrangia con l’arabo, e adesso un po’ anche con il giapponese. 

Da un paio d’anni a questa parte ho visto che i suoi interessi si sono orientati sempre più verso la cultura del Giappone, dal cibo, alla filmografia, alla filosofia, alle abitudini di vita e…… alle arti marziali.

Data questa esplosiva “nippon-mania”, lo avevo messo in conto 

D’altronde è noto che il Paese del Sol Levante è uno dei maggiori ideatori di arti marziali, ormai conosciute e praticate in ogni parte del globo.

E sbagliando, crediamo che tutte le arti marziali giapponesi siano accomunate da un’origine antichissima che si perde nella notte dei tempi, e che siano state create con scopi guerreschi, legate a doppio filo con le leggendarie figure dei samurai e dei ninja.

Non è assolutamente così; ad esempio due delle più famose al mondo, il karate e il jūdő, e così anche l’aikido, si sono formate in tempi molto più recenti, e vedono come scopo primario non l’autodifesa, ma il miglioramento di sé.

Diverso è invece è il discorso per ciò che attiene le arti marziali tradizionali, nate prima dell’abolizione dell’uso delle spade, da cui sono derivate discipline come il Kendo.

E qui mi fermo, perché mio nipote, fra tutte, guarda caso ha deciso di applicarsi proprio al Kendo. 

E lo fa, come è nel suo carattere, con assiduità e dedizione, suscitando meraviglia anche nei suoi maestri nipponici (nel Kendo si chiamano Sensei).

Non so se abbiate presente (ma la foto sotto il titolo è abbastanza esplicativa), ma questa disciplina (o arte marziale se preferite) si pratica come in passato utilizzando un’armatura, detta “Bogu”, composta da elmo, corpetto e guantoni, indossata sopra un particolare kimono di colore nero, lungo fino ai piedi. 

L’effetto visivo è che, senza l’armatura, il kendoka vestito col kimono nero assomiglia in tutto e per tutto ad un nostro prete (o ad un “nònsolo” se preferite la variante veneziana del sacrestano).

E la cosa è così vera che una sera mio nipote mi telefonò sbraitando ed imprecando contro una benzinaia madrilena.  

Mi raccontò che, finito l’allenamento, non aveva avuto tempo di togliersi il kimono, si era fermato ad un distributore a fare carburante, ed al momento di pagare la benzinaia lo aveva salutato con un deferente “arrivederci Padre”.

Mi raccontò il siparietto fra un improperio e qualche invocazione alla divinità; al che io ridendo come un matto gli risposi “ma come vuto che la te saluda, se vestìo cusì te pari un capelàn o un nònsolo, te manca solo el crocefiso al colo!” (ma come vuoi che ti saluti se vestito così sembri un prete o un sacrestano; ti manca solo il crocefisso al collo”.

Inevitabilmente, vedendo che (nonostante le mie continue prese in giro) la passione di mio nipote per il Kendo  non solo persisteva, ma giorno dopo giorno addirittura si consolidava, mi sono chiesto il perché.

Mi era noto infatti che il fascino che le culture orientali esercitano su moltissimi europei è qualcosa di molto più profondo e duraturo di quanto si possa immaginare, e non è certo spiegabile come un mero effetto della globalizzazione.

E non si tratta  certo solo del sushi, ormai diventato cibo comune anche da noi, quanto del fatto che negli anni più recenti la cultura orientale, in particolar modo quella giapponese, è entrata a pieno titolo nei gusti e nelle abitudini della società europea.

E a quanto ho potuto capire, informandomi, il Kendo risponde in pieno a questa fascinazione.

Il Kendoporta con sé l’essenza delle arti da combattimento nipponiche. 

Infatti, l’utilizzo della spada, alla base di questa disciplina, è stato per secoli un aspetto centrale nella preparazione militare dei samurai, assieme all’equitazione ed al tiro con l’arco.

Emblematici il saluto (rei) ed il breve momento di meditazione (mokuso) prima dell’inizio dell’allenamento.

E non va dimenticato che quest’arte marziale risente di una forte influenza del Buddismo zen, una corrente di pensiero che ha permeato gran parte della storia giapponese, e che si caratterizzava per una sensibilità particolare verso concetti come il vuoto e la transitorietà della vita.

Con particolare attenzione alla filosofia e alla pratica del cosiddetto Ichi.go e Ichi.e, che può essere tradotto come “una volta, un incontro” o “in questo momento, un’opportunità”; il significato di entrambi sta ad indicare una sorta di “carpe diem”, per ricordarci che ogni singolo momento è unico e si deve approfittare di ciò (da qui la quasi ossessione dei giapponesi di fare le cose per bene, perché ogni cosa (ichi go) è unica, irripetibile, e forse è l’ultima volta che la farai (ichi e).

Nel Kendo l’atteggiamento ideale per il combattimento ovvero il “mushin”, la “mente vuota”, è l’espressione diretta di questa visione del mondo. 

Come si può ben immaginare la mente libera da ogni pensiero era necessaria in battaglia per prevedere le mosse del nemico e uscirne vittoriosi.

E’ chiaro che ai giorni nostri è venuto meno, ovviamente, il fine ultimo di uccidere l’avversario, ma il rafforzamento del carattere, l’auto-disciplina e il rispetto, continuano a mantenersi intatti, e ad essere trasmessi ai praticanti dai loro Sensei.  

La katana (la spada del samurai)è stata sostituita da spade di legno dette “bokken”, e da spade di bambù, gli “shinai”, durante gli allenamenti e le competizioni.

Certo uno può chiedersi legittimamente: a cosa serve il kendo?

A parte che la stessa domanda potrebbe valere anche per il tennis, il golf, o altri sport, maper il kendoka la risposta è che sviluppa il corpo, conferisce velocità di riflessi e controllo delle proprie azioni,  del corpo e della mente, del fisico e dello spirito, correggendo il portamento di chi lo pratica; nello stesso tempo, il praticante acquisterà decisione, capacità di concentrazione e personalità.   

In definitiva si potrebbe affermare che il Kendo è molto utile anche nella vita. 

Non dimenticando che se si riesce a raggiungere la pace interiore si comprende che la spada non è più un’arma di aggressione, ma una tecnica per vivere meglio, diventando uno strumento di pace.

In fondo mi sembra di capire, che questo sia il vero significato del Kendo.

Ho attirato la vostra curiosità?

Sappiate che quest’arte marziale dagli inizi degli anni ’70 si è diffusa anche in Italia, dove ci sono oggi numerosi  club iscritti alla Confederazione Italiana Kendo, e la nazionale azzurra partecipa regolarmente a competizioni a livello europeo e mondiale, con ottimi risultati. 

Se decidete di dedicarvi a questa disciplina come mio nipote, l’unica avvertenza che mi sento di darvi è quella di cambiarvi alla fine dell’allenamento.

Se non volete che qualcuno, guardandovi, vi saluti con un ”arrivederci padre”, o magari con un  “sia lodato Gesù Cristo”.

Umberto Baldo

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